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Anteprima 2004: ma l’Amarone è ancora Valpolicella?


fruttaio presso la Cantina di NegrarNon mi piace fare giri di parole, ma la domanda echeggia nella mia mente da tempo, rafforzata dalla degustazione di ben settanta campioni, classe 2004, effettuata sabato 26 gennaio nel Palazzo della Gran Guardia di Verona: l’Amarone rappresenta davvero la Valpolicella o piuttosto basta a se stesso? Il presidente del Consorzio Tutela Vini Valpolicella Emilio Pedron, durante la conferenza stampa, ha sottolineato come questo rosso Doc veronese stia avendo un sempre maggiore successo, soprattutto all’estero (l’esportazione supera ormai il 75% del totale),  tanto che, come ho già sottolineato qui, con l’annata 2006 la produzione di uve destinate all’Amarone e al Recioto è passata dai 171.861 qli dell’anno precedente a ben  236.552, mentre quella destinata al Valpolicella ha subito una progressiva diminuzione. D’altro canto appare piuttosto normale, se ci si limita ad osservare il presente, che si voglia cavalcare l’onda del successo con il mercato estero relegando il Valpolicella, se non nella sua forma rinforzata con la tecnica del ripasso, a vino di secondo piano. Questa politica commerciale, però, se oggi appare suffragata dalla forte richiesta di paesi che trovano stimolante un vino dalla gradazione alcolica sovente proibitiva, ma che trova spesso in ogni sua componente una massiccia esuberanza, mi chiedo, una volta adombrato il “semplice” Valpolicella, quando questa forte richiesta giungerà a saturazione (perché, ci piaccia o no, i desideri cambiano e spesso in modo repentino), sarà altrettanto facile ricuperare l’immagine di un vino che della sua tradizionale bevibilità e piacevolezza è sempre stato ineguagliabile bandiera? Perché per fare l’Amarone ci vogliono i fruttai, le botti (grandi e piccole secondo lo stile delle diverse e sempre più numerose aziende produttrici), gli ambienti idonei, i terreni realmente vocati (visto che questo vino raggiunge ormai prezzi elitari) e, soprattutto si deve vendere. Con la vendemmia 2007 si è stimata una produzione di oltre 8 milioni di bottiglie, un numero davvero elevato che, Emilio Pedron garantisce, è addirittura inferiore alla richiesta del mercato. Bene, dal punto di vista puramente economico, tutto questo non può che fare piacere, ma il vino è dunque pura e semplice merce o dovrebbe rappresentare un territorio, la sua cultura, il suo legame con le abitudini e gli stili alimentari della regione in cui nasce?

graticci per l'appassimentoE’ vero, in Veneto il consumo di vino procapite è indubbiamente sopra la media rispetto alle altre regioni, ma l’Amarone non viene venduto localmente se non in minima parte, proprio perché la sua struttura e potenza non lo colloca certo con facilità sulla nostra tavola. Non è assimilabile al Recioto, che essendo dichiaratamente un vino dolce, viene venduto in bottiglie da 50 cl e utilizzato in abbinamento ai dessert o ai formaggi saporiti. Il suo costo, fra l’altro, lo pone inevitabilmente in una fascia alta di consumatori; niente di male se la sua quantità fosse proporzionale, ma i dati dicono proprio il contrario, semplicemente perché viene prodotto fondamentalmente per assecondare il mercato internazionale. Quindi si punta in alto, coscientemente, accettando il rischio che questa scelta comporta. Ma allora mi domando, se davvero si vuole esportare un grande vino, che rappresenti il meglio della vitivinicoltura veneta e, perché no, italiana, come mai viene prodotto anche in zone praticamente pianeggianti, che certamente non hanno le caratteristiche ideali per una produzione di elevata qualità?

grappoli appesi ad appassireE’ interessante notare come il reddito medio annuo procapite, ottenuto dalla produzione di uva per ettaro in Valpolicella, sia stimato intorno ai 20 mila euro, ben oltre la media nazionale. Fa riflettere anche il dato fornito da Pedron durante la conferenza: ben 220 milioni di fatturato complessivo che la denominazione genera all’uscita dalle cantine, che tradotto in valore di mercato significa almeno 5-600 milioni di euro. Sono cifre da capogiro, che mettono in evidenza quanto il Veneto vitivinicolo stia godendo oggi di un momento esaltante, che indubbiamente stimola e incoraggia l’ingresso nel settore di nuove realtà. Rimane il fatto, però, che i due terzi dell’intera filiera sono appannaggio di Amarone e Valpolicella Ripasso (vino che, purtroppo, in molti casi sembra sempre di più emulare sul piano squisitamente organolettico l’Amarone)  mentre il Valpolicella e il Valpolicella Superiore ne occupano ormai solo un terzo. Scherzosamente, ma non più di tanto, si potrebbe dire che siamo in Amaricella e non in Valpolicella…Sull’Amarone si sta investendo tutto, facendo leva sui successi che sta ottenendo all’estero, e si può dire che sia un caso pressoché unico, un vino costoso, ottenuto con la tecnica dell’appassimento in fruttaio, spesso con residuo zuccherino evidente, che viene prodotto nella stessa quantità di un vino da consumo quotidiano. Ma come sempre accade, il grande vino non è la regola ma l’eccezione, la chicca, la ciliegina sulla torta, non la torta stessa.

bottiglie di Amarone in degustazioneCosì, assaggiando i 70 campioni annata 2004, che sulla carta appare decisamente migliore delle due precedenti e, quindi, in grado di fornire sul piatto della bilancia una tendenza all’aumento dei vini di qualità superiore, ho avuto la sensazione di una forte omogeneità nello stile produttivo e poche differenze espressive tra un vino e l’altro, in netto contrasto con la decantata zonazione viticola operata nell’arco di tre anni con l’obiettivo di definire le “Unità vocazionali” e arrivare a produrre un “Manuale d’uso del territorio“. La zonazione è certamente un lavoro impegnativo e non facile, che ha la sua ragione d’essere se il fine è quello di esaltare le caratteristiche e le differenze qualitative di un territorio, differenze che dovrebbero essere percepite con una certa facilità vista la varietà di altitudine, clima, esposizione, composizione del terreno, età delle viti della Valpolicella. Allora dov’è il problema? Perché tutto questo si avverte poco o nulla e, piuttosto, si rileva un appiattimento delle differenze, una metodologia produttiva fin troppo uniforme, uno “stile” di vino che sembra fatto a tavolino per compiacere un  mercato viziato da concetti quali “abbondanza”, “potenza”, “dolcezza”, non certo “finezza”, “eleganza”, “bevibilità”, “diversità”. E’ dunque il mercato che stabilisce quale tipo di vino deve essere prodotto, mercato che certamente non conosce e non ha interesse a conoscere la Valpolicella nella sua essenza, nelle sue tradizioni e nella sua espressione più vera. Ma noi abbiamo anche una responsabilità, profonda e doverosa, di preservare, salvaguardare quel patrimonio che rende grande, unica e inimitabile la nostra terra. Bisogna decidersi, scegliere, rischiare e, soprattutto crederci. Il denaro, si sa, fa piacere a tutti, è una facile tentazione perché apre le porte ad una vita agiata, ma se questo si ottiene cancellando principi e valori che dovrebbero essere indissolubile guida nella nostra esistenza, vale davvero la pena? Il vino, ovvero un bene di consumo dalla tradizione millenaria, che da sempre accompagna l’uomo per allietarne le giornate e alleviarne le fatiche quotidiane, oggi ha preso una piega assai diversa, elitaria, fenomeno di culto, fonte di guadagni un tempo inimmaginabili, sempre più si allontana dalla sua vera natura, diventando oggetto e non alimento. Difficile conservarne l’anima. Il vino passa dal vignaiolo, dal contadino all’imprenditore, all’industriale, all’uomo d’affari, e la sua storia prende un’altra piega, al pari di un’automobile o di un televisore, si produce sempre di più, si uniforma lo stile, si imitano altri che hanno successo, tutto per un unico fine. Bene, non sta a me filosofeggiare su questi temi, purtroppo concreti e diffusi, ma quando ho assaggiato quei vini, di perplessità ne ho avute molte, e quella che doveva essere una grande annata mi è parsa un’occasione persa, almeno nei contenuti.

Però, come spesso accade, ci sono aziende che riescono a mantenere vivo con orgoglio, che in questi casi è una mano santa, un loro modo di intendere il vino, anche quando per non perdere il treno del successo devono dare qualche contentino (comunque bisogna vendere altrimenti si chiude), desidero ricordare quei vini che sono riusciti ad emergere da una degustazione non esaltante, faticosa, a tratti noiosa, elencati secondo l’ordine in cui li ho degustati, evitando un’inutile graduatoria che, in certi contesti, lascia il tempo che trova:
 – Amarone Classico della Valpolicella Morópio – Antolini
 – Amarone della Valpolicella Classico – Arduini
 – Amarone della Valpolicella Valpantena Villa Arvedi – Bertani
 – Amarone della Valpolicella Classico – Boscaini
 – Amarone della Valpolicella Classico – Nicolis
 – Amarone della Valpolicella Classico – Santa Sofia
 – Amarone della Valpolicella Classico – Monte del Fra’
 – Amarone della Valpolicella – Ca’ Rugate
 – Amarone della Valpolicella Classico – Gerardo Cesari
 – Amarone della Valpolicella Classico – Corte Rugolin
 – Amarone della Valpolicella Classico Villa Rizzardi – Guerrieri Rizzardi
 – Amarone della Valpolicella – Monte Zovo
 – Amarone della Valpolicella Classico Capitel della Crosara – Montresor
 – Amarone della Valpolicella Classico Ca’ Bertoldi – F.lli Recchia
 – Amarone della Valpolicella Classico La Bastia Ca’ dei Rocchi – Tinazzi
 – Amarone della Valpolicella Classico Contrà Malini – Tezza Fabio
 – Amarone della Valpolicella Selezione Antonio Castagnedi – Tenuta Sant’Antonio 
 – Amarone della Valpolicella Classico Gaso – San Rustico
 – Amarone della Valpolicella Campo dei Gigli – Tenuta Sant’Antonio
 – Amarone della Valpolicella Classico Postera – Manara
 – Amarone della Valpolicella Classico – F.lli Tedeschi
 – Amarone della Valpolicella Classico Capitel Monte Olmi – F.lli Tedeschi
 – Amarone della Valpolicella Classico – Tenute Galtarossa
 – Amarone della Valpolicella Classico – Venturini Massimino
 – Amarone della Valpolicella – Trabucchi
 – Amarone della Valpolicella Classico – Villabella
 – Amarone della Valpolicella Classico Campomasua – Venturini Massimino
 – Amarone della Valpolicella – Musella
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Roberto Giuliani

Figlio di un musicista e una scrittrice, è rimasto da sempre legato a questi due mestieri pur avendoli traditi per trent’anni come programmatore informatico. Ma la sua vera natura non si è mai spenta del tutto, tanto che sin da ragazzo si è appassionato alla fotografia e venticinque anni fa è rimasto folgorato dal mondo del vino, si è diplomato sommelier e con Maurizio Taglioni ha fondato Lavinium, una delle prime riviste enogastronomiche del web, alla quale si dedica tutt’ora anima e corpo in qualità di direttore editoriale. Collabora anche con altre riviste web e ha contribuito in più occasioni alla stesura di libri e allo svolgimento di eventi enoici. Dal 2011 fa parte del gruppo Garantito Igp.

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