Il Thanksgiving ovvero il “Giorno del Ringraziamento”, è per gli americani, un appuntamento speciale. Cade il terzo giovedì del mese di novembre e rappresenta la Festa per antonomasia. Non c’è Natale che tenga, forse per importanza può essere paragonato al 4 Luglio, sebbene il “mood” sia completamente diverso. Il calendario di quest’anno ha segnato il Thanksgiving, giovedì 22 novembre e lo spirito che ha contraddistinto questa giornata è stato proprio un misto di riconoscenza verso i primi coloni che approdarono in America e quanto di buono la vita può offrire. Ci si sente più portati ad aiutare, si invitano quegli amici che non hanno la possibilità di stare con i propri cari, si sta in famiglia. E come mi viene raccontato, a differenza del Natale che viene considerato giorno dedicato ai più piccoli, vi è una maggiore predisposizione a passare del tempo a conversare amabilmente con i parenti. Insomma ci si sente più buoni, come noi a Natale. Inoltre, mi viene sempre fatto notare, in un paese multirazziale come l’America, l’unica festa che unisce un po’ tutti è proprio il Thanksgiving, che nulla ha a che vedere con i diversi credo religiosi.
E allora, non resta che accettare l’invito della signora Maureen e del marito Fred e trascorrere il Thanksgiving alla tipica maniera americana: in famiglia. Sono curiosa di tutto; dal menu che deve essere particolarmente ricco, all’atmosfera, agli ospiti, ai vini… Accetto l’invito e mi viene detto che il lunch è previsto per le 3PM. Orario impensabile, per noi italiani! Mi chiedo se è meglio fare una leggera colazione molto presto, per poi approdare a quello che viene chiamato “brunch” (misto fra breakfast e lunch), di solito previsto attorno alle 11 del mattino, piuttosto abbondante. Alla fine, scelgo di farmi il solito caffè con la moka portata da casa e mangio una fetta di Pandoro, comprata in uno store a Kingstone, Adams per la precisione. La cosa strana è che non avevo resistito all’acquisto del mio tipico dolce natalizio, (pagato 8 dollari) e controllando da dove provenisse, avevo scoperto con stupore che arrivava direttamente dal Vecchio Forno Artigiano di Brogliano, in provincia di Vicenza, piccolissimo paese confinante con il mio altrettanto piccolo paese natale. Chissà perché quando si vive all’estero e si compera un prodotto che proviene dall’Italia, soprattutto i primi tempi, viene quasi automatico andare a guardare chi lo produce e da quale luogo.
Arrivo a Rhinebeck, meravigliosa cittadina nell’UpState New York, dove il tempo sembra essersi fermato, con quei negozietti lungo la via principale già addobbati per Natale. Una visione così coccola (mi si conceda il termine) da sembrare quasi finta, come se ci si trovasse sul set di un film. Ad accompagnarmi, Patricia, carissima amica figlia di Maureen, con il marito giapponese Yoichi ed i figli Ian ed Emma. La casa è ampia e spaziosa; tutto attorno grandi finestre che danno sul bosco. Appena entro, c’è un buon odore d’arrosto. Mi viene presentato immediatamente il “protagonista” della giornata. Un signor tacchino di sette chili e mezzo, prenotato per tempo, pagato 63 dollari, rimasto in forno per quattro ore. Mi si mostra con fierezza anche l’etichetta che garantisce NO HORMONES, NO STEROID, NO ANTIBIOTIC. E la Poultry Farm, l’ allevamento, che guarda caso porta un nome italiano: Campanelli. Sugli scaffali della grande cucina, fra i libri di ricette, anche l’immancabile “Lidia’s Italian Table” di Lidia Matticchio Bastianovich e “Molto Italiano” di Mario Batali. L’occhio si posa quasi automatico sulle bottiglie di vino: si inizia con un Prosecco Doc Brut Mionetto, che la padrona di casa è solita ordinare via mail al distributore americano. Mionetto è un’etichetta molto conosciuta ed apprezzata negli Stati Uniti, grazie alla forte rete di distribuzione e al grande lavoro di marketing che è stato fatto a suo tempo. Gustando il Prosecco, mi viene offerto un piatto di formaggi misti: Cheese La Tur (Caseificio dell’Alta Langa di Bosio – Cn), un francese Roquefort Papillon ed un altro olandese.
Si passa poi al clou del pranzo, accompagnato da un rosso Villa Puccini – Toscana del 2008. Sul piatto oltre al tacchino, un contorno di funghi e fagiolini cotti molto al dente, “acorn squash“, una purea mista di patate dolci e una particolare zucca (squash per l’appunto), purè di patate, salsa dolce ai mirtilli, (come vuole la tradizione), stuffing fatto in casa dalla signora Maureen, (composto da salsiccia italiana, pane grattugiato, erbe, prezzemolo, aglio). Alla fine, arriva anche la Pumpkin Chiffon Pie, crostata alla zucca con panna montata e gelato fatto in casa al gusto di vaniglia, preparati per l’occasione da Patricia con l’aiuto di Emma. Sul tavolo, un Pinot Grigio delle Venezie Cavit del 2011. In realtà la bottiglia non viene aperta; il dessert viene invece accompagnato da un leggero tè al gusto di vaniglia, con del latte che lo fa sembrare una cremina assai deliziosa al palato. A questo punto, quando sopraggiunge quel piacevole torpore di fine pranzo, si dovrebbe optare per una camminata tutti assieme, come di rigore al Thanksgiving. Ma è troppo tardi, si doveva fare in mattinata, scelta optata da molti americani, visto anche il tempo clemente ed un sole che quando appare, scalda ancora. Anche l’anima. Many thanks to Frederick and Maureen Ripin, for my unforgettable Thanksgiving Day 2012 and Thank you, Ian, for the pictures!
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