Premessa Desidero ringraziare l’amico Maurizio Gily per il suo interessante contributo alla rivista, la sua esperienza enologica e quindi la sua visione squisitamente tecnica (ma non solo) rappresentano un valore aggiunto, un punto di vista che credo sia utilissimo per i nostri lettori. Maurizio Gily è anche direttore responsabile del periodico Millevigne, dal 2011 di proprietà di Vignaioli Piemontesi, indirizzato principalmente ai viticoltori e agli imprenditori del settore vitivinicolo, ma anche ad operatori e appassionati. Roberto Giuliani
Da scolaro assai poco diligente ho partecipato ad una sola sessione di degustazioni di “Nebbiolo Prima 2011“, quella incentrata sui Barbaresco 2008 di Neive e Treiso. D’altra parte anche se le mie note comprendessero i vini del più famoso comune di Barbaresco non credo che avrebbero, per questo, maggior valore. Tra i “wine writer” patentati io ero e sono un clandestino, visto che normalmente non scrivo per i consumatori ma per i produttori. Roberto Giuliani mi chiede ugualmente un contributo visto che quest’anno non ha avuto modo di partecipare di persona: i lettori di Lavinium si dovranno accontentare. Vorrei partire da una premessa, che rischia di diventare la parte principale del mio articolo: quanto conta oggi l’effetto annata nella qualità di un vino, rispetto al passato? Se non contasse più nulla, manifestazioni come Nebbiolo Prima e tutte le varie “anteprime” sarebbero prive di significato. Ma, a Dio piacendo, il sole, la pioggia, il vento, la grandine, le temperature diurne e notturne, lasciano sull’annata la loro firma. La lasciano addirittura sull’annata successiva: ad esempio è nel mese di maggio che si differenziano gli abbozzi fiorali dentro alle gemme ancora verdi, determinando così la fertilità che solo dopo un anno si manifesterà come numero di grappoli per germoglio; e, altro esempio, i danni di una forte grandinata si ripercuotono anche sulla stagione successiva. Ciò detto, è però vero che l’effetto annata si è molto stemperato rispetto ad alcuni decenni or sono e che le differenze tra i millesimi sono meno significative di allora, almeno per i vini di gamma più alta; invece per le grandi masse di vini sfusi che giacciono nelle cantine in attesa di un acquirente a “cisterne”, con le quali, immagino, il lettore di questa pagina avrà assai meno a che fare, questa differenza tra le annate è molto più grande. Per spiegarne il motivo provo a rovesciare il ragionamento: fare viticoltura ed enologia di eccellenza vuol dire operare in campagna e in cantina in modo tale da minimizzare per quanto possibile i fattori limitanti e gli effetti negativi di un andamento stagionale non ottimale. In altre parole è il miglioramento della tecnica a ridurre la distanza tra i millesimi migliori ed i peggiori, ed è del tutto normale che nei vigneti e nei vini ai quali vengono riservate meno cure, o procedure standardizzate e non modulate in relazione all’andamento stagionale, le differenze tra le annate risultino maggiori. Uno dei parametri (ma certo non il solo) su cui la tecnica può lavorare è quello del carico produttivo, che si può calcolare in vari modi: per ceppo, per metro lineare di spalliera, per metro quadro di foglie, per ettaro: quest’ultimo è quello più usato nella pratica perché più semplice, ma anche, senza alcun dubbio, il meno significativo di tutti… Un carico produttivo molto abbondante diventa causa di cattiva maturazione e qualità scadente, a maggior ragione in annate in cui sono presenti altri fattori limitanti: radiazione solare scarsa, basse temperature, danni alla chioma da grandine o malattie etc., mentre può essere “compatibile” nelle annate climaticamente più favorevoli, che io amo definire per questo, più che “la grande annata”, l’ “annata del vignaiolo stupido”: nel senso che anche il vignaiolo meno professionale in queste annate può fare grandi vini. La differenza è tra chi prende l’annata “come viene” e chi, invece, la prende per le corna.
Questa lunga introduzione mi pareva necessaria per commentare questi vini del 2008: un’annata dall’andamento climatico non proprio ottimale, con un’estate piovosa e fresca e una produzione tendenzialmente abbondante. Due cose bastevoli per indurre i pessimisti a prevedere un’annata “minore”. Non è andata così e questi vini sono qui a dimostrarlo. Cosa ha consentito a queste uve Nebbiolo di maturare tanto bene, malgrado tutto, da regalarci una batteria di vini di questo livello? Principalmente tre cose: ● la prima, una stagione vegetativa lunghissima, quasi “da Australia”, con un germogliamento anticipato di almeno due settimane sulla media, a causa di un inverno straordinariamente mite per il Piemonte: nella zona di Barbaresco il Nebbiolo, che è un vitigno dal germogliamento molto precoce, tirò fuori le “punte verdi” addirittura ai primi di marzo nei “sorì” esposti a sud. Questo anticipo iniziale consentì di ammortizzare un certo deficit termico che si sarebbe avuto nei mesi successivi. ● La seconda: il finale di stagione, a partire da metà settembre, epoca in cui la maturazione si presentava ancora indietro ma proprio per questo le uve Nebbiolo erano ancora sane e non intaccate da marciumi, fino a ottobre inoltrato, fu caratterizzato da un andamento climatico ideale: tempo bello e soleggiato, ventilato, fresco di giorno e quasi freddo di notte. ● La terza: un’opportuna regolazione del carico produttivo da parte dei produttori, con la scacchiatura di germogli e il diradamento dei grappoli in eccesso. Su Barolo e Barbaresco è una pratica effettivamente diffusa, mentre per gli altri vini spesso ci si limita a scriverla sui comunicati stampa. E in annate come questa le differenze si vedono.
Ciò detto, veniamo finalmente ai vini. In generale, pur facendo la tara per la giovinezza del vino, ho notato un Barbaresco dai tannini piuttosto rugosi, ben presenti nel finale, ma non “verdi”, forse resi più evidenti da un’acidità piuttosto vivace. Per contro una certa dolcezza all’ingresso in bocca segnalava ottima maturità del frutto; al naso ho trovato ricchezza, complessità e quel fenomenale frutto del Nebbiolo giovane in cui il mio naso avverte il lampone, la ciliegia candita e (insultatemi pure) la papaya. Ma, oltre al frutto più immediato, dai calici salivano quelle note balsamiche profonde e cupe dei grandi vini da Nebbiolo delle migliori annate, che ne fanno presagire e pregustare l’evoluzione nel tempo. Il colore era molto bello e perfettamente rispondente alla varietà, come essa si presenta nelle migliori annate e nelle zone vocate in assenza di “taroccamenti”. Il livello medio dei campioni era alto, solo alcuni evidenziavano la magrezza che qualcuno erroneamente si attendeva da questa annata; altri “bruciavano” un po’ per un grado alcolico assai elevato ma questa ormai è una costante: per contro mi sono parse del tutto assenti quelle note di cotto o di sovramaturazione che talvolta ci si porta in cantina quando si cerca una maturità fenolica molto spinta, e che rendono l’alcolicità particolarmente sgradevole. Anche l’uso del legno denota ormai una maestria diffusa, capace di evitare quasi sempre gli eccessi di rovere e tostatura frequenti in un passato recente. In compenso, purtroppo, un paio di campioni presentavano pesanti note di Brettanomyces (fenolo, farmacia), cosa che ho trovato piuttosto sorprendente: non per il fatto in sé, che accade nelle migliori famiglie, ma perché il produttore poteva evitare di presentare il vino ad un panel di esperti da cui sarebbe stato inevitabilmente massacrato, mentre tanti consumatori dal naso meno supponente non l’avrebbero altrettanto penalizzato.
Sul 2008 quindi hanno avuto ragione gli ottimisti. I dati però in un certo senso parlavano chiaro fin dall’inizio: sono andato a rivedere il quaderno “Anteprima vendemmia 2008“, la pubblicazione nella quale tutti gli anni la Vignaioli Piemontesi e la Regione Piemonte espongono i dati di centinaia di campionamenti e analisi di uve in pre-raccolta. Un lavoro pressoché unico in Italia, a cui collaborano decine di persone operanti nell’assistenza tecnica, da cui deriva una banca dati di straordinario interesse che però pochi conoscono (questo è molto piemontese…). Per il Nebbiolo in Langa e Roero l’annata è classificata, sulla base di questi dati, 4 stelle (ottimo) per il giudizio complessivo sull’uva e 5 stelle (eccellente) per il grado zuccherino. Sul primo parametro ha pesato una sanità non sempre perfetta, ma nel complesso di tutti i parametri si tratta comunque del giudizio migliore tra tutte le uve piemontesi di quell’annata, secondo i curatori della pubblicazione (Dellavalle, Piano e Tornato). Da quella pubblicazione riporto alcuni grafici sull’andamento climatico dell’annata (la stazione di La Morra non è in zona Barbaresco ma dista pochi chilometri) e sul confronto tra le analisi delle uve in diverse annate. I miei vini preferiti. Treiso: Pelissero “Nubiola”, Molino “Ausario”, Rizzi “Nervo Fondetta” ; Neive: Fontanabianca “Bordini”, Cascina Saria, Battaglio, Punset “Campo Quadro”, Barale “Serraboella”, Castello di Neive “Gallina”.
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