Adriano Marco e Vittorio, il Barbaresco e un sorriso contagioso
Fotografie di Danila Atzeni
Quanto può essere contagioso un sorriso? Di questi tempi molto, moltissimo. Ogni volta che incontro la famiglia Adriano, in frazione San Rocco Seno d’Elvio (Comune di Alba), roccaforte inserita nel disciplinare di produzione del Barbaresco, resterei ore ed ore a chiacchierare in loro compagnia, perché la consapevolezza di trovare un clima familiare è una certezza che mi conforta, come un porto sicuro dove attraccare, anche in tempi difficili, dove nulla è scontato. È ciò che accaduto più o meno un mese e mezzo fa durante la mia trasferta ad Alba per l’evento “Grandi Langhe”, al quale ho dedicato un’ampia retrospettiva su Lavinium. In effetti, ripensando agli ultimi 15 anni di assidua frequentazione del comprensorio langarolo, non ricordo una mia trasferta che non fosse correlata almeno da un paio di visite in cantina.
È stupenda la frase che presenta l’azienda sulla home page del sito istituzionale, ho deciso di riportarla integralmente, perché parte tutto da questo semplice concetto: “Nostro padre ci ha trasmesso il gusto per l’eccellenza. Ci ha insegnato i principi di fondo dell’attività agricola. Stava già facendo un ottimo vino”. Poche parole, ma molto significative, l’impegno degli Adriano segue pedissequamente una sola filosofia: la famiglia, il rispetto della tradizione agricola, e la ricerca assoluta dell’eccellenza priva di qualunque scorciatoia. Questo principio è alla base di ogni attività, dal lavoro in vigna alla promozione dei vini, sino ad arrivare in cantina, cuore pulsante dell’azienda. I loro prodotti mi avevano già colpito l’anno scorso durante il press tour di “Espressione Barbaresco”, rassegna organizzata dall’Enoteca Regionale del comprensorio omonimo, che purtroppo quest’anno, per ovvie ragioni legate al Covid-19, è stata annullata.
È curioso il modo in cui mi sono avvicinato a loro successivamente, al contrario di quanto solitamente accade, quasi per gioco e tramite i vari social, ho conosciuto la più giovane leva della famiglia, Michela Adriano, vulcanica portavoce dello spirito aziendale. Una ragazza tanto giovane quanto preparata, è lei che racconta sul sito, tramite video appositi, le peculiarità di ogni singolo vino dell’azienda; lo stesso fa alle fiere o agli eventi, spesso in compagnia di mamma Grazia, promuovendo a 360° il territorio di Barbaresco nel mondo, tramite l’utilizzo dei social network, strumenti sempre più efficaci per arrivare alle persone.
Da parte mia occorre fare un doveroso passo indietro. Per un’azienda, pensare al futuro, è necessario quanto ricordarne il passato, il fine è non perdere mai di vista la strada maestra, e per un’impresa a conduzione familiare questo concetto è ancor più importante. La famiglia Adriano, DNA piemontese al 100%, ha origini agricole sin dai primi del Novecento, epoca in cui Giuseppe Adriano e la moglie Teresa, svolgono già attività da mezzadri.
Successivamente tocca al figlio Aldo, che assieme alla moglie Maddalena, decidono di acquistare la prima cascina a San Rocco Seno D’Elvio. Arriviamo agli anni ‘90, è proprio in questo periodo che l’azienda compie un vero e proprio passo in avanti, espandendosi sui mercati internazionali grazie alla tenacia di Marco e Vittorio, generazione successiva, aiutati dalle rispettive mogli Luciana e Grazia. È con la vendemmia 1994 che si decide di vinificare la propria uva imbottigliando le prime etichette che riportano il cognome della famiglia. La produzione migliora notevolmente e anche la commercializzazione dei prodotti segue standard molto più in linea con il periodo storico. Sono anni in cui i vini delle Langhe conquistano i mercati americani, cinesi e di altre importanti realtà economiche. Il Barbaresco, da sempre uno dei prodotti di punta del comprensorio, diviene un vino sempre più richiesto in tutto il mondo. Tornando ai protagonisti, anche Renzo e Rosa, genitori di Luciana, assieme agli instancabili Aldo e Maddalena, sono sempre in prima linea, la loro esperienza e saggezza agricola, un vero patrimonio. Nel 2014 entra in azienda la già citata Michela, figlia di Vittorio, che assieme a mamma Grazia ricopre oggi il ruolo di export manager. Insomma il team degli Adriano è davvero ben nutrito, i giovani rampolli sono motivati e desiderosi di mostrare il loro talento nel rispetto delle tradizioni di famiglia: Elisa e Andrea, figli di Marco e Luciana, e anche Sofia, l’ultima figlia di Vittorio e Grazia.
La storia di questa famiglia, sin dal principio, è legata indissolubilmente ad un luogo ben preciso, ovvero la frazione della cittadina di Alba chiamata San Rocco Seno d’Elvio. Situata a 180 metri sul livello del mare, è composta da 218 abitanti, gli ettari vitati a nebbiolo da Barbaresco sono 45,12, ammessa nel disciplinare DOCG solo per quanto concerne la destra orografica del torrente Seno d’Elvio, che gli dà il nome, preceduto dal santo patrono. Elvio è anche l’imperatore romano Publio Elvio Pertinace, che in queste lande nacque, governò a Roma per pochi mesi, venne ucciso successivamente per mano dei Pretoriani.
Attualmente l’azienda dispone di 50 ettari, 10 dei quali coltivati a nocciole, un altro grande prodotto che ha reso celebre il territorio langarolo, inoltre, 10 ettari di boschi e terreni a riposo, per concludere con la parte più rilevante, ovvero 30 ettari vitati coltivati a nebbiolo, nebbiolo da Barbaresco, barbera, dolcetto, freisa, sauvignon blanc e moscato bianco. Allo stato attuale il marchio Adriano coltiva e vinifica esclusivamente uve di proprietà, è molto sensibile all’ecosostenibilità e collabora attivamente al progetto denominato “The Green Experience”, ovvero una certificazione collettiva, che si impegna ad attuare un tipo di agricoltura integrata e sostenibile, dedicata ai vini prodotti in Piemonte. Il brand, come cita il protocollo: “nasce per valorizzare la distintività dei metodi di produzione, per conservare le risorse naturali e per prendersi cura del paesaggio collinare, è una proposta di collaborazione, fatta dal produttore al consumatore, per realizzare il sogno di una viticoltura ecologica, buona da bere, bella da vedere”.
Veniamo ai vigneti di famiglia, attualmente il patrimonio dell’azienda si estende su quattro protagonisti indiscussi. Il primo è “Mottura”, tra i primi vigneti della cantina, età media 15-30 anni, esposto a sud ovest a circa 300 metri sul livello del mare, le varietà protagoniste sono moscato, dolcetto e nebbiolo. “Avoglieri Argantino”, vigneto pressoché identico al precedente nelle specifiche, ma con vigne più giovani (15 anni) ed esposizione sud-est, est e ovest. “Sanadaive”, traduzione in dialetto piemontese di ”Seno d’Elvio”, esposto a sud ovest, è un vigneto di trent’anni, sitato a 280 metri sul livello del mare, qui l’azienda predilige l’allevamento di freisa e nebbiolo, ed una resa leggermente inferiore rispetto ai due vigneti precedenti (1.8 kg. per ceppo, 4000 per ettaro, contro i 2 kg. per ceppo e 4500 per ettaro). I tre vigneti appena descritti sono ubicati nella frazione della cittadina di Alba chiamata San Rocco Seno d’Elvio e il terreno è composto da marna bianca tufacea, per l’esattezza marna di Lequio, con maggior presenza di sabbia, questo caratterizza notevolmente il profilo dei vini, donando tratti maggiormente delicati, incentrati sulla finezza, soprattutto floreale, e con un tannino misurato e certamente meno rude. Chiude il celebre cru “Basarin”, tra le MGA (Menzioni Geografiche Aggiuntive) più note del Barbaresco DOCG, unico outsider di casa Adriano, perché situato a Neive, comune inserito a pieno titolo nel disciplinare di produzione, assieme a Treiso e al celebre borgo omonimo che dà il nome al famoso vino langarolo. Questo vigneto di 17 anni, esposto a sud est in colline ben assolate a 300 metri sul livello del mare, è composto da argilla strutturata che deriva da marne tufacee in questo caso color grigio, anche chiamata marna di Sant’Agata, un terreno più compatto che dona maggior potenza e struttura, tannini certamente pronunciati e grandi potenzialità d’invecchiamento, non che gli altri tre regalino vini meno longevi, il nebbiolo il Langa difficilmente teme la corsa contro il tempo. Oltre al vitigno pimontese per eccellenza, in questo vigneto si coltiva anche la barbera, le rese sono identiche al “Sanadaive”.
Durante la visita guidata in azienda, condotta con simpatia e professionalità da Grazia, son rimasto colpito dall’imponenza paesaggistica dei vigneti in San Rocco Seno d’Elvio. Un bel gioco di colori anche in questa stagione, la tonalità che deriva della vite a riposo s’alterna alle sfumature calde dei noccioleti e ai rimandi boschivi. Qui la natura si esprime con tratti del tutto particolari, meno ordinati e simmetrici, rispetto ad altri comuni inseriti nel disciplinare del Barbaresco, una natura più selvaggia, spontanea, ricorda molto alcune delle colline di casa mia, parlo dell’Alto Piemonte. Molto belle anche le cantine di famiglia, le stesse sono state interamente ristrutturate e ricavate dai sotterranei della cascina, un ambiente perfetto per l’affinamento dei vini con temperatura costante e spazi idonei. Oltre al classico “infernot” piemontese, dove vengono custodite gelosamente le vecchie annate, son rimasto affascinato dalle opere di Angela Policastro, una giovane artista che espone in cantina quadri che ritraggono l’universo femminile a 360°. Un mix di sensualità, fascino ed eleganza, che a mio avviso ben rappresenta metaforicamente la gamma dei vini della cantina Adriano.
Dunque approfondiamoli nell’ordine in cui Grazia, raggiunta successivamente dal marito Vittorio, me l’ha offerti, in quella che ricordo come una bellissima e spensierata giornata di fine gennaio, ricca di sole e temperature certamente sopra la media stagionale. Ricordo di aver slacciato e tolto subito il giubbotto, soprattutto durante la visita al vigneto “Sanadaive”, situato vicino all’azienda.
Langhe Sauvignon Basaricò 2018
La sfida di produrre un bianco degno di nota, per la famiglia Adriano, arriva con la “scoperta” dell’uva sauvignon blanc, non certo nel senso letterale del termine. Passate in rassegna vare cultivar, comprese quelle autoctone, è proprio quest’uva originaria della Francia a dare i migliori risultati nel comprensorio di San Rocco Seno d’Elvio, soprattutto nel vigneto “Mottura”. Il “Basaricò” 2018, in dialetto piemontese “basilico” per via degli aromi fortemente riconducibili alla nota pianta aromatica, nasce da una pressatura soffice, il mosto ottenuto fermenta ad una temperatura di 15°-16°C, non viene effettuata la malolattica, il vino affina esclusivamente in acciaio, seguendolo in tutte le fasi, bottiglia a parte naturalmente. 13% Vol., paglierino algido, sfumature eleganti che ricordano in controluce l’erba verde. Il naso non si discosta molto da ciò che la vista percepisce, toni erbacei di basilico secco, clorofilla, menta peperita, un frutto croccante e dolce che dà sul tropicale, mango, kiwi, ma anche melone d’inverno, chiude un accento salmastro. Palato teso, fresco, media struttura e sapidità, un sorso equilibrato che colpisce per la sua lunga persistenza e moderata intensità, alcol assente, non impegna/appesantisce, ma al contempo cattura proprio per la sua estrema piacevolezza. Perfetto su un crudo di gamberi o su una quiche lorraine, per rendere onore alla nazione del vitigno.
Vino Spumante Brut Rosato Dudes
Traduzione dal dialetto piemontese di “dodici”, è un omaggio alla gamma Adriano, giunta al dodicesimo vino prodotto nella sua storia. Impronta moderna, spensierata, adatta a ogni fascia di pubblico, soprattutto giovane a mio avviso. Questo metodo charmat lungo da uve 100% freisa, vitigno autoctono piemontese allevato nel vigneto “Sanadaive”, deriva da una raccolta leggermente anticipata rispetto al Langhe Freisa, vino rosso fermo che vedremo in seguito; tutto ciò per ricavare un’acidità più spiccata dalle uve, pressate delicatamente in seguito, il mosto rosato che ne deriva fermenta in vasche d’acciaio inox a temperatura controllata, presa di spuma in autoclave. 12.5 % Vol., il perlage continuo e minuto, evidenzia in controluce riflessi rame che derivano da un rosa tenue molto elegante. Un respiro dolce e croccante di fragolina di bosco, ciliegia, lampone, rosa rossa, lieviti e cipria, segue un ricordo balsamico di menta peperita. In bocca è agile, perlage incisivo al contempo carezzevole, dotato di una certa rotondità data dal frutto opportunamente maturo, la media sapidità ne allunga il finale che risulto fresco e pulito. La bevibilità è protagonista, l’abbinamento con la più classica delle pizze, dedicata alla famosa regina Margherita, un gran bel dovere.
Langhe Freisa Lice 2018
Vitigno autoctono piemontese, coltivato da sempre in Langa, ma anche nel tortonese e nella provincia di Torino, quella degli Adriano è un’interpretazione molto valida perché rispetta al 100% le peculiarità del varietale. La freisa, così come dolcetto, grignolino o barbera, dà il massimo quando vinificata in acciaio; a mio avviso son poche le zone in Piemonte, che posseggono quel mix di terreno e condizioni pedoclimatiche che ben si prestano ad un’elaborazione del concetto di complessità ed evoluzione, in relazione a questo particolare vitigno. Trattare la freisa come un nebbiolo, ovvero con lunghe macerazioni, o particolari scelte d’affinamento, è un’arma a doppio taglio, si rischia inutilmente di snaturare ciò che la cultivar ha da offrire; qualcuno c’è riuscito, soprattutto nel Tortonese, mi viene in mente Claudio Mariotto ad esempio. “Lice” è un vino molto particolare, contiene quella particolare briosità che ha segnato la storia di quest’uva. Dopo una vendemmia selezionata, viene pigiata e messa a fermentare in vasche di acciaio inox ad una temperatura di 25°-26°C. Successivamente si effettua una rifermentazione in autoclave che dona al vino quella leggera vivacità che amplifica soprattutto la fragranza dei profumi e la piacevolezza della beva. Ma siamo in Langa, ben intesi, di spensierato in queste colline, giusto il caffè dopo un’ottima cena a base di tajarin, bollito misto con bagnetto verde e l’immancabile bunet. Quest’etichetta non fa eccezione, 13% Vol., al naso mostra tutta l’esuberanza dei sentori fruttati che ricordano la marasca, il lampone, un’intensa vinosità che conquista senza appesantire; la trama speziata sottile rimanda al pepe nero e al chiodo di garofano. Un sorso vivace, per ovvie ragioni, spinto da freschezza e slancio, ma la sapidità e la media struttura lo rendono tutt’altro che banale perché il frutto continua a rimanere incollato al palato. Vino da grandi merende primaverili: torte salate a base di verdura e formaggio, frittata di patate, pane e salame è ciò che lo esalta di più.
Dolcetto d’Alba Aldo 2018
Il nome dell’etichetta è inequivocabile, dedicata ad uno dei pionieri di casa Adriano, tuttora fonte inesauribile di pregiati consigli per l’attività di famiglia. Ricordo una bella foto postata da Michela ad inizi febbraio, ritraeva nonno Aldo, 87 candeline spente lo scorso anno, seduto ad un tavolo, nel cortile della cascina, intento a spiegare la magnificenza di questo grande vitigno autoctono piemontese. Sullo sfondo ovviamente un bicchiere colmo di Dolcetto, che da sempre occupa un posto di rilievo nel suo cuore. Il vino del popolo, del quotidiano, della mensa di tutti i giorni, un bicchiere, forse due, il premio per lo sforzo compiuto nel duro lavoro nei campi, ancorato al passato ma a mio avviso sempre più attuale. Il vino del futuro, per le sue doti di bevibilità, ah, se solo i piemontesi ne comprendessero il valore, ma non è così purtroppo, almeno per ora, il dolcetto è il vitigno più ingiustamente sottovalutato dell’intera regione, ci tengo a ribadirlo. Allevato nel vigneto Avoglieri Argantino, dopo una vendemmia selezionata, il vino fermenta in vasche di acciaio inox a una temperatura di circa 25°-26°C, successiva svinatura e relativi travasi, affina solo in acciaio più qualche mese in bottiglia prima della messa in commercio. 13% Vol., il manto rubino evidenzia sull’unghia riflessi porpora, vivace e luminoso nonostante la profondità di colore. Roteandolo nel bicchiere mostra consistenza e buon estratto, un profluvio di sentori floreali e fruttati di estrema freschezza: ciliegia, fragola, violetta, ribes, rosa rossa, un accenno speziato di chiodo di garofano e pepe nero, mentolo, chiude un ricordo di mandorla e brezza marina. In bocca è succoso, fresco, tannino percettibile e grintoso, sviluppa tutta la succulenza del frutto, coerentemente affiancata ad un ricordo di mandorla che contraddistingue il varietale, soprattutto quando vinificato in acciaio. Vino che si abbina magistralmente a grigliate di carne di maiale.
Barbera d’Alba 2018 e Barbera d’Alba Superiore 2017
La barbera è un altro dei grandi vitigni autoctoni del Piemonte, animo nobile ma DNA puramente proletario. Per via della sua grande acidità si presta a diverse interpretazioni, ma una vinificazione essenziale attenta a preservare le spiccate doti di bevibilità, a mio avviso, è sempre la scelta migliore. Le due versioni proposte della cantina Adriano, derivano da vigneti diversi. L’etichetta 2018 “classica”, non intesa come menzione del disciplinare, (odio usare il termine “base”), è prodotta con un uve allevate nel vigneto Mottura, segue la stessa vinificazione del Dolcetto d’Alba, fermentazione in vasche d’acciaio inox a temperatura di circa 25°-26°C e affinamento nel medesimo materiale. La “Superiore” 2017 invece, deriva dal vigneto in Neive “Basarin”, e dopo la stessa fermentazione della versione precedente, affina in acciaio e successivamente, per alcuni mesi, in botti di rovere di Slavonia di media capacità (da hl 30 a 50 hl). Rubino squillante con riflessi porpora la prima etichetta (14 % Vol.), mentre la seconda (14,5 % Vol.), evidenzia riflessi granato in controluce, con l’invecchiamento tenderanno ad aumentare. Confrontando i vini è appassionante coglierne i sentori floreali e fruttati, l’evoluzione degli stessi è viva, quasi palpabile, freschi e croccanti nella prima versione, leggermente maturi e lontani dalla confettura nella seconda. Vediamoli nell’ordine: visciole, rosa, mora, susina rossa, liquirizia dolce, (in bastoncino nella “Superiore”); quest’ultima rivela una spezia più stratificata, ovvero cannella, grafite, bacca di ginepro e chiodo di garofano, mentre il pepe nero è protagonista nella prima etichetta. La Barbera d’Alba Superiore inoltre possiede una trama minerale che ricorda il sottobosco, il terriccio, terroir e tipologia d’affinamento in questo caso non passano inosservati, soprattutto in relazione alla spezia e alla tostatura. Ciò che accomuna sensibilmente i due vini è la vibrante freschezza del sorso, protagonista del vitigno, questa caratteristica amplifica l’agilità di beva in un crescendo di sapidità e struttura, che va dal primo al secondo campione. Quest’ultimo, nell’annata 2017 notoriamente calda e sopra le righe, mostra un corpo piuttosto pronunciato che mette leggermente in ombra l’austerità a cui siamo abituati, in questa fase, a mio avviso, il legno non è del tutto assorbito, un prolungato affinamento in cantina ne stabilizzerà l’insieme. Ho personalmente abbinato la Barbera DOC 2018 ad un risotto mantecato a dovere, guarnito con salsiccia di Brà rigorosamente a crudo, e la Superiore 2017, ad uno stracotto di manzo con funghi cardoncelli. Entrambi i prodotti tengono molto bene anche l’accostamento con formaggi medio-stagionati di latte vaccino, ovviamente si può giocare in virtù della differenza d’affinamento tra i due vini e la stagionatura dei formaggi.
Langhe Nebbiolo Cainassa 2018
Entriamo nel mondo nel nebbiolo, il vitigno che più di tutti rappresenta la storia della famiglia Adriano, nella versione Barbaresco DOCG, la massima espressione del patrimonio aziendale. Ma il Barbaresco è pur sempre un nebbiolo, ed è sempre dal varietale che si parte per raccontare un territorio, le peculiarità che l’anno reso grande e le differenze con altri blasonati comprensori dove cresce e regala emozioni. Amo le aziende che nella gamma includono almeno una versione vinificata in solo acciaio, perché questo materiale non influisce in nessun modo nelle caratteristiche sensoriali del vitigno. A titolo d’esempio, il vigneto di proprietà più antico degli Adriano, il “Cainassa”, da cui prende il nome l’etichetta, ubicato in San Rocco Seno d’Elvio, potrà mostrare tutte le sue peculiarità direttamente nel calice, senza che agenti esterni possano comprometterne in nessun modo le sfumature. Una volta fatto ciò, si potrà passare a degustare le versioni più blasonate, cercando di tenere sempre a mente le caratteristiche principali del varietale. Ovviamente non si può generalizzare, bisogna tener conto delle dovute eccezioni, ove particolari vigneti ubicati in cru che esprimono la potenza inaudita del nebbiolo, dovranno necessariamente sostare in legno, e per diverso tempo, per stemperare l’irruenza tannica e la struttura che ne deriva. Torniamo al “Cainassa”, 13,5 % Vol., vendemmia nella prima decade di ottobre, fermentazione svolta in acciaio a temperatura controllata di 27-28°, segue affinamento in acciaio e alcuni mesi in bottiglia. Un calice granato, con riflessi color mattone, tendente all’aranciato con l’affinamento. Il naso, rivela i sentori tipici del nebbiolo allevato in Langa su terreni che hanno buona percentuale di sabbia, oltre a marne ed argilla; per certi versi, struttura a parte leggermente più pronunciata, ricorda molto i vini prodotti con il medesimo vitigno nella zona del vicino Roero o dell’Alto Piemonte, soprattutto il versante biellese. Sorso fresco, teso, dotato di una certa rotondità, è proprio quest’alternarsi di sensazioni contrastanti a colpire; tannino serico, buona sapidità, coerenza di note olfattive, soprattutto l’acidità dei frutti rossi. Chiude pulito ed al quanto “dissetante”, quest’elemento ne amplifica la piacevolezza. Vino adatto a contrastare la succulenza di buon piatto di agnolotti di carne al sugo d’arrosto.
Barbaresco Sanadaive 2016
Il primo dei due cavalli di razza della cantina, “Sanadaive” è la forma dialettale che si usa in gergo per indicare la frazione di San Rocco Seno d’Elvio. Quest’etichetta prodotta con il 100% di uve nebbiolo allevate nel vigneto omonimo, è quella che rappresenta maggiormente la storia della cantina, perché rispecchia fedelmente il luogo dove questa azienda è nata e nel tempo si è sviluppata. E’ un’area tra le più meridionali dell’intero areale di produzione del Barbaresco, terreni meno compatti rispetto ad altri comuni, le marne si alternano a strati di sabbia e le brezze del fiume Tinella coccolano le uve, mantenendole sane e costantemente ventilate, condizione necessaria per produrre vini eleganti, profumati e di grande espressività. Altitudine di 280 metri sul livello del mare ed esposizione rivolta a Sud-Ovest, da segnalare l’estrema biodiversità dalla natura circostante, rappresentata dai noccioleti di famiglia, famosa la tonda gentile che ne deriva, e i boschi limitrofi, mantenuti in vita grazie al costante impegno della famiglia Adriano, tutto ciò testimonia l’interesse specifico nel mantenere vivo il territorio naturale ed originario delle Langhe. Vendemmia solitamente svolta durante la seconda decade di ottobre, le uve pigiate vengono messe a fermentare in vasche d’acciaio ad una temperatura di circa 28°, successivi travasi ed affinamento in botti di rovere di Slavonia di media capacità (da hl 30 a 50 hl) per un periodo mai inferiore a 26 mesi, oltre ad un periodo di affinamento in bottiglia. Il millesimo 2016, a ragion veduta, rischia di entrare nella lista delle migliori annate del nuovo millennio: regolare, priva di siccità e temperature fuori dalla norma, sicuramente un’estate non torrida ed assenza di fenomeni atmosferici avversi, quali prolungate piogge in vendemmia o peggio grandinate, insomma tutti i crismi per poter preservare l’austerità del nebbiolo, chissà per quanti altri anni a venire. 14% Vol., tra il granato e il rubino, tonalità calda e vivace, mostra archetti fitti e regolari, oltre ad un buon estratto. Il quadro olfattivo si regge su toni boschivi che rimandano al territorio circostante, pepe nero, anice, note balsamiche di mentolo rinfrescano il respiro, addolcito ulteriormente da piccoli frutti rossi, ribes e fragolina di bosco, ma soprattutto violetta e rosa rossa. Il comparto floreale è protagonista, resta incollato, anche a bicchiere vuoto, per molti minuti, è quest’elemento di grande finezza che caratterizza il territorio di “Sanadaive”. Il palato è la fotocopia esatta del naso, l’acidità dei frutti rossi sviluppa una freschezza che accompagna il sorso durante tutta la fase di degustazione, lo stesso è intervallato da guizzi speziati, una lunga scia sapida, e un tannino pronunciato ma di grana fine, non irruente, caratteristica che lo rende particolarmente adatto a svariati abbinamenti gastronomici, ad esempio costolette d’agnello al vino rosso, caponèt alla piemontese (involtini di verza ripieni di carne).
Barbaresco Basarin 2016
Basarin è un cru esposto a sud est ubicato nel comune di Neive, tra le MGA (Menzioni Geografiche Aggiuntive) del Barbaresco DOCG è certamente tra le più conosciute. Colline ben assolate a circa 300 metri sul livello del mare, la particolarità del terreno è data dal suo identikit, un composto di argilla strutturata che deriva da marne tufacee color grigio, anche chiamate marne di Sant’Agata. 14 % Vol., segue lo stesso protocollo di vinificazione e affinamento del precedente. A dimostrazione del fatto che l’annata 2016 evolverà egregiamente per chissà quanti anni ancora, non posso che riportare la mia descrizione dell’articolo di “Espressione Barbaresco”, quando lo assaggiai in anteprima, vi assicuro che il vino da maggio scorso è rimasto immutato, è nella cosiddetta fase dormiente. Ho paragonato le due schede con le mie impressioni e le caratteristiche sono le stesse: “Il vino mostra carattere già della bella tonalità granato vivace, con unghia rubino. Un naso davvero stupendo, impregnato di frutti croccanti, visciola e susina rossa, bastoncino di liquirizia ed eucalipto, pepe nero, nitida la nota minerale pietrosa, impreziosita dall’arancia rossa sanguinella. In bocca è sorprendente nonostante la giovane età, tannino vispo ma ben integrato, coerenza di note agrumate/speziate, finale lunghissimo e salato.” Per via del tannino pronunciato e della maggior struttura rispetto al “Sanadaive”, si accosta magistralmente al classico brasato al Barbaresco, cacciagione in umido, ma è stupendo anche con un Parmigiano Reggiano 36 mesi.
Barbaresco Sanadaive 2010
Non poteva mancare un campione che esprimesse con i fatti la longevità del nebbiolo anche in “Sanadaive”, a mio avviso un comprensorio che avrà molto da dire in futuro. L’orientamento dei mercati richiede sempre più vini bevibili, freschi, austeri, scattanti per così dire. Son molto contento che a paragone dell’annata 2016 ci sia proprio la 2010, simile per certi aspetti, questo mi permetterà di comprendere, in un viaggio immaginario, come evolverà la 2016, anche se poi ogni bottiglia è a sé, per non parlare dell’annata e della magia dell’evoluzione in cantina che riserva sempre sorprese, nel bene e nel male. 14 % Vol., granato tendente all’aranciato sull’unghia, profumi di sottobosco, erbe officinali, un floreale acre di rosa rossa stimola il naso assieme a piccanti note di chiodo di garofano e paprika, continua su foglia di tabacco, amarena Fabbri, cuoio, grafite, nocciola tostata e un freschissimo agrume che rimanda alla scorza disidratata di arancia rossa sanguinella. Quest’ultimo sentore è un ricordo che ho sin da quando ero bambino, mi divertivo a posizionare le bucce delle arance sul termosifone di mia nonna, con pazienza ne attendevo l’essicazione, per poi coglierne l’aroma. Il vino è capace di questi miracoli, riportarci indietro nel tempo anche meglio di una fotografia, per il semplice fatto che coinvolge più sensi. In bocca ha raggiunto un equilibrio ben lontano dal suo apice, è ancora giovane, scattante, il tannino, certamente addomesticato, rende vivo il sorso e la sapidità ne allunga il finale. Lungi dal voler sembrare retorico, in questo caso l’abbinamento non è con una sola pietanza, ma con l’intera cena in compagnia di una bella donna, perché le forme sinuose di questo vino, unite all’eleganza dell’insieme, non possono che ricordarne le sensazioni. Fin troppo facile chiudere il cerchio ricollegandomi ai quadri dell’artista Angela Policastro, esposti nelle cantine Adriano, una splendida famiglia a cui auguro di continuare la loro attività sempre nel grande rispetto della tradizione langarola.
Andrea Li Calzi