Brigaldara, la Valpolicella che non si ferma e sa guardare oltre l’orizzonte
Ho accettato volentieri l’invito a partecipare, tramite apposito webinar, a un incontro con i protagonisti di una delle aziende storiche della Valpolicella, l’azienda Brigaldara. Conoscere la famiglia Cesari a San Pietro in Cariano (VR), dove ha sede l’azienda, avrebbe avuto tutt’altro sapore, un sapore che mese dopo mese, e ormai da quasi un anno, mi manca sempre più, ma è davvero inutile piangersi addosso è il risultato che conta. L’incontro virtuale con i protagonisti della Cantina è stato ugualmente centrato, ricco di spunti interessanti su cui riflettere e soprattutto mi ha dato la possibilità di approfondire un’altra faccia del noto comprensorio vitivinicolo veneto, ubicato a nord di Verona, che fino ad ora era venuto fuori solo in parte.
La storia di questa azienda e soprattutto del toponimo Brigaldara ha origine davvero lontane, le stesse si perdono nell’arco di un millennio, all’incirca 1100. L’appellativo «Brigaldara», «Bragadara» o «Bragaldara» fa la sua comparsa già nel XII secolo in diversi atti di compravendita. L’area in cui sorgeva il casolare è quella ai piedi del Monte Masua, tra San Floriano e Valgatara, al centro della Valle di Marano, un luogo particolarmente vocato alla coltivazione alla vite, ma non solo: uliveti e alberi da frutto, oltre che cereali, erano all’ordine del giorno in questo fazzoletto di terra veneta. Nel XIII secolo, Brigaldara venne ceduta al cenobio agostiniano di Sant’Eufemia in Verona che ne terrà il possesso almeno fino al XV secolo. Un’altra data fatidica è il 1653, la proprietà passa di mano: dal cenobio di Sant’Eufemia ai Fratelli Fontana, illustre famiglia di Verona di rango nobiliare.
Già nel 1714 Giacomo Fontana, oppresso dai debiti, vende la proprietà alla «signora Margherita» moglie di tale Giacomo Locatelli, già a quei tempi l’uva veniva definita “Di bella e di buona qualità. Successivamente, il Catasto austriaco dei primi del Novecento, realizza il podere di Brigaldara nelle forme che son tali ai giorni nostri. Uno spettacolo di stile architettonico perfettamente conservato, sono presenti: la villa “dominicale” di origine cinquecentesca, i prativi, gli ulivi, i boschi e, soprattutto, i cosiddetti «vitati in piano e in colle», divisi tra quelli del Monte Masua scanditi dalle marogne, ovvero terrazzamenti in pietra, e quelle dei declivi ai suoi piedi. Infine, nel 1873, il progetto di ristrutturazione ad opera dell’ingegner Giuseppe Fraccaroli sarà responsabile dell’aspetto attuale della tenuta.
Ma arriviamo al tema centrale del mio articolo, ovvero l’avvento della famiglia Cesari e la conseguente nascita dell’Azienda Agricola Brigaldara. Tutto ha inizio nel 1928, Renzo Cesari acquista la proprietà e contestualmente cresce la specializzazione in tema di viticultura, seguita con amore e passione dal figlio Lamberto, successivamente, negli anni ’80 la direzione passa nelle mani di Stefano, nipote di Renzo, coadiuvato da un illustre enologo di questi tempi, Roberto Ferrarini, ricordato ancor oggi come uno dei più importanti innovatori della storia della Valpolicella e dell’Amarone, indubbiamente il vino ad oggi più noto del comprensorio che negli ultimi decenni ha saputo conquistare importanti fette di mercato internazionale.
Arriviamo al 2000: Stefano Cesari e i figli Lamberto e Antonio sono i veri responsabili, nell’accezione nobile del termine, di un ammodernamento delle strutture produttive della cantina e soprattutto dei vigneti, grazie alla teoria della localizzazione razionale degli stessi, attività premiante che offre la possibilità ad ogni cultivar di esprimere il meglio nel suo luogo d’elezione. Alle storiche proprietà attorno alla villa di San Floriano si aggiungono i vigneti di Marano, coltivati a Corvina e Corvinone, le terre delle Case Vecie, a Grezzana, dedicate a uno speciale “Amarone Vigne Alte ”, il vigneto di Cavolo, sempre a Grezzana, da cui nasce un Amarone dalle delicate note floreali; e i nuovi impianti di Marcellise, dove hanno trovato dimora i vitigni autoctoni della Valpolicella: il Corvina, il Corvinone, la Rondinella e la riscoperta varietà autoctona dell’Oseleta.
Ai giorni nostri Brigaldara può contare su 120 ettari, di cui 47 coltivati a vigneto, i restanti sono dedicati ad uliveti, da cui l’azienda ricava un olio extravergine d’oliva che mi ha molto incuriosito e che vedrò di assaggiare in futuro, inoltre coltivi, boschi e pascoli. Tra gli elementi più importante vi è appunto la biodiversità, concetto che sta molto a cuore alla famiglia Cesari, non solo a parole ovviamente perché all’atto pratico la stessa ha deciso di rispettare e valorizzare il territorio, vero tesoro da preservare ad ogni costo, attraverso pratiche sostenibili tanto in vigna quanto in cantina. Queste le parole di Stefano: “Brigaldara interpreta l’intero territorio della Valpolicella, nelle sue sfumature più autentiche, portando in bottiglia un patrimonio viticolo eterogeneo, summa e ricchezza di un comprensorio da oltre mille anni vocato alla vitivinicoltura di qualità.”
Voglio riportare le stupende parole di Augusto Benedetti, che riassumono in maniera poetica e molto significativa il proprio amore, che è poi lo stesso della famiglia Cesari, nei confronti di quest’area veneta:” Il mio colle – quando lo ricordo – lo vedo tutto nel sole. Un rettangolo di terreno si parte dal fondovalle e sale fino alla sommità del monte che fa da crinale tra la Val di Marano e quella di Negrar. I lati maggiori del rettangolo – due scoscesi solchi quasi paralleli scavati dalle acque – formano il confine con poderi d’altra proprietà. La sommità, un poco appianata, offre la visione di entrambe le valli. Si scende dalla spianata e s’incontra subito l’alto cipresso isolato, con il tronco scalfito dalle folgori: sentinella vigile; poi un acquidoccio; poi un gruppo di quattro cipressi. La carrareccia si snoda, ora, a larghe svolte, assai ripida per lo più, e, per qualche tratto, a dolce declivio. L’azienda per promuovere ai massimi il proprio territorio sta sviluppando un interessante progetto legato all’ospitalità: verrà avviato un agriturismo e un agricampeggio con ristorante, alcune camere, aree attrezzate per camper e tende, ma anche l’occasione di poter soggiornare in moderne tende glamping immerse nella natura stupenda di Casevecchie.
Durante il webinar ho preferito non degustare virtualmente i tre vini presentati, ma concentrarmi sull’aspetto storico e soprattutto sulla filosofia di Brigaldara e l’orientamento futuro. Le caratteristiche di ogni singola etichetta le illustrerò, come sempre con dovizia di dettagli, nelle mie tre prossime pubblicazioni che racconteranno il mio punto di vista su quanto assaggiato e soprattutto le peculiarità del territorio dove vengono allevate le uve. Da quanto emerso durante l’oretta e mezza di webinar, la famiglia Cesari punta tantissimo non solo sulla produzione dell’Amarone, protagonista indiscusso di queste colline, ad oggi uno dei vini italiani più richiesti dai mercati internazionali, ma soprattutto sulla valorizzazione della Doc Valpolicella e Valpolicella Superiore. Queste tipologie di vini, secondo Brigaldara, sono in grado di esprimere ancor più dell’Amarone stesso il concetto di terroir; ricordiamo che il celebre vino veneto viene prodotto con l’appassimento delle uve autoctone corvina, corvinone e rondinella su appositi graticci, anche chiamati arelle, dunque un vino “speciale” per così dire, dove l’abilità e le pratiche tradizionali di cantina giocano un ruolo fondamentale, al pari dell’attenzione in vigna.
Riguardo le altre due Doc citate invece vi è una vinificazione in rosso classica, ovviamente senza appassimento, dunque l’obbiettivo della Cantina è intervenire il meno possibile a livello tecnico per far sì che siano le peculiarità di ogni singolo vigneto ad emergere con disinvoltura. Ogni vino mostrerà le peculiarità del terreno dove vengono allevate le uve, un gioco appassionate per il consumatore che imparerà in questo modo a conoscere gli aspetti di una zona vitivinicola che non si ferma e sa guardare oltre l’orizzonte.
Produrre vini più agili, slanciati, di consumo ricorrente in alcune categorie, allo scopo di riconquistare quel ruolo che aveva la Valpolicella nelle tavole degli italiani negli anni ’60-’70, prima del successo internazionale dell’Amarone, un vino interessante, sfaccettato, ma indubbiamente “da meditazione”. Stefano assieme agli altri protagonisti dell’azienda mi ha raccontato un aneddoto molto significativo, stuzzicato se vogliamo da una mia domanda specifica. Essendo un grande appassionato di cinema e dei film di Fellini in particolare, ho fatto presente che nella scena di “Otto e 1/2”, Marcello Mastroianni siede assieme ad altri interpreti in un ristorante all’aperto; il “paparazzo” di turno chiede al cameriere: “cos’hanno bevuto a quel tavolo”, il cameriere risponde: “Valpolicella”. La mia domanda è stata: vi è intenzione da parte del territorio di tornare a quegli anni, le tavole italiane in futuro vedranno come protagonista, affianco ad illustri vini piemontesi, toscani, siciliani, altoatesini… il Valpolicella Doc? La risposta è stata molto chiara: “Per quanto riguarda la realtà Brigaldara certamente sì, come già spiegato è il nostro obbiettivo futuro, devi sapere Andrea che un tempo, proprio in quegli anni che hai citato, gli ettari dedicati erano 7500, si producevano 4.000.000 di bottiglie di Amarone, col passare degli anni siamo arrivati a 9.000 ettari e le bottiglie sono diventate 16.000.000”.
Indubbiamente questo vino ha saputo rappresentare una parte di Italia e tradizione enoica nel mondo, una tipologia di vino che ha ammaliato diversi mercati, ma il vero potenziale della Valpolicella, ovvero le peculiarità del terreno e delle uve classiche del territorio, non sono riuscite a imporsi come è accaduto in altre regioni altrettanto blasonate. Mi auguro dunque che la filosofia di Brigaldara, che sposo anch’io in toto e che nelle prossime tre pubblicazioni illustrerò ancor più nel dettaglio attraverso il “vino nel bicchiere”, sia un modo di interpretare la Valpolicella che verrà seguito da molte altre aziende. Ciò che mi auguro è quest’area vitivinicola in futuro non senta l’esigenza di dormire tra gli allori in virtù dei successi conseguiti, ma che sappia costantemente mettersi in discussione per rinnovarsi e raccontare nuove storie.
Andrea Li Calzi