
In realtà i vini avrebbero dovuto essere sei, volevo inserire un “estraneo”, un grande aglianico, il Taurasi di Contrade di Taurasi-Cantine Lonardo, ma sfortuna volle che il tappo non era a posto. Non disponendo di un’altra bottiglia ho dovuto a malincuore rinunciare, peccato perché quel Taurasi, che non è la riserva aziendale, ha ancora tante frecce al suo arco ed è una chiara dimostrazione dell’ottima tenuta nel tempo che i grandi aglianico possono avere. Così mi ritrovo a fare un confronto tutto sul “nebiul” piemontese e sul chiavennasca valtellinese, ovvero il grande e inimitabile nebbiolo. Ma chi sono i contendenti? Presto detto: Barbaresco Pajè di Roagna, Barolo Vigneto Monvigliero di Burlotto, Barolo Rocche Riserva di Aurelio Settimo, Valtellina Superiore Grumello Buon Consiglio Riserva e Valtellina Superiore Sassella Vigna Regina Riserva di AR.PE.PE., tutti vini che, non lo nascondo, amo profondamente. Come potete vedere dalla foto il Barbaresco di Roagna non ha etichetta; quando Luca mi dette una cassetta di vini, pensò bene di lasciarli senza etichetta, limitandosi ad incastrare nel collo delle bottiglie un fogliettino con scritto il nome siglato di ciascun vino. Chi conosce Luca Roagna sa bene che è un ragazzo in gamba ma per certi aspetti anche estremo, tant’è che a mia memoria è l’unico produttore da me conosciuto che vuole avvinare sempre il calice, ad ogni suo vino, non importa se si tratta di una sequenza di Barbaresco o di Barolo. E fa bene, non lo nego, magari fossero tutti così meticolosi…
La degustazione
Barbaresco Pajè 1999 – Roagna Come si può vedere dalla foto, il Pajè occupa una piccola area (1,84 Ha) di un anfiteatro naturale alle pendici del comune di Barbaresco, esposto a Sud Ovest. Mai come nel caso dei Roagna è fondamentale conoscere questa realtà, dove si applica una filosofia rigorosa, memore degli insegnamenti tramandati, con un approccio che mette al primo posto la biodiversità. Non si possono fare grandi uve se non si tiene conto dell’equilibrio dell’ecosistema. Tante delle pratiche che vengono adottate nei vigneti, come il diserbo o i frequenti trattamenti, diventano quasi obbligate proprio in condizioni di disequilibrio. Lo stesso discorso vale per il diradamento, che diventa molto meno necessario quando la pianta è in equilibrio, la pratica è utile nei primi vent’anni di vita, poi la vite raggiunge la condizione ottimale per autogestirsi. Secondo i Roagna “un ambiente naturale è l’habitat perfetto per la vita; la vite nelle sue fasi vegetative e produttive va aiutata ma mai forzata. La terra é perennemente inerbita e l’humus prodotto da centinaia di erbe differenti è molto più complesso di quello ottenuto da una sola varietà. A seconda della vigna a volte si trovano cespugli di menta selvatica, piuttosto che favino, leguminose spontanee ed un’infinità di erbe dai fiori profumatissimi. Perché distruggere questa biodiversità?“. In vigna ci sono ancora alcune viti piantate a piede franco, le vecchie piante sono molto più resistenti, non a caso ce ne sono molte che hanno più di 50 anni e producono uve eccellenti. Quando una pianta muore viene sostituita con una nata da selezione massale della stessa vigna. Buona parte dei vigneti é tuttora costituita da viti impiantate dal 1937 al 1955, con radici che superano spesso i 10 metri di profondità, con il vantaggio di poter trovare nutrimento e acqua anche nelle annate più difficili. I vini di Roagna vengono vinificati in modo tradizionale, con lunghe macerazioni (anche oltre 70 giorni), l’uva ammostata fermenta e macera in grandi tini di legno per lunghi periodi; la macerazione è a cappello sommerso e può durare anche 3 mesi, la fermentazione si protrae nell’arco di 8-10 giorni. I lieviti vengono selezionati fra quelli indigeni. Ma veniamo al vino: nel calice presenta un colore granato classico, profondo, dai toni caldi; il bouquet si apre poco a poco, rivelando una sequenza di grande eleganza, viole macerate, ciliegie mature, fogliame, tabacco, erbe essiccate, cuoio, china, menta, mallo di noce, liquirizia, cenere. Potrei andare avanti a lungo, man mano che si ossigena emergono nuove sensazioni. Al palato ha tutto il carattere di un grande nebbiolo, austero ma pieno di slancio, freschezza, con un tannino nobile, importante, finissimo, l’astringenza vola via velocemente lasciando una generale sensazione di equilibrio. Gran bel vino. @@@@@/93

Valtellina Superiore Sassella Vigna Regina Riserva 1999 – AR.PE.PE. Della famiglia Pelizzatti Perego vi abbiamo raccontato parecchie volte: Isabella, Guido ed Emanuele hanno ereditato il lavoro di papà Arturo, inizialmente con una certa apprensione a causa del suo stato di salute aggravatosi velocemente. Arturo è stato fondamentale per mantenere in piedi l’azienda in anni difficili, soprattutto a causa di vicissitudini famigliari che lo hanno logorato non poco. A dicembre del 2004 lascia tutto in mano ai figli; Emanuele ha dovuto imparare in fretta, consapevole della grande responsabilità di portare avanti l’azienda, la cui storia affonda in radici lontane, si è presto innamorato del suo lavoro, ci si è letteralmente immerso, è diventato lo scopo principale della sua vita. E dobbiamo ringraziarlo, perché il suo impegno è servito ad assicurarci di poter continuare ad apprezzare questi straordinari vini, massima espressione del terroir valtellinese. Se avrete occasione di andarli a trovare, rimarrete folgorati da quei vigneti letteralmente arrampicati sulla roccia, impervi e difficili da lavorare nonostante il lavoro dei terrazzamenti. L’unica macchina che è possibile usare, e solo in alcune vigne, è il cosiddetto “ragno”, il solo capace di lavorare in quelle situazioni di forte pendenza. Il Vigna Regina Riserva proviene dalla vigna omonima situata nella sottozona Sassella, la seconda lungo la fascia che da ovest ad est percorre la valle; viene vinificato in modo tradizionale, con una macerazione di almeno 20-25 giorni, matura in grandi botti di rovere e castagno per ben 4 anni. E’ uno dei miei vini del cuore, di grande fascino ed eleganza, il suo colore parla la lingua del nebbiolo, granato luminoso, trasparente, con riflessi antichi. Nonostante abbia 14 anni dalla vendemmia, profuma ancora di rose, giuggiole e agrumi, di gelso, ciliegia, leggero tamarindo, humus, cuoio, fichi rossi essiccati, timo, effluvi di liquirizia, su una base la cui dolcezza ricorda il miele. All’assaggio è emozione pura, sbalorditiva freschezza che accompagna un tannino totalmente domato, setoso, puro velluto, mentre tutta la bocca è avvolta in deliziose sfumature aromatiche e avvincenti rintocchi minerali. Le sensazioni non finiscono più, è tutta eleganza, purezza espressiva, davvero irresistibile. @@@@@/96

Valtellina Superiore Grumello Buon Consiglio Riserva 1999 – AR.PE.PE. Il fatto che di questa azienda ci siano due vini non è frutto di una mia preferenza, ma semplicemente fra i vini di questa annata che ho ancora a disposizione in cantina (pochi purtroppo…) e che ritengo grandi, rientra anche questo. Quando l’ho degustato la prima volta ►qui, nell’aprile 2010, era in compagnia di altri tre campioni della stessa azienda ma di annate differenti. Mi piacque molto, soprattutto nella fase olfattiva, mentre in quella gustativa era ancora giovane e non esprimeva tutto il suo potenziale. Questi tre anni gli sono indubbiamente serviti, ora è molto più aperto ed equilibrato, i profumi continuano ad essere affascinanti, c’è la rosa macerata, anche qui non manca l’afflato agrumato, in questo caso di arancia amara che accompagna la ciliegia sotto spirito, a cui si affiancano bellissime sfumature di timo e ginepro, poi leggera china su una piacevole base minerale. Al palato ha un attacco quasi speculare, con l’acidità che diffonde una sensazione fresca, grazie anche all’apporto degli agrumi; persistente, pieno di energia, nasconde molto bene i suoi 14 anni. @@@@@/92
Barolo Vigneto Monvigliero 1999 – Comm.G.B.Burlotto Gran donna Marina Burlotto, ottima degustatrice, passare una serata insieme a lei e a suo figlio Fabio è un’esperienza davvero piacevole, entri nel mondo del vino per direttissima, con i sensi e con la mente, Fabio poi, sempre impegnato nel lavoro in vigna e cantina, ha un approccio razionale e consapevole, ma sempre garbato e capace di emozionarsi. I loro vini, dal Verduno Pelaverga – uno dei migliori esempi della tipologia – ai classici di Langa come Barbera e Dolcetto, all’eccellente rosato Elatis (ex Teres), ora anche in versione rosso; non si può non considerare le interessanti interpretazioni del sauvignon, Viridis e Dives. Ma, ovviamente, il ruolo principale nella produzione spetta ai Barolo, in versione annata, Acclivi, Cannubi e Monvigliero. Quest’ultimo è per me il vino più affascinante, proveniente da quello che è uno dei migliori cru di tutta la Langa, condiviso con altre aziende, come tradizionalmente accade da tempo immemore, come Castello di Verduno, Bel Colle, Fratelli Alessandria. La versione 1999 non è più una novità per me, l’ho degustata spesso e ne ho scritto già due volte su Lavinium, nel ►2004 e nel ►2010, due degustazioni molto diverse, che testimoniano come il Monvigliero sia un cru che si apre nel tempo, rivelando doti non comuni, bisogna conoscerlo e saper aspettare, soprattutto in annate come questa. Riassaggiandolo oggi, altri tre anni dopo, non posso che confermare tutte le impressioni che ebbi, questo Barolo di grande lignaggio non ha che da guadagnare dal passarre del tempo, ed è difficile presumere quando arriverà il momento in cui, inesorabilmente, avrà intrapreso l’inevitabile discesa. Per adesso è semplicemente un gioiello dalle mille sfaccettature, un’avventura per i sensi, strepitoso nel suo mantenere traccia del percorso aromatico di gioventù, segno che ha ancora tanto da dare, continua a presentarsi quell’elegante nota agrumata che mi aveva affascinato, ed è impressionante notare come il classico goudron che appare sovente nei Barolo invecchiati, qui sia solo un vago accenno, a vantaggio di una ancora notevole freschezza e di un carattere estremamente vitale, armonioso, complesso, senza la benché minima sbavatura. E l’assaggio conferma queste impressioni, l’eleganza e la signorilità di questo vino sono esemplari, la struttura non è possente ma perfetta per amalgamarsi con l’alcolicità, certamente meno elevata della maggior parte dei Barolo di oggi (siamo attorno ai 13,5 gradi), a tutto vantaggio di una beva profonda ma scorrevole, grazie anche ad un tannino ormai perfettamente vellutato. @@@@@/95
Barolo Rocche Riserva 1999 – Aurelio Settimo C’è qualcosa nei vini di Aurelio Settimo che li rende sempre riconoscibili, qui la mano era ancora la sua (purtroppo è scomparso nel marzo 2007), ma la figlia Tiziana ha ampiamente dimostrato di essere in grado di portare avanti l’azienda con grande bravura, forte anche dell’esperienza maturata in anni di lavoro al suo fianco. Qui siamo a La Morra, altro territorio, altre caratteristiche, l’azienda Settimo si trova in frazione Annunziata, partendo da Alba e percorrendo la superstrada che punta a Barolo, ad un certo punto si svolta a destra per La Morra, si comincia a salire e dopo una serie di curve e tornanti, sul fianco sinistro di una di queste curve si raggiunge l’azienda. Poco meno di 6 ettari, la parte principale è occupata dal cru Rocche dell’Annunziata, di cui l’azienda possiede circa 3 ettari e mezzo, dove nasce questo eccellente Barolo. Il Rocche Riserva 1999 è, a mio avviso, una delle migliori espressioni di La Morra, parla un linguaggio fortemente territoriale, è ottenuto con metodo tradizionale, macerazioni abbastanza lunghe (circa 20 giorni a cappello sommerso), rimontaggi e follature frequenti, affinamento per 2 anni in cemento vetrificato e per 3 anni in botti di rovere da 25 a 35 ettolitri. Presenta un colore granato profondo, molto classico, profuma di liquirizia, cardamomo, leggera china, sottobosco, non mancano le note fruttate, di ciliegia sotto spirito e prugna, polvere da sparo e inizio di goudron. Al palato è davvero eccellente, austero e con un tannino di notevole fattura, tanta liquirizia e prugna, fresco e sapido, terroso, coinvolgente, lunghissimo, destinato ancora ad una lunga strada. @@@@@/93
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