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Storie di cantine, uomini e luoghi

Poi arrivò La Grola, a Venezia, 30° anniversario

“Di campagne, di là del ponte, ormai non ce n’è più. Noi – per loro – ancora campagne; loro per noi: mistero. Gente che non coltiva, che non ha terra sotto i piè! E come vive? Abituà da secoli a ciapàr su e altrove, come Marco Polo”.
A parlare di Venezia, ci vorrebbe poco a perdersi in un mare di citazioni, navigando veloci tra isole di scrittori, poeti, pittori e scultori. È sempre una sensazione strana, quando d’improvviso lasci la terraferma, e salti sul mare che circonda queste isole di pali e mattoni.
Mi porta a Venezia il vino, un viaggio alla ricerca di qualcosa che mi parli di Valpolicella. Mi giro verso ponente, dove stanno le Corvine, oltre l’orizzonte, ma ormai c’è solo il sole che lentamente annega nella laguna dei mille canali e casoni, primo assaggio della terraferma.
Settembre è un mese intenso, di cambiamento: di luce, di profumi, di attività. E mi ritrovo anche quest’anno, nel tumultuoso periodo vendemmiale, a cercare di concretizzare il connubio arte-vino di cui tanto si parla e scrive, chissà quanto a vanvera. Ma niente è più soggettivo che l’abbinamento di un quadro con un vino – sfida in cui sarebbe divertente “testare” molti sommelier – e forse può venire in aiuto una somiglianza fra il produttore e l’artista.

A Venezia

Jackson Pollock: La foresta incantataFinché quel caotico intreccio del Guggenheim,
fatto di fili di colore che si agitano o sostano,
giorno dopo giorno ci ipnotizzerà
con il suo amalgama tra tecnica e soggetto,
il Mondo non merita
la fine del mondo
.
Mateusz Dripinski

L’eleganza e la raffinatezza, con giusto un po’ di sapore di nostalgica mancanza di tempi in cui l’arte era più vissuta, riescono ad unire due donne, Peggy Guggenheim e Marilisa Allegrini, l’una eclettica collezionatrice di opere d’arte, l’altra anima – assieme al fratello e alla nipote – dell’azienda Allegrini. Entrambe danno voce a diverse realtà e visioni dell’arte di cui si occupano: Surrealismo e l’argilla di Montalcino, Futurismo italiano e i sassi di Bolgheri, Espressionismo astratto e il frutto delle pergole dorate della Valpolicella, sostenute dalle marogne.
Si è sempre dato per scontato che Venezia è la città ideale per una luna di miele ma non solo, ma è un grave errore: vivere a Venezia, o semplicemente visitarla, significa innamorarsene e nel cuore non resta più posto per altro.” E aveva veramente ragione Peggy Guggenheim, parlando della città poggiata sul mare. Provare a conoscere i tratti del carattere di quella donna, dalle opere di cui si circondava è cosa tutt’altro che semplice. Eppure i dettagli nascosti nelle foto in bianco e nero che la ritraggono nelle stanze ora ampie e luminose, liberate da ogni oggetto superfluo che possa distogliere l’attenzione dai quadri, parlano molto, rimanendo in silenzio, come d’obbligo in ogni museo.
Passeggio fra i quadri, mentre una gentile signorina mi racconta alcuni aneddoti, mi fa notare alcuni dettagli. Il tempo scorre veloce, nel silenzio pensoso davanti alle opere. Arriva l’ora di cena, e saliamo sulla splendida terrazza sul Canal Grande: la città, il mare, e il rumore lieve del loro incontro.
Iniziamo la cena con La Grola, che accompagna un risotto autunnale, sapori dell’entroterra. La spezia complessa che si avverte nel calice, la trama fitta del tannino, voluminoso. E poi ancora i richiami al sottobosco, la frutta scura, la ciliegia matura, il miele di castagno. Elegante e sfuggente, come in una Foresta incantata. Riappare fra i pensieri, l’immagine dell’opera di Pollock.
La trama percepibile, tangibile del colore “gettato” sulla tela, che rimane in rilievo, eppure con un respiro più libero rispetto alla simile – per tecnica – Alchimia, meno fitto. Pochi colori – oro, nero, rosso e bianco – e lo sguardo che segue queste irrequieta linea continua, che invece di creare forme definite, si perde in un’evoluzione continua.

La Grola

Magritte: L'Empire des lumièresNel sogno che ha portato Giovanni Allegrini ad impiantare quel vigneto, così diverso nella Valpolicella degli anni ’80, con soltanto Corvina, e poi Syrah, e ultimamente Oseleta, forse quel vino doveva essere così, unico modo per raccontare qualcosa senza imitare ed omologarsi. La Poja è la sommità bianca e sassosa di quella collina. Un piccolo altopiano, un paio di ettari di sasso bianco, calcareo, dal quale si ergono vigne di Corvina, circondate da alcuni cipressi appuntiti.
Accompagna un guanciale morbido e succulento. Una sensazione di dolcezza, di assenza di asperità è anche il tratto distintivo della Corvina solista. E in quel vigneto raggiunge un livello che a tratti può farla sembrare fredda, distaccata, bloccata nella sua irraggiungibilità. Eppure forse è solo esigente, e più introversa, nello svelare la trama finissima al gusto, e i profumi di ciliegia e legno, di erbe profumate, ma appena accennate.
Come i colori ne L’Empire des lumières, di Magritte, dove la luce, i colori, sembrano così immobili, eppure vibranti nell’attesa di qualcosa. Con il contrasto fra il buio della casa, rischiarato da un lampione, e il cielo così azzurro. “Nell’Impero delle luci ho rappresentato due idee diverse, vale a dire un cielo notturno e un cielo come lo vediamo di giorno. Il paesaggio fa pensare alla notte e il cielo al giorno. Trovo che questa contemporaneità di giorno e notte abbia la forza di sorprendere e di incantare. Chiamo questa forza poesia”, disse lo stesso autore.
Fu il secondo sogno di Giovanni, quel vigneto di sola Corvina. E il colore nero dell’uva matura, il respiro profondo e terroso di un vino che parla molto della Valpolicella, sembra venire elevato all’aria luminosa lassù, riflessa da quella terra bianca.
Quell’idea trovò la sua realizzazione su quella collina nel ’79, ma fu l’83 la prima annata prodotta, e da allora sono cambiate poche cose in quel vigneto. Fu un azzardo, una scommessa, che a trent’anni di distanza dimostra tutta la bellezza dei propri frutti, finendo in una bottiglia vestita in modo a dir poco artistico: l’etichetta de La Grola 2010 infatti porterà la firma di Milo Manara, che già aveva disegnato in passato un matrimonio tra Valpolicella e sensualità femminile.

Ritornando, la sera, in una Venezia svuotata dei turisti e silenziosa, penso agli scorci rubati del Canaletto, o agli Impressionisti che ho sempre amato. Mi ha sempre stupito la loro capacità, e quella dimensione più modesta che mi hanno sempre trasmesso, quasi l’uomo non potesse far di meglio di quanto presente già in natura.
Ma i pensieri cominciano ad accavallarsi, e forse a mescolarsi in maniera indefinita, privi dell’orientamento tra calli e canali, come un’acqua che nella laguna non sa più se scendere o salire. Forse per vedere cosa sceglie, bisognerebbe rimanere ad attendere il sorgere del sole, magari in compagnia di quel vino…
Me lo ricordo ancora, colore intenso, brillante. Fumo e goudron, come in una nebbiosa giornata d’inverno. Ma poi sembrava spogliarsene, e raccontare di terra, ciliegie sotto spirito, fiori, cioccolata. Mandorla e spezie dolci non facevano più capire se era una cucina di campagna o una drogheria di città.
Ma forse era entrambe: in qualche calle veneziana c’erano anche le sete preziose, incontro tra occidente e oriente, tra terra e mare, città e “campagne”; quei tessuti che ricordavano il liquido vivo e compatto, con un corpo presente, elegante e semplice. E le erbe, le spezie, l’incenso e il fumo che portano lontano…

Claude Monet: Impression, soleil levant - 1872

Rimetto i piedi sulla terraferma, e mi giro a guardare la città che si addormenta. Ma come ogni città, non si spegne… anzi, ma lei è unica: capace di splendere il doppio, nel riflesso tremolante delle luci sull’acqua.
In fondo, però, io sono “campagne”: torno volentieri, qui, a nutrirmi un po’ dell’aria della Serenissima, di una Repubblica perduta, di un caleidoscopio culturale, ma è in terraferma che trovo le radici, e senza la terra sotto i piè…
P.s.: la citazione iniziale viene da Il Milione, di Marco Paolini. Il vino del finale è La Poja, 1988.

Andrea Fasolo

Aspirante agronomo, laurea in Scienze e tecnologie viticole ed enologiche e poi in Scienze agrarie, innamorato tanto della vite che del frumento, e tanto delle colture quanto della cultura che vi affonda le radici. Lo appassionano tutte le forme di agricoltura a basso impatto e ad alta fertilità, che mettono la terra al centro dell'agricoltura e del mondo che ruota attorno al più antico e nobile dei mestieri.

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