Nebbiolo Prima 2016: arriva il Barbaresco 2013, buono anche se eterogeneo
La seconda giornata di Nebbiolo Prima 2016, l’evento espressamente dedicato alla stampa italiana ed estera organizzato ad Alba dall’Albeisa con il supporto dell’agenzia Gheusis, è stata dedicata al Barbaresco 2013. Ben 105 campioni degustati alla cieca provenienti da Alba (4), Barbaresco (33), Neive (38), Comuni diversi (12) e Treiso (18), un numero più che sufficiente per avere un quadro dell’annata, che appare sicuramente buona, non straordinaria, ma questo nessuno se lo aspettava. Soprattutto in questa fase di gioventù emergono evidenti differenze da comune a comune, anzi direi quasi da cru a cru: a Barbaresco, ad esempio, i vini provenienti dal Rabajà sono stati fra i migliori di tutta la denominazione, ma anche l’Asili ha fatto la sua figura; mediamente in questo comune ho trovato ancora poca espressività e ampiezza al naso, mentre Neive si distacca per una maturità più spinta, che non vuol dire vini più pronti ma semplicemente con un’evoluzione diversa. Treiso è risultato il comune con una traccia più lineare e definita, anche se questa volta non ho riscontrato grandi punte verso l’alto, piuttosto una buona media. Nel complesso la 2013 è un’annata che merita considerazione e… tempo perché si equilibri e riveli tutto il suo potenziale.
LA DEGUSTAZIONE DEL BARBARESCO 2013 COMUNE PER COMUNE
• ALBA
Quattro vini a rappresentare quella frazione di Alba dove è possibile produrre il Barbaresco, ovvero San Rocco Seno d’Elvio. Il più riuscito è risultato il Sanadaive di Marco e Vittorio Adriano, improntato su sfumature di erbe aromatiche e piccoli frutti, al gusto rivela una grande freschezza e una materia di tutto rispetto, certamente con un tannino ancora nervoso, ma ha grinta e può raggiungere una bella profondità e ricchezza espressiva.
Segue l’Ad Altiora Montersino di Michele Taliano, che paga ancora un po’ la presenza del legno, ma rivela belle note di tabacco e liquirizia e al palato mostra una decisa personalità.
Anche il Barbaresco di Alessandro Rivetto è venuto fuori bene, soprattutto sul piano olfattivo dove mostra belle sfumature di rosa, ciliegia e lampone, mentre all’assaggio è ancora restio e deve equilibrarsi.
Quello dei Fratelli Manera appare decisamente ancora indietro, scomposto e bisognoso di bottiglia per definirsi meglio.
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• BARBARESCO
Si parte con l’Asili: molto interessante la versione di Michele Chiarlo, con un bel gioco di fiori e frutti che si intersecano dando vita a sensazioni di bella finezza, che ritrovo puntualmente al primo sorso, fresco, piacevole, con una trama tannica di ottima grana e già in buona fase di integrazione.
Anche Cascina Luisin centra l’obiettivo con un naso decisamente più austero, che richiama fiori secchi e macerati, mentre al palato emerge un frutto deciso che nasconde in parte il tannino, la bella spinta sapida eleva la complessità delle sensazioni nel finale.
Ceretto rappresenta una sicurezza, il suo Asili ha colore granato classico con ricordi rubini, naso riccamente floreale, poi note di macchia mediterranea, al palato è fresco, con un buon tannino non troppo asciugante, finale appena corto ma ben fatto.
Chiudiamo con la versione di Ca’ del Baio, profuma di rose e lamponi macerati, leggero pepe, in bocca ha buona freschezza, tannino ancora rigido, c’è struttura e una materia in progressione che può offrire molto, basta darle tempo.
Un altro punto di riferimento è il Martinenga dei Marchesi di Gresy, ben giocato su note di timo ed erbe aromatiche, il frutto non è il suo punto di forza ma un bouquet più sottile e raffinato che vede una speziatura in crescita, mentre al gusto, come sempre, ha ancora bisogno di un po’ di tempo per addolcire il tannino, ma la classe c’è tutta.
Luigi Giordano propone un Montestefano di tutto rispetto, dai profumi intensi di rosa e ciliegia, lampone, poi sfumature di cacao, bocca ben dosata, fresca, non complessa ma di buona bevibilità.
Come per il Barolo, la Prunotto dimostra di avere trovato la quadra per fare vini eleganti e piacevoli, non fa eccezione il Barbaresco Bric Turot, riccamente floreale, giocato su tonalità quasi gentili, al palato mantiene un profilo lineare e senza asperità, tannino ben dosato, freschezza e discreta persistenza.
Sebbene ancora bisognoso di equilibrarsi ha stoffa e personalità il Barbaresco di Franco Ceste, inizia floreale e poi punta sul frutto scuro e maturo, mentre all’assaggio è teso, austero, di buona struttura e corredato di una buona sapidità.
Se la cava bene anche il Quarantadue42 di Massimo Rattalino, che conferma la crescita generale di questa azienda negli ultimi anni, al momento il suo punto di forze è al palato, dove rivela una materia misurata e godibile, con un tannino di grana fine, mentre all’olfatto deve ancora ripulirsi di qualche sbavatura.
Ottimo il Barbaresco di Socré, generosamente fruttato, con bocca polputa, fresca, lineare ed un finale che sa farsi apprezzare.
L’Ovello Vigna Loreto di Albino Rocca ha colore granato caldo, naso di fragoline di bosco, viola, in bocca è appena asciugante, ha freschezza e un’ottima progressione aromatica.
Non male anche l’Ovello di Cascina Morassino, con note di terra umida, frutti scuri, humus e un palato che riesce a trovare un proprio equilibrio tra tannino e polpa.
Fa la sua figura il Pora di Valter Musso, dai profumi di ribes, fragolina di bosco, fiori secchi, erbe aromatiche, bocca un po’ penalizzata da un tannino ancora insistente, buona finezza d’insieme.
E veniamo al Rabajà, che nella versione di Giuseppe (Pier Carlo) Cortese raggiunge vertici assoluti, ha colore granato con ricordi rubini, naso di notevole finezza, bel frutto nitido e gradevole, fragolina di bosco, grande vena floreale, poi menta; bocca stupenda, in grande equilibrio, tutto perfettamente in sintonia, persino il tannino solitamente molto incisivo in gioventù, qui sembra riuscire a integrarsi meglio, vino di monumentale fattura.
Segue a pochissima distanza quello di Castello di Verduno, trama olfattiva impostata sulla componente floreale soprattutto di viola, poi vira sui frutti di bosco, leggera prugna e sfumature di torrefazione; all’assaggio colpisce per la bella vena sapida e un corpo ben controllato, l’allungo speziato nel finale lascia presagire un futuro brillante.
Anche Cascina Luisin di Roberto Minuto ci regala un’ottima interpretazione di questo splendido cru, un bel connubio fra fiori e frutti senza sbavature, bocca succosa e con un tannino più “gentile”.
Merita una doppia citazione Cascina delle Rose di Giovanna Rizzolio per il Tre Stelle e il Rio Sordo, il primo semplicemente superbo, nonostante la sua verve tannica sempre decisa in gioventù, rivela un’eleganza e un fascino davvero notevoli, tanta florealità e una freschezza che accompagna il frutto al gusto rendendolo particolarmente stimolante. Il secondo appena meno incisivo e preciso ma con una personalità già delineata che promette grandi cose.
Splendido il Roncaglie di Poderi Colla, come sempre elegante, pulitissimo, con una suadente rosa in primo piano seguita da un bel frutto appena maturo e da una piacevole vena balsamica; al gusto rivela un tannino fine ma importante, che trova però una buona spalla a delimitarlo.
Chiudiamo la carrellata dei vini di Barbaresco con il Ronchi di Albino Rocca, piacevole con un bel frutto nitido, note pepate; il sorso è generoso, d’impatto, con il tempo acquisterà grande complessità.
• NEIVE
Da quando sono nate le Menzioni Geografiche Aggiuntive (MGA), le etichette dei vini sono diventate, per i meno esperti, decisamente più difficili da comprendere, prendiamo ad esempio l’ottimo Barbaresco Santo Stefano Albesani di Castello di Neive: chi non ha modo di documentarsi come fa a capire che Santo Stefano è uno specifico vigneto all’interno della menzione Albesani (l’altro è il Borgese)? Se è già difficile capirlo per un italiano figuriamoci per un cinese o un russo. Certo, qualcuno potrebbe dire che in fondo non ha nessuna importanza; vero, se ci limitiamo a pensare che si tratta solo di nomi, ma non è proprio così. Complicarci la vita è una nostra passione, infatti è la legislazione a stabilire che, se vuoi menzionare in etichetta la vigna da cui nasce il vino, devi indicare anche l’MGA a cui appartiene. Del resto Santo Stefano è un signor cru, uno dei migliori di tutta l’area del Barbaresco, e la famiglia Stupino ha contribuito in modo sostanziale a recuperare il vigneto dall’abbandono negli anni ’60… ma veniamo al vino, un bell’esempio di florealità con la rosa e la viola che marcano il territorio; la freschezza che emerge al gusto dà slancio alle sensazioni e trova un tannino di notevole finezza, importante ma non estremo, mentre il frutto e la delicata speziatura accompagnano un finale di notevole eleganza.
Dall’MGA Basarin arriva un gran vino firmato Negro Angelo e Figli, di questo pregevole cru è una delle migliori espressioni degli ultimi anni, con un naso fine e pulito dove fiori e frutti giocano in un’altalena in raro equilibrio, in bocca ha grande classe, dinamico, con un bel tannino calibrato e una verve fruttata e minerale che non passa inosservata.
La versione proposta da Marco e Vittorio Adriano ha uno tratto rubino con accenti granati, naso di frutto maturo, balsamico con effluvi boschivi, in bocca c’è materia e un tannino ben estratto, deve ancora armonizzarsi ma l’eleganza non gli manca.
All’interno della stessa MGA c’è un fantastico cru, il Gianmaté, situato in zona ben esposta e protetta, le cui uve sono state vinificate per la prima volta in purezza nel 2004 dai Fratelli Giacosa, che ancora oggi gestiscono il vigneto. La versione 2012 ha colore granato scuro, naso ricco di frutto che è premessa di una struttura importante, che ritroviamo puntuale al palato, dove si arricchisce di una speziatura fine che accompagna il lungo finale.
Notevole il Bordini di Fontanabianca, sapido e terroso, di carattere, con un tannino prosperoso ma dai confini senza filo spinato (permettetemi l’espressione). Anche il Barbaresco annata della stessa azienda rivela una qualità considerevole, al naso gioca con i frutti di bosco e venature di tabacco, mentre in bocca è fresco, piacevole, definito, con una bella succosità, sapido.
Sontuoso il Canova di Ressia, giocato fra spezie e note di macchia mediterranea, mentre al palato emerge un buon frutto e una viva freschezza, tannino fine e misurato, finale di buona ampiezza.
Trama di viola, ginepro e spezie fini nel Gallina di Oddero, che al palato gioca più sulla finezza che sulla potenza, regalando sensazioni gradevoli e fresche.
Sempre del Gallina ancora più convincente la versione offerta da Castello di Neive, di stampo molto classico già nel colore granato trasparente, che regala un bouquet floreale inframmezzato da delicati rintocchi fruttati, mentre all’assaggio colpisce per la freschezza, il frutto deciso e copioso, la buona sapidità, mentre il tannino impatta un po’ nel finale asciugando, ma è cosa da poco per un vino così giovane.
Si sale ancora con il Gallina L’Ciaciaret di Antichi Poderi dei Gallina, dal colore granato classico con ricordi rubini, naso di ciliegia e lampone quasi dolci, affiora anche la rosa, in bocca è molto fine, elegante, bella materia, succoso, sapido, davvero molto buono.
Ottimo anche il Barbaresco annata di Bera, inizialmente floreale, poi si sposta su toni di tabacco e leggero cuoio, il frutto arriva solo dopo; al palato ha tannino lineare e ben dosato, freschezza e una buona vena sapida.
Prestazione tutt’altro che trascurabile quella del Barbaresco di Massimo Rivetti, vino che trova la sua forza nella progressione gustativa, generosa nel frutto, e per una dinamicità e fragranza che stimolano la beva. Un gradino più in alto il suo Froi, che rivela un carattere più profondo e variegato, dove spezie e frutti si intersecano regalando sensazioni di estrema piacevolezza su una base sapida e un tannino sotto controllo.
Particolare il Colle del Gelso di Cascina Saria, rubino con riflessi granati, naso di frutto intenso e scuro, quasi verso la mora, in bocca è succoso, terroso, sapido, ha slancio e chiude avvolgente con un retrogusto di menta.
Lintuito di Montalbera ha colore granato con ricordi rubini, naso fresco e fruttato, bocca speculare, tutta orientata sul frutto, fresca, con un tannino non aggressivo, ben fatto anche se forse manca un po’ di complessità.
Il San Cristoforo di Pietro Rinaldi parte con un impatto ossidativo, poi si distende su una delicata speziatura, in bocca è più definito, ha una bella materia, succoso, interessante, con una piacevole nota di liquirizia sul finale.
Progressivo il Serraboella dei Fratelli Barale, granato classico, naso di piccoli frutti maturi, liquirizia, cacao, in bocca ha una certa finezza, buon frutto, tannino appena asciugante ma di buona fattura.
Chiudiamo con il Serragrilli di Bricco Grilli, dal colore granato classico un po’ evoluto, antico e terziario, in bocca è molto coinvolgente, indubbiamente atipico, tutto impostato sulla terziarietà, sapido, particolare, ha un suo fascino.
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• COMUNI DIVERSI
Spicca su tutti il Coparossa di Rabajà-Bruno Rocca, granato classico, naso dall’impatto moderno ma di ottima misura, sial al naso dove a note di cacao e spezie dolci si accompagnano un frutto maturo e sfumature minerali, sia in bocca dove rivela una bella materia, succosa, piena, coinvolgente, con un tannino perfetto, senza sbavature.
Il Barbaresco di Produttori del Barbaresco è una sicurezza, ha colore rubino granato vivace, naso molto fruttato di ciliegia e lampone maturo, sbuffi floreali, solo in bocca ha ancora qualche apserità di troppo, il frutto è affiancato da un tannino ancora acerbo e difficile, ma non insormontabile.
Buono il Teorema di Molino, granato luminoso, toni di piccoli frutti, eucalipto, al sorso rivela freschezza, energia e un tannino di buona misura.
Il Barbaresco di Batasiolo ha naso delicato di ciliegia e lampone, poi talco, in bocca ha una buona corrispondenza, appena un po’ scomposto e con una spalla contenuta, ma si fa apprezzare per il buon equilibrio.
Sempre apprezzabile la versione di Armando Piazzo, un’azienda che pur facendo grandi numeri riesce a produrre vini gradevoli e di carattere, il suo Barbaresco al momento si esprime meglio al naso dove ha attacco fresco e fruttato ma anche floreale, mentre al palato è ancora contratto dal tannino.
• TREISO
Davvero riuscito il Pajoré di Rizzi, attacca con belle note di artemisia, genziana, viola, ciliegia, fragolina di bosco; al palato è ancora tirato nel tannino ma ha freschezza e profondità. Di poco sotto il Nervo, penalizzato da qualche eccesso vegetale, al sorso recupera e trova una buona misura, anche se i toni vegetali riaffiorano e caratterizzano questo millesimo.
Bene anche il Vallegrande dei Fratelli Grasso, granato trasparente e luminoso, naso con una bella vena floreale, in bocca ha tannino ben definito, freschezza e un afflato balsamico che accompagna il piacevole finale.
Dello stesso cru è apprezzabile anche la versione di Ca’ del Baio dal colore granato profondo, all’olfatto è austero e un po’ chiuso, ma al gusto rivela una bella energia, frutto copioso, freschezza e un tannino non debordante.
Notevole anche il Meruzzano di Orlando Abrigo, ha colore granato luminoso, profuma di resina, aghi di pino, liquirizia e pepe, al palato è balsamico, fresco, con un tannino ben delimitato e un finale persistente e piacevole.
Il Barbaresco de La Ganghija è tutto improntato su un frutto scorrevole che marca anche al palato, questo gli garantisce piacevolezza e bevibilità anche se la componente acida risulta al momento un po’ scomposta.
Chiudiamo la carrellata dei Barbaresco con il Nervo di Pertinace, dal colore granato profondo, naso di frutto maturo e spezie in formazione, all’assaggio segue un percorso analogo, la balsamicità accompagna le sensazioni, molto tipico e caratteristico nello stile aziendale.
Roberto Giuliani