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Cibo e Cultura

Alla Corte di Sua Maestà Castelmagno

Zona di produzione del Castelmagno DOPIntroduzione e storia
Il Castelmagno, uno dei simboli dell’eccellenza gastronomica del Piemonte, è nato dalla creatività dei pastori dell’Alta Valle Grana. Esso si annovera certamente tra i migliori prodotti caseari piemontesi, e si produce da tempi antichissimi. Si tratta di un formaggio stagionato e a pasta semi-dura, ottenuto dal latte vaccino di più mungiture consecutive, eventualmente addizionato con latte ovino e/o caprino in percentuale da un minimo del 5% ad un massimo del 20%.
Le sue stesse origini sono avvolte nella leggenda, prima fra tutte quella legata al nome, che potrebbe derivargli dal Santuario di San Magno, costruito in memoria di un soldato romano martirizzato sulle montagne circostanti, oppure dall’imperatore Carlo Magno, grande estimatore. Racconta la leggenda che, quando il suddetto “cacio rosso e verrucoso” apparve per la prima volta sulla sua tavola, il monarca lo assaggiò soltanto dopo averne accuratamente scartato le muffe verdi, frutto della lunga stagionatura. Ma dopo lunghe insistenze si lasciò convincere a provare anche queste, per innamorarsi poi del Castelmagno al punto da non farlo mai mancare tra i suoi piatti preferiti. Le prime notizie di un formaggio con questo nome, utilizzato come forma di pagamento delle gabelle (tasse sugli scambi e sui consumi di alcune merci) dagli abitanti della zona, risalgono alla fine del tredicesimo secolo; probabilmente però la sua produzione iniziò ben prima, intorno all’anno mille.
Che il Castelmagno fosse rinomato anche in tempi molto remoti, lo dimostra il testo di una sentenza arbitrale del 1277, relativa all’usufrutto di alcuni pascoli in contestazione fra i Comuni di Castelmagno e di Celle di Macra; nella controversia il comune di Castelmagno ebbe la peggio ed il prezzo della sconfitta fu il pagamento in natura, sottoforma di canone annuo, di alcune forme di formaggio Castelmagno da versare al Marchese di Saluzzo. Questo canone annuo consisteva precisamente in sette forme di formaggio Castelmagno, d’Alpeggio naturalmente. La forma di formaggio rappresentava una unità di scambio e valeva circa dodici denari, il che dimostra quanto valesse già allora questo eccezionale formaggio.

CastelmagnoSi narra anche che, sempre intorno al 1200, il possesso di alcune forme di Castelmagno costituì il pretesto per una guerra tra i comuni di Cuneo e Saluzzo, guerra che durò – si racconta – trent’anni, uno per ogni forma di formaggio contesa. Cinque secoli più tardi un decreto di Vittorio Amedeo II di Savoia ordinerà “la regalità di rubbi nove di formaggio“.
Vittorio Amedeo II di Savoia era così ghiotto di questo cibo, da decretare nel 1722 l’obbligo per la comunità di Castelmagno di inviargli annualmente, oltre a un reddito in soldi, anche 9 rubbi di formaggio. Anche i Papi di Avignone ne erano grandi estimatori, consumandolo sovente nei loro sontuosi palazzi. L’Ottocento è l’epoca d’oro di questo prestigioso formaggio: il Castelmagno diventa il re dei formaggi italiani e compare nei menu dei più rinomati ristoranti d’Europa, primi fra tutti quelli di Londra e di Parigi. Poi inizia un periodo di decadenza: le due grandi guerre comportano lo spopolamento delle valli di montagna, e fino agli anni Settanta il Castelmagno – oltre a rischiare seriamente di scomparire – rimane quasi del tutto sconosciuto al grande pubblico, che inizia a “gustarlo”, e quindi ad apprezzarlo, solo verso l’inizio degli anni Ottanta, per essere infine riconosciuto come una delle produzioni casearie tra le più rare, genuine e pregiate d’Europa. Il Castelmagno ottiene nel 1982 il riconoscimento nazionale DOC e successivamente, nel 1996, il riconoscimento europeo DOP. Nel 2002 è stato riconosciuto ufficialmente il Consorzio per la tutela del Castelmagno con lo scopo di promuovere e tutelare questo eccellente formaggio. Oggi il Castelmagno è apprezzato proprio per la qualità della materia prima con la quale è prodotto. La particolare varietà e il sapore delle erbe presenti nei pascoli, danno a questo formaggio un sapore davvero unico. Il latte proviene da vacche appartenenti alle razze tipiche dell’arco alpino, in particolare la Piemontese, la Bruna Alpina e le varie Pezzate Rosse.

Bovini al pascolo Zona di produzione
Oggi il Castelmagno viene prodotto, stagionato e confezionato esclusivamente nel territorio amministrativo dei comuni di Castelmagno, Pradleves e Monterosso Grana in provincia di Cuneo. Dagli stessi comuni deve anche provenire il latte destinato alla trasformazione. Viene considerato di particolare pregio il formaggio ottenuto dagli allevamenti situati proprio a Castelmagno. Il Castelmagno può fregiarsi della menzione aggiuntiva “Prodotto della montagna” quando la produzione del latte, la trasformazione e la stagionatura avvengono in zone classificate come montane. Se invece il formaggio è prodotto e stagionato sempre all’interno dell’area di produzione riconosciuta, ma ad una quota superiore ai 1000 m, può portare la menzione “di Alpeggio”.
Per approfondimenti sulle caratteristiche e sul metodo di produzione del Castelmagno DOP potete consultare l’apposita sezione Dop e Igp.

Una preparazione con il Castelmagno DOPConsigli di degustazione
Innanzitutto, è necessario distinguere già visivamente le diverse tipologie di Castelmagno: quello più fresco ha una crosta sottile, liscia e rossastra, la pasta interna è friabile e di colore bianco perlaceo. Quando la stagionatura si avvicina ai cinque mesi la crosta si ingiallisce e diventa più rugosa, la pasta interna è più compatta e i colori si ingialliscono, talvolta assumono venature verdi.
In bocca è friabile e finemente granuloso e presenta un sapore caratteristico che ricorda le erbe aromatiche di montagna. Nella tipologia più giovane, il sapore è fine e delicato, moderatamente salato; viceversa, la stagionatura prolungata esalta le caratteristiche raffinate di questo formaggio “nobile” che, nel tempo, può presentare anche una leggera erborinatura, apprezzata dagli intenditori; in questo caso il sapore diventa più forte, sapido e piccante (a dire il vero, il Castelmagno più stagionato era preferito in passato: per numerosi secoli, e fino a vent’anni fa, questo formaggio veniva stagionato per circa un anno ed era decisamente saporito. Oggi, però, la tendenza è purtroppo quella di metterlo in commercio molto giovane e non erborinato, e la stagionatura media supera di poco le quattro settimane. Perciò il Castelmagno non presenta più le muffe tanto amate dal grande imperatore Carlo Magno, ed ha un sapore senz’altro più fine e delicato. Per avere una forma di quelle prodotte “all’antica”, e dunque lasciata a stagionare per alcuni mesi, bisogna mettersi d’accordo con un produttore). Oltre che come formaggio da tavola, nella cucina più tipica della tradizione contadina della Valle i gnocchi al Castelmagno rappresentano sicuramente il piatto più apprezzato e prelibato.
E’ usato non solo per preparare diversi piatti tipici, come ad esempio le più raffinate crêpes, ma è in generale ideale per la preparazione di paste, riso, torte salate e fondute, ed è ottimo per piatti che richiedono una cottura in forno. Lo trovo speciale gustato semplicemente con pane di segale o pane rustico ai cereali. Quello invecchiato è ottimo assaporato da solo, ma lo è ancor di più se accostato a un buon miele di castagno o una melata di quercia, oppure abbinato ad una marmellata di mirtilli o mostarde delicate di frutta. Per seguire la tradizione, suggerisco di provarlo con la “cugnà”, una salsa tradizionale delle langhe piemontesi, a base di mosto d’uva, mele, pere, fichi e spezie. Tra i piatti più apprezzati dagli intenditori, riporto questa ricetta, certificata dall’Accademia delle Tradizioni Enogastronomiche del Piemonte: Risotto al Castelmagno DOP, miele e noci.
Un’altra esperienza classica e tipicamente invernale, ma senza ombra di dubbio tra le più appaganti per il palato, è la crema di Castelmagno accompagnata con la polenta gialla. Con questo eccezionale formaggio è possibile preparare anche delle deliziose vellutate di verdure di stagione; di certo non resisteremo al farci avvolgere dal suo profumo intenso, che ben si amalgama alla dolcezza e delicatezza degli ortaggi freschi. I vini che suggerisco in abbinamento variano a seconda della stagionatura del formaggio: Nebbiolo e Barbera per le forme più giovani, Barbaresco e altri vini più strutturati per le stagionature tarde.
Il Castelmagno si conserva, avvolto in un telo bianco, in ambiente fresco,oppure in frigorifero. In quest’ultimo caso, è necessario porre il prodotto nello scomparto meno freddo, avvolto nel proprio incarto d’acquisto o in carta argentata e chiuso in contenitori di vetro o plastica, così da evitare che assorba o trasmetta odori agli altri alimenti. Per non lasciarsi sfuggire proprio nulla, segnalo che nel penultimo fine settimana di settembre a Caraglio (Cn) avviene la Sagra del Castelmagno, con degustazioni e curiosità su questo formaggio.

Logo Castelmagno DOPRiflessioni sulla qualità e l’origine del Castelmagno
Trattandosi di un prodotto legato ad un’alta tipicità territoriale, le caratteristiche del Castelmagno sono legate all’origine della materia prima, al luogo e al metodo di trasformazione. La particolare varietà e la fragranza delle erbe presenti nei pascoli di alta valle costituiscono il presupposto fondamentale per produrre latte vaccino di grande qualità, da trasformare appunto in Castelmagno.
Apprezzato per i suoi pregi fin dalle origini, il Castelmagno è stato però riscoperto a livello nazionale ed internazionale solo in anni recenti, grazie all’opera di razionalizzazione e uniformazione delle tecniche di produzione che, tramandate da secoli nelle loro linee generali, restano completamente artigianali e registrano molte varianti legate ai luoghi, ai tempi ed ai metodi di lavorazione adottati dai singoli produttori. Questi ultimi, pur riducendosi di numero, raffinano e migliorano continuamente le tecniche di lavorazione del Castelmagno, adoperandosi per una più attenta tutela del marchio.
Il marchio di origine – costituito da una “C” stilizzata con abbozzi di vette alpine nella parte superiore ed al centro una forma ellittica di formaggio intagliato- deve essere impresso in rilievo su ogni forma, e stampato al centro della caratteristica etichetta a forma di una croce occitana. Come già accennato sopra, la ripresa produttiva di questo formaggio avviene a partire dai primi anni ’80: per questo, dalla consapevolezza e dalla necessità di promuovere e tutelare la produzione di un formaggio così unico e particolare, si arriva all’ottenimento della D.O.C. “denominazione di origine controllata” nel 1982), ed infine della D.O.P. “denominazione di origine protetta”, nel 1996.
Il 19 giugno 1984 diciotto produttori di Castelmagno della zona tipica di produzione costituiscono il Consorzio per la tutela del formaggio di origine Castelmagno con l’intenzione di preservare il loro prezioso prodotto da tentativi di imitazione a danno del loro lavoro e dei consumatori. L’importante funzione di tutela del marchio “Castelmagno” svolta dal Consorzio nei suoi 17 anni di vita si è palesata anche durante alcune vicende giudiziarie, che lo hanno visto costituirsi come parte civile in diverse cause di contraffazione del marchio ed imitazioni illegali del formaggio, fino ad arrivare alla collaborazione con il Servizio della Repressione Frodi in almeno una decina di casi sospetti segnalati sia dai consumatori che dagli associati del Consorzio stesso. Oggi, con la nuova regolamentazione comunitaria, il Consorzio limita il suo operato alla tutela del marchio garantendo “l’autenticità” dell’ inimitabile formaggio d’alpeggio, promuovendone al contempo la genuinità e le esclusive proprietà organolettiche.
E’ storia recente la fuoriuscita dal consorzio di tutela di buona parte dei produttori storici castelmagnesi contrari, sia all’adozione della normativa che determina i voti all’interno del consiglio d’amministrazione in base alla quantità di merce prodotta e non già come unità d’azienda, e sia alle modifiche apportate al disciplinare tecnico di produzione troppo inclini ad un prodotto “industriale” e poco attente alla salvaguardia dei millenari metodi tradizionali.
Oggi infatti il formaggio in commercio è spesso prodotto industrialmente in caseifici di valle ma ci sono ancora malgari che rispettano i principi storici di produzione tramandati oralmente di padre in figlio.

Stagionatura del Castelmagno presso la Cooperativa Produttori Alta Valle GranaAttualmente, tra Castelmagno, Pradleves e Monterosso Grana, i produttori sono rimasti un numero esiguo, una dozzina circa. Essi producono approssimativamente sei-settemila forme all’anno di un eccezionale formaggio che i più esclusivi ristoranti del mondo – fino a Tokyo e a New York – si contendono. Merita senz’altro di essere menzionata anche La Cooperativa Produttori “Alta Valle Grana”, nata nell’anno 2000. Essa conta 10 soci di cui 9 imprenditori agricoli e la Comunità Montana Valle Grana, che ha promosso la costruzione del caseificio cooperativo realizzato nel Comune di Pradleves. La Cooperativa opera nell’area di produzione del Castelmagno D.O.P. producendo il famoso formaggio e svolgendo un importante ruolo di coagulante e traino per le forze produttive della zona, al fine di migliorare sia le condizioni economiche che quelle relative alla filiera della trasformazione e della commercializzazione del prodotto.
Il Castelmagno può fregiarsi della menzione aggiuntiva “Prodotto della montagna” quando la produzione del latte, la trasformazione e la stagionatura avvengono in zone classificate come montane. Se invece il formaggio è prodotto e stagionato sempre all’interno dell’area di produzione riconosciuta, ma negli alpeggi a quota superiore ai 1000 m di altitudine, l’etichetta può portare la menzione “di Alpeggio”. Le due menzioni sono facilmente identificabili dal colore dell’etichetta, blu nel caso del “Castelmagno prodotto della montagna”, e verde nel caso del “Castelmagno di Alpeggio”.
Per quanto riguarda il Castelmagno di Alpeggio, i tentativi di imitazione nei paesi e nelle vallate circostanti sono innumerevoli, spesso attribuendo al prodotto nomi che, in un modo o nell’altro, ricordano quello di “Castelmagno”. Per contraddistinguerlo, il 26 luglio 2006 è stata riconosciuta la menzione “Castemagno d’Alpeggio” per contraddistinguere il formaggio prodotto da giugno a settembre negli alpeggi al di sopra dei 1000 metri di altitudine. Per iniziativa di Slow Food da qualche anno è stato costituito il Presidio del Castelmagno di Alpeggio Dop di cui fanno parte alcuni produttori storici della frazione di Chiappi, la più alta del comune di Castelmagno, che si sono impegnati a rispettare il processo storico di produzione e si sono dotati di un disciplinare ancora più restrittivo.
In particolare tutta la produzione deve avvenire in alpeggi situati al di sopra dei 1600 metri di quota, là dove è ottima la fragranza delle erbe foraggere e straordinaria è la varietà e la ricchezza della flora prativa, che esalta le caratteristiche organolettiche del formaggio. I malgari lavorano esclusivamente il latte delle proprie mucche, che vivono allo stato brado, e che conserva il sentore dei fiori e delle erbe dei pascoli da cui proviene. Il formaggio deve essere prodotto con il latte di una, massimo di due mungiture consecutive. E’ assolutamente vietata la somministrazione agli animali di mangimi o di sottoprodotti industriali, ed è vietato il ricorso a fermenti lattici nella lavorazione.
La parte interna del Castelmagno DOPSempre in un’ottica di tutela e valorizzazione del nostro Castelmagno, recentemente gli è stato dedicato un libro ed un cortometraggio: nel volume “Alla corte di Re Castelmagno” (edizioni Primalpe) gli autori ripercorrono la lunga storia di un intero paese e della sua vallata, ma forniscono anche informazioni tecniche (come la descrizione del ciclo produttivo) e ragguagli sulle tradizioni gastronomiche e sui vecchi e nuovi abbinamenti ai vini. E ancora, raccolgono molte curiosità ed aneddoti sul celebre ed apprezzato formaggio.
Esso è impreziosito da oltre 130 immagini che ne costituiscono il ricco corredo iconografico; l’ultima parte è dedicata ad un percorso turistico-culturale che attraversa tutta la valle, e nelle due pagine conclusive è riportata la riproduzione del celebre olio su tela “Il Santuario di San Magno a Castelmagno” di Matteo Olivero, 1913/14; (vale la pena di notare che San Magno è il santo protettore delle stalle e degli armenti e che da secoli il santuario è meta di pellegrinaggi).
“Quelle tre forme di Castelmagno” è invece il titolo del cortometraggio che illustra in particolare la realtà odierna ed ha come protagonisti assoluti i produttori di cui riprende la vita e le fatiche quotidiane e si sofferma sul legame fra i montanari e i loro animali: ogni mucca è “battezzata” con un nome proprio spesso poetico, e del suo carattere chi l’accompagna al pascolo o la munge sa descrivere minutamente i pregi e i difetti. Realizzata dalla Camera di Commercio di Torino e diretta da Franco Fornaris, la pellicola è in assoluto il primo filmato interamente dedicato a questo eccellente prodotto ed a chi si prodiga per farlo.

Francesca Valassi

Originaria dell'Oltrepò Pavese ma per metà spagnola. L'interesse per il mondo del cibo e del vino nasce in famiglia, grazie a papà salumiere e formaggiaio, e mamma cuoca provetta, e dal territorio in cui è nata, dove colline e vigneti si perdono a vista d'occhio. Pratica corsa, bici e nuoto e sta scoprendo come la buona cucina possa sposarsi con scelte consapevoli a tavola. Dal 2009 collabora con il blog Soul&Food e con Lavinium. Dal 2015 è assaggiatrice ONAV e membro del consiglio provinciale di Milano. Ama scrivere e scattare foto per ricordare i luoghi e i sapori che ha vissuto e le piace scoprire nuovi locali nella città dove vive, Milano, dove gira sempre in bicicletta, per non lasciarsi intrappolare dalla frenesia dei suoi ritmi. Se volete fare breccia nel suo cuore, regalatele un dolce al cioccolato, il più fondente possibile.

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