Bruciando sul tempo la primaverile anteprima langarola indirizzata a stampa e operatori del settore, che peraltro quest’anno sarà oggetto di cambiamenti e restyling, e anticipando di ben due mesi l’appuntamento che storicamente si posizionava a maggio, la delegazione AIS di Torino ha organizzato all’interno della stupenda Palazzina di Caccia di Stupinigi, prestigiosa residenza Sabauda alle porte di Torino, la tradizionale manifestazione ribattezzata “Ba&Ba” ovvero l’Anteprima Barolo 2006 e Barbaresco 2007. Nutrito e molto qualificato il parterre di produttori invitati, ben 110, così come la gamma di oltre 300 etichette in degustazione, che hanno permesso ai numerosi appassionati ed operatori presenti di avere una prima ma esauriente immagine sulle caratteristiche delle nuove annate in commercio dei due vini top piemontesi. Tra i due vini, l’impressione generale premia il Barolo 2006, annata completa sotto tutti i punti di vista, dotata di grande freschezza, buona beva, buon equilibrio tra tenore alcolico, acidità e tannino, complessità e corpo maggiori della precedente 2005, paragonabile in termini di eleganza ed evoluzione al 2004. Molto convincente la gamma dei vini proposti, priva di eccessi qualitativi sia in positivo che in negativo, a conferma dell’ottimo livello raggiunto dalla quasi unanimità dei produttori presenti. Caldo e ricco di sostanza, di sentori di frutti rossi maturi, tannini morbidi in bocca, talvolta a scapito di acidità e freschezza, ma al momento a tutto vantaggio di una accattivante rotondità espressiva, il Barbaresco 2007 rispecchia appieno la calda stagione estiva e autunnale dell’annata, con molti vini che presentano già ora una buona beva, in alcuni casi appaiono forse fin troppo pronti. Nella mente degli appassionati, e credo di qualche produttore, è già nato qualche dubbio sulla longevità di questi vini, giudizio e timori che sembrano rinverdire le sensazioni che si erano avute in occasione dell’uscita dell’annata 2000, ma che al contrario incontra il gusto di molti consumatori sempre più inclini a bere nel giro di pochi mesi le bottiglie acquistate, soppiantando la tradizione quasi maniacale di far “invecchiare” questi vini in cantine dotate di corretto e il più possibile costante grado di temperatura e umidità per apprezzarne il contenuto dopo 5-10 anni dall’uscita in commercio.
I vini degustati Ghiotta come sempre la possibilità offerta da manifestazioni di questo genere di poter confrontare e commentare gusti e sensazioni direttamente con i produttori presenti, blasonati o poco conosciuti che siano, che quasi mai disdegnano questi eventi, intervenendo spesso in prima persona, in particolare in terre come quella piemontese, ancora ricca di vignaioli dediti alla cura dell’intero ciclo enologico, dalla vigna alla cantina fino alla commercializzazione e confronto con il cliente. Interessante ogni volta degustare i loro “ultimi nati” tentando di fare uno sforzo mnemonico per un confronto immediato con lo stile e il gusto dell’annata precedente, salvo poi verificare l’attendibilità della nostra memoria al ritorno a casa spulciando gli appunti presi in quell’occasione. Così come provare i vini dei produttori “new-entry”, piccole realtà che altrettanto sovente colpiscono per l’interessantissimo rapporto qualità-prezzo. Nella mia tornata iniziale di degustazioni ho privilegiato i produttori “pluribicchierati”, a cominciare dalle Tenute Cisa Asinari Marchesi di Gresy, seguita in maniera impeccabile in cantina dall’enologo Marco Dotta e dal cantiniere neozelandese, ma ormai naturalizzato “langhetto” come ama definirsi lui stesso, Jeffrey Chilcott. Ho così ricevuto la prima conferma alla sensazione di immediatezza dell’annata 2007 dal loro Barbaresco Martinenga 2007, molto più pronto alla beva rispetto al complesso e ricco Barbaresco Gaiun 2006 o al tannico Barbaresco Camp Gros 2006. Di notevole qualità e pienezza di aromi e gusto il “ritorno all’imbottigliamento” sancito dal Barbaresco Santo Stefano 2007 di Bruno Giacosa. Convincente anche il “cugino” Barbaresco Santo Stefano 2007 di Castello di Neive, di cui ho apprezzato recentemente la freschezza dell’annata 2000, seppur penalizzato dall’ancora limitato affinamento in bottiglia, limite che ho riscontrato in diversi campioni, così come il “tris d’assi” calato da La Spinetta, dove ho prediletto il Barbaresco Vursù Vigneto Starderi 2007 rispetto al balsamico Barbaresco Vigneto Valeirano o al più chiuso Barbaresco Vursù Vigneto Gallina. Di quest’ultimo vigneto di Neive, molto fresco con punte mentolate il Barbaresco Gallina 2007 di Ugo Lequio. Esce a testa alta dal confronto con queste etichette blasonate l’azienda Rizzi di Treiso, da qualche anno sempre più in mano ai fratelli Enrico e Jole Dellapiana, che hanno ricevuto in “dono” l’invidiabile patrimonio vitato della pressoché intera collina omonima dell’azienda dal papà Ernesto. Privilegiata l’annata 2006, attualmente in commercio, evitando di portare i discussi e rischiosi “campioni di botte”, idonei più a un concorso o uno scenario professionale rispetto a una platea composta in gran parte da consumatori, i vini di Enrico sono tutti dotati di un grande equilibrio e persistenza in bocca: nel Barbaresco Rizzi si percepisce una buona morbidezza e sentori di liquirizia, nel Pajorè prevale la complessità e il calore, nel Boito il fruttato al naso e una bocca asciutta grazie a tannini dolci ma importanti. Notevole morbidezza abbinata a una buona pienezza in bocca anche per i Barbaresco 2007 di Montaribaldi, sia il lineare Palazzina che il selezionato Sorì Montaribaldi.
Il “viaggio” all’interno del Barolo 2006 è iniziato da Roberto Voerzio, visita dettata dalla fama e curiosità verso vini dal prezzo ai più inaccessibile, frutto di una rigorosissima cernita di uva nelle sue vigne, ineccepibili in quanto a qualità e corposità, una giusta via di mezzo tra lo stile conservatore e quello più modernista. Tra i tre vini proposti, il Barolo Cerequio 2006 è risultato il più piacevole, seguito dalla potenza esplosiva del Rocche dell’Annunziata-Torriglione, blend di due vigne confinanti, e dall’eleganza seppur marcata ancora da una nota di tannini verdi del Brunate. Tutti vini ovviamente da riassaggiare, portafoglio permettendo, tra almeno un paio d’anni. Ottimo come complessità e struttura, a mio avviso tra i migliori degustati, il Barolo Ginestra 2006 di Paolo Conterno, affiancato dall’altrettanto superbo Ginestra Riserva 2004. Sullo stile austero il Barolo Lazzarito 2006 e Brunate 2006 di Vietti, in particolare il primo proveniente dai vigneti di Serralunga d’Alba. L’eleganza e i toni floreali marcati sono diventati ormai il marchio di fabbrica del Barolo Bricco delle Viole 2006 di Aldo Vajra, che ha recentemente acquisito i vigneti di Baudana a Serralunga, da cui sono nati gli apprezzabili Barolo Baudana Cerretta e Barolo Baudana Baudana. Pregevoli conferme per i Barolo Gavarini Chiniera e Barolo Ginestra Casa Matè di Elio Grasso, per il Barolo Bricco Viole e Barolo Brunate di Mario Marengo, per il tradizionale Barolo Villero 2006 dei F.lli Oddero, per i fruttati ed equilibrati Barolo Cannubi Boschis e Barolo Le Vigne di Luciano Sandrone e infine per i Barolo Sorano-Coste Bricco e Barolo Sorano, entrambi dai vocati vigneti di Serralunga d’Alba, di Ascheri. Mi ha fatto veramente molto piacere tra i tavoli dei produttori rivedere un Domenico Clerico in buona forma, che mi ha fatto ricordare quando fino a pochi anni fa amava “tenere banco” dall’alto della sua spiccata simpatia, generosità e disponibilità, dispensare i suoi sempre accattivanti Barolo Ciabot Mentin Ginestra e Barolo Pajana, in attesa di poter degustare, ma credo non prima dell’autunno, il suo “cavallo di battaglia” Barolo Percristina 2006. Anche in questo caso gli “esordienti” a Ba&Ba sono riusciti a stupire e farsi apprezzare, a cominciare da Bric Cenciurio di Barolo, azienda guidata dai giovani Alessandro e Alberto con la collaborazione dello zio Carlo Sacchetto, che hanno presentato un Barolo Costa di Rose 2006 denso di profumo di rosa e spezie, tannini ancora un po’ austeri ma con un ottimo e lungo finale in bocca. Votati all’eleganza e pulizia i vini di Mario Gagliasso di La Morra, dove troviamo anche in questo caso un giovane enologo, Luca, a dar man forte al papà in cantina e nei vigneti sottostanti l’azienda, da cui prendono vita l’intrigante Barolo Rocche dell’Annunziata, che rispecchia appieno le enormi potenzialità di questo vigneto, e l’austero Barolo Torriglione, al quale serve qualche mese di affinamento in bottiglia in più per farsi apprezzare appieno. Saggia, giusta e convincente la scelta di Andrea Bosco, altro giovane vignaiolo di Langa, di vinificare per il primo anno separatamente le uve provenienti dai vigneti di proprietà a La Morra e a Verduno. Nel primo caso il Barolo La Serra 2006 si contraddistingue dalla maggioranza dei prodotti “lamorresi” per una maggiore presenza di acidità, freschezza e tannino che ne obbligano un forzato riposo in bottiglia di diversi mesi per domarne le potenzialità, mentre nel Barolo Neirane 2006 sono marcati i frutti rossi, un po’ di pepe, polpa e una buona beva.
Nebbiolo Master – Trofeo Nazionale sul Nebbiolo Novità dell’edizione 2010 di Ba&Ba la concomitanza con il Nebbiolo Master – Trofeo Nazionale sul Nebbiolo, l’importante concorso organizzato dall’AIS Piemonte, giunto quest’anno alla sua settima edizione, riservato a sommelier professionisti e non, senza limitazione di età e provenienza geografica. La competizione prevedeva una prova scritta a punteggio, con trenta domande riguardanti argomenti strettamente tecnici o temi di cultura più generale ma sempre legati a questo grande vitigno, come ad esempio l’anno della prima annata del Monfortino di Conterno (1920) o il nome della casa vinicola che fornì il Barolo per la spedizione al Polo Nord del Duca degli Abruzzi (Comm. G.B. Burlotto di Verduno). L’esito della prova scritta ha decretato i tre finalisti promossi alle prove finali, svoltesi davanti ad un centinaio di spettatori nella Citroniera di Levante della Palazzina di Caccia di Stupinigi, consistenti in una degustazione di un paio di vini a base Nebbiolo, identificati da due dei tre finalisti, seguita da una prova di servizio a tempo nell’improvvisato ristorante sul palco con tanto di avventori fittizi. Si sono viste da parte dei tre finalisti diverse modalità di approccio al cliente, di preparazione del gueridon e di charme, condizionati qua e là da un po’ di emozione che faceva traballare qualche vassoio, cadere qualche oggetto, un cavatappi che non ne voleva sapere di estrarre il tappo. Nell’ultima prova, la correzione della Carta dei Vini, i piccoli errori “nascosti” dagli organizzatori hanno creato non pochi dubbi ai sommelier in gara. Piccole sfumature, come annate impossibili, cru inesistenti e prezzi non adeguati hanno richiesto una notevole concentrazione e conoscenza. Sofferto e molto meditato il giudizio finale formulato dalla giuria presieduta da Fabio Gallo, presidente dell’AIS Piemonte, che ha visto emergere Mario Bevione (il secondo da destra nella foto), sommelier non professionista della delegazione di Torino, classificatosi già al terzo posto nella passata edizione, rispetto ad Andrea Benedetto della delegazione del Canavese e Flavio Zaccherini di Lugo di Romagna.
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