A Padova la birra artigianale è Foramoda (per fortuna). E il vino?
L’ultima volta che sono stata a Padova, che poi era anche la prima, ho trovato una città inaspettata.
Ospitale, più di quanto pensassi, spontanea e piuttosto viva, con pochissimo tempo a disposizione mi ha regalato 3 belle cose: la Cappella degli Scrovegni, per cui Giotto resta uno dei più grandi (e a essere un precursore dei tempi, il livello di handicap è sempre il più alto possibile), la Basilica di Sant’Antonio (che ho rischiato di perdere per scambio di persona*), meta di pellegrinaggio mondiale, dagli interni eclettici ed esagerati, che non sapevo conservasse parti corporee del santo o chi per lui (qui abbiamo dalla laringe semicarbonizzata e nera, al mento con gli incisivi, fino alla famosa lingua incorrotta)…e il Foramoda.

Cercavo birra artigianale e un posto di cui fidarmi, e ho trovato Eleonora e Nicolò…e qualche birra che mi ha rimesso in pace col mondo nei giorni di lavoro in fiera.
Nato esattamente 6 anni fa (era ottobre), il Foramoda, nomen omen, è il posto dove andare se si vuole bere buona birra. Nella settimana in città ho girato un po’, ma è qui che ci si sente a posto, quel tanto seguiti per non bere sbagliato, e quel tanto lasciati in pace per sentirsi a proprio agio. Limitrofo al centro storico, piccolo ma confortevole, un bancone vivibile, una bella sala interna e i tavolini fuori, a pochi metri dal fiume. Con 6 spine e 2 handpump a disposizione e un paio di belle birre davanti (La Killer Queen di Valeriani ed è sempre Grande Amore e la Pilgrim, barley wine invecchiato in botti di Marsala di Brewfist, ed è subito Spettacolo, non la conoscevo), passo la serata a parlare con loro, anche per farmi un’idea di come bevono i padovani, storicamente legati al vino, e non.

È difficile proporre birra artigianale in un luogo che per tradizione è legato al vino…e allo spritz?
Eleonora: Lo è, se da un lato le persone si accorgono che esiste un altro tipo di offerta, grazie anche agli eventi e ai festival dedicati anche a livello nazionale, dall’altro si moltiplicano esponenzialmente i luoghi che la propongono, spesso senza una reale attenzione al tipo stesso dell’offerta.
Qui uno zoccolo duro dei bevitori sono i ragazzi, generalmente universitari, che vogliono bere per fare serata, e dovendo ottimizzare i costi, cercano il massimo risultato col minimo sforzo, come ovunque del resto.
Intanto passa in rassegna i clienti tipo, io penso a Bar Sport di Benni (quello sempre, valicato il Po).
A parte i nerd che, sanno già tutto quello che berranno, per loro e per tutti gli amici presenti, ci sono tanti che bevono senza troppe paranoie, sono contenti di avere le informazioni in più, di provare qualcosa di nuovo, ma mantengono comunque il gusto di bere, perché alla fine questo rimane un pub dove venire a farsi una birra in tranquillità.
Prima di tornare alla birra…scrivo su una rivista di vini e voi siete veneti, insomma la domanda va da sé, vi piace il vino? Quanto?
Nicolò: Sono cresciuto in una famiglia che il vino lo fa da sempre, mio nonno e poi mio padre, si fa per noi, non ne abbiamo abbastanza da poterlo commercializzare ma il vino mi è sempre piaciuto molto, anche perché prima di bere la birra ho sempre bevuto vino.
Quali sono le tipologie che ami maggiormente?
Nicolò: in assoluto al primo posto il Lagrein, secondo Cabernet Franc, perché è qualcosa che da noi si è sempre bevuta molto e al terzo posto l’unica bollicina che riesco a bere è il Metodo Classico, poi dipende dal tipo ovviamente.
E delle birre che più si avvicinano al vino o che con esso hanno un punto di contatto, quelle più legate al territorio – in questo caso un territorio di vino – cosa ne pensate? Da veneto che fa vino per tradizione, e da appassionato di birra allo stesso tempo, è una cosa che apprezzi, o preferisci siano due cose nettamente separate?
Nicolò: forse uno dei pochi modi che ha il mondo italiano di fare una birra che nel resto del mondo non è possibile replicare, è quello di usare il mosto di vino. All’estero ci sono birrifici che lo fanno, ma vista la nostra competenza e disponibilità della materia prima, di vigneti e cantine per poter fare cose veramente interessanti, credo possa essere un’arma vincente per distinguersi. Importante è che sia ben dosato, ci sono birre buone e altre meno riuscite e queste rischiano di perdere l’identità di una e dell’altra cosa. Ma se fatto in maniera ponderata è solo un punto di forza.
Qualche birra di questo tipo che ti piace in modo particolare?
Nicolò: La Beerbera di Loverbeer, è una birra che adoro, è la mia prima assoluta. Mi guarda e con voce più bassa e una punta di orgoglio: Cantillon non è italiano, ma nella Vigneronne mette uva italiana…

La scelta della vostra taplist? L’offerta che ho davanti copre quasi tutti gli stili e i Paesi (birrifici italiani, come Brewfist, Hammer, Retorto e Lariano, tedeschi, parecchia Inghilterra, a iniziare da Moor), ma i vostri gusti quali sono?
Eleonora: Io sono tornata alle basse fermentazioni dopo i grandi exploit di IPA, DIPA, NEIPA e giù di lì, in ogni caso da subito abbiamo capito che non potevamo mettere solo quello che piaceva a noi. All’inizio avevamo tre spine, un anno dopo abbiamo aggiunto una pompa. Spesso avevamo una Pils, una Bock e una Gose, e il cliente che cercava IPA e simili, vedeva solo tedesche in taplist passava a saccheggiare il frigo. L’anno scorso abbiamo ampliato, con la cella, messo 6 spine, proponendo così un’offerta più eterogenea.
Dietro di loro noto un’offerta basica di amari e grappe da bravi veneti, e mi confermano che a chi lo chiede, uno spritz non viene negato, tanto c’è sempre l’amico che non beve birra o la ragazza che preferisce lo spritz. Non faccio in tempo a riflettere sulla veridicità del luogo comune femminile, che entrano proprio 3 ragazze vocianti e tiratissime in tenuta da Aperitivo, e quello chiedono.
Quali le preferenze dei clienti?
Eleonora: “Che c’hai de Ipa?” Resta sempre un grande classico (detto poi con cadenza romana da una veneta è irresistibile), ma anche “Cosa avete di acido, e fermentazione spontanea?” si sta facendo strada.
Nicolò: le Ipa continuano ad ammaliare soprattutto perché nel caso del bevitore medio di birra, quello di pizza & birra chiara, nel momento in cui ha a che fare con una buona Ipa, ha a che fare con profumi e sapori che stupiscono, se gli dai una Momsambacher lager, sarà più facile che dica che è una buona birra ma che saprà di “birra”. Se al bevitore medio di Ceres dai una Spaceman, ci andrà sotto…(e questa storia è da tempo chiara a molti).
Ultimissima domanda: quale luogo non devo assolutamente perdere se passo per Padova?
Nicolò: essendo i lettori di LaVINIum principalmente appassionati di vino, chi viene qua deve andare a bere da Severino in via del Santo, un luogo storico di Padova. Esiste da sempre, e se ti piace il vino ci devi passare, è una piccola bottega, molto bella, sui muri immagini in bianco e nero del rugby. E poi devi andare al Bar Nazionale a mangiare i tramezzini. Tra l’altro scopro che il bar si trova nella bellissima Piazza delle Erbe.
Eleonora: io per i vini consiglio Ubaldo (ora enoteca Evoè), lì ti fai proprio il cicchetto padovano, che è meno commerciale del tramezzino caldo del Nazionale, e poi c’è una grande mescita di vino.
Faccio loro notare che pur avendo chiesto qualsiasi tipo di luogo, entrambi mi hanno consigliato un’enoteca. Alla fine l’anima veneta non ha tradito.

*A proposito dello scambio di santo: ho girato per mezz’ora in una bella basilica, credendo fosse Sant’Antonio, e soprattutto ammirando la discrezione con cui si era scelto di non esporre le immagini del Santo. Ho pensato, un po’ stupita, a un religioso minimalismo dell’anima. E invece no. Quella in Prato della Valle era Santa Giustina, nome letto solo all’uscita. Una volta vista invece l’altra Basilica, ho capito che Sant’Antonio gode di un’iconografia tutt’altro che minimalista: tipicamente ed esageratamente italica. In ogni caso, vale la pena una visita a entrambe. Magari prima di una birra.
Hilary Antonelli