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Campania Stories atto I: tra amarcord e déjà-vu

Area dei vini rossi della CampaniaDi solito si cominciano questo tipo di resoconti con i (doverosi oltre che strameritatissimi come mai, in questo caso) complimenti all’organizzazione dell’evento. Questa volta ci tengo ad un ringraziamento particolare, speciale, per quello che questa degustazione ha rappresentato per il sottoscritto. Prima di lasciarmi andare ai sentimentalismi non vorrei dimenticare, però, di sottolineare come questa degustazione sia stata inserita nell’ambito di una bellissima iniziativa di ben più ampio respiro che ha previsto per la stampa presente tutta una serie di incontri e visite sul territorio nella stessa settimana collegandosi, poi, nel gran finale alla consolidata (ex anteprima, oggi) Vendemmia Taurasi.
Insomma finalmente la Campania, tutta, ha una sua passerella paragonabile a quelle delle più quotate regioni del vino (Toscana, Veneto e Piemonte in testa) della nostra penisola. Ma torniamo a me! Quando, ormai, più di dieci anni or sono scoccò la fatidica scintilla che mi portò al perduto innamoramento per il nettare di Bacco, sbocciato in una sfrenata ed incontenibile passione, è stato quasi scontato partire dalla mia regione ed i suoi vini. Un lavoro di ricognizione che mi ha tenuto impegnato, non poco, nell’esplorazione di un territorio quanto mai vasto e variegato come, appunto, quello campano. Una ricerca a tappeto, cantina per cantina, tra etichette storiche ed esordienti, in un periodo, quello a cavallo tra la fine dei novanta e l’inizio del nuovo millennio, particolarmente ricco di fermenti.
Era davvero difficile stare dietro a tutte le novità che quasi quotidianamente si affacciavano sul mercato, molto spesso piccoli ex conferitori di grandi cantine che decidevano di affrontare una nuova avventura con l’imbottigliamento in proprio. Un fenomeno non del tutto esaurito ma che ha subito, complice la crisi, un notevole rallentamento negli ultimi anni. Ad ogni modo dopo aver seguito per un po’ di anni molte di queste cantine e vini si è maturata in me una lenta ed inesorabile disaffezione.

Le bottiglie coperte in degustazioneNon c’è dubbio che si è trattato di un percorso del tutto ovvio, naturale, ancorché soggettivo, motivato dall’interesse crescente di andare alla scoperta di altre aree di produzione d’Italia e del mondo, di altri vitigni ed altri territori, insomma del vino nella sua straordinaria ed immensa variabilità. Quando, pertanto, sono stato informato ed invitato a Campania Stories ho avuto una reazione emotiva forte più di quanto già, potessi prevedere. Un tuffo al cuore e nel passato.
Nello scorrere la lista dei produttori presenti mi sono rivisto ed ho rivissuto quella parte così intensa dei miei inizi. Non vedevo l’ora di poter riassaggiare molte di quelle etichette che ormai non mi capita di bere da tempo e, perché no, poter reincontrare qualche produttore col quale ci eravamo persi completamente di vista (e così pure è stato).
A dir il vero non nutrivo grandissime aspettative per molti di quei vini ma tanta era la curiosità di e sul come li avrei ritrovati nel bicchiere. E la delusione non è stata tanto nel ritrovare molti di questi vini come li avevo lasciati ma nel non riuscire più a coglierne ed apprezzare il carattere, senza cioè riprovare minimamente quell’entusiasmo (ahimè neanche una briciola!) che aveva accompagnato i primi assaggi di molti di loro. Qualcuno mi obbietterà che è normale, che le cose, nel frattempo siano cambiate, che i miei gusti si siano evoluti e che ciò fosse inevitabile ma un velo di tristezza frammisto a malinconia rimane. Tralasciando, però, i rimpianti e volendo spostare la visuale su un piano più oggettivo e giornalistico, la rilettura critica anche dal punto di vista puramente tecnico non viene meno perché la forte sensazione di questa sorta di immobilità o immobilismo, che dir si voglia, permane.
Vini e produttori sembrano ancora legati ad una cifra stilistica del passato (e talvolta sorpassata) e sorprende come l’avvento in diverse di queste cantine di nuovi, giovani e promettenti enologi, non sia riuscita a portare quella ventata di freschezza e, soprattutto, cambiamento che sarebbe stato lecito aspettarsi. Se l’uso del legno appare più misurato ed attento (anche se non sempre) in molti casi sono ancora pur sempre la sostanza generosa, le surmaturazioni, la materia densa e le concentrazioni spinte a farla da protagonista.

La postazione del degustatorePassando, poi, più nel dettaglio dei vini degustati ci si rende conto che l’aglianico rimane vitigno indiscusso di riferimento in tutte le province per quanto riguarda i risultati di miglior livello qualitativo. Il gap con i vitigni minori sembra, a tratti, incolmabile. Il piedirosso continua ad essere la cenerentola delle uve autoctone campane, le sue interpretazioni più convincenti sono, sistematicamente, quelle provenienti dai Campi Felegrei (provincia di Napoli): le bottiglie del 2010 di Contrada Salandra ed il Vigne Storiche 2011 de La Sibilla rappresentano una garanzia. Tutti gli altri vini più riusciti ed apprezzabili sono, invece, ripeto, ottenuti, seppur a diverse latitudini (e altitudini…) da uve aglianico.
Sopra tutti l’ottimo Falerno del Massico Rapicano 2010 di Trabucco (provincia di Caserta) e il sorprendente Aglianico del Taburno Riserva Vigna d’Erasmo 2008 di Nifo Sarrapochiello (provincia di Benevento) . Così come si confermano alcuni classici, con l’aglianico ancora protagonista talvolta in purezza altre in assemblaggio, come l’intramontabile Paestum Naima 2008 di De Conciliis (Cilento SA), il sempre affidabile Furore Rosso Riserva 2008 di Marisa Cuomo (Costa d’Amalfi SA) e l’impeccabile Sannio Solopaca Bosco Caldaia 2007 di Antica Masseria Venditti (in provincia di Benevento).
Da segnalare anche un altro Falerno del Massico, il 2009 di Felicia Sbrini di Masseria Felicia, versione base che va, inaspettatamente e seriamente, ad insidiare la più celebrata Etichetta Bronzo. Meritano, sicuramente, invece, di essere segnalati se non altro per l’originalità del risultato (e dei vitigni impiegati) ancora una volta Antica Masseria Venditti con la sua Barbetta 2010 e nuovamente la Sibilla con il profumatissimo Marsiliano 2009 (uve marsigliese 60%, olivella 20% e saldo piedirosso), per chiudere con il Falerno del Massico Primitivo (100%) Campantuono 2008 di Papa, rosso robusto e potente per chi è in cerca di emozioni forti ad alto tasso alcolico (15%)!
Recupero per l’occasione il saluto con il quale mi congedavo negli articoli che scrivevo illo tempore: Campania Felix a tutti!

Fabio Cimmino

Napoletano, classe 1970, tutt'oggi residente a Napoli. Laureato in economia, da sempre collabora nell'azienda tessile di famiglia. Dal 2000 comincia a girovagare, senza sosta, per le cantine della sua Campania Felix. Diplomato sommelier ha iniziato una interminabile serie di degustazioni che lo hanno portato dapprima ad approfondire il panorama enologico nazionale quindi quello straniero. Ha partecipato alle più significative manifestazioni nazionali di settore iniziando, contemporaneamente, le sue prime collaborazioni su varie testate web. Ha esordito con alcuni reportage pubblicati da Winereport (Franco Ziliani). Ha curato la rubrica Visioni da Sud su Acquabuona.it e, ancora oggi, pubblica su LaVinium. Ha collaborato, per un periodo, al wineblog di Luciano Pignataro, con il quale ha preso parte per 2 anni alle degustazioni per la Guida ai Vini Buoni d'Italia del Touring. Nel frattempo è diventato giornalista pubblicista.

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