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Che cos’è il risotto?

Il riso rappresenta il pasto per antonomasia al mondo, o meglio, rimane l’alimento base per la maggior parte di tutta la popolazione. Già, ma in Italia sappiamo fare sua maestà “il Risotto”? La risposta è NO. Troppo spesso lo troviamo vuoi sfatto e gommoso, vuoi poco consistente e acido, oppure ancora amaro e troppo salato.

Riso al succo di barbabietola, salsa al franciacorta. Gualtiero Marchesi
Riso al succo di barbabietola, salsa al franciacorta. Gualtiero Marchesi

All’interno delle varietà di riso coltivate nelle pianure di Veneto, Lombardia e Piemonte (Gladio, Thaibonnet, Balilla, Baldo, S. Andrea, Arborio, Carnaroli, Vialone Nano, Roma), perdurano diversità di utilizzo che dipendono dalle peculiarità di ciascuna tipologia e dal tempo di cottura che possono reggere, senza scuocere. In altre parole, in tale sottospecie Japonica, ossia quella che rispetto all’Indica possiede un involucro esterno proteico, meno compatto e vetroso, cedendo più agilmente l’amido, è basilare il tempo che impiega il liquido di cottura a superare il medesimo strato proteico esterno per raggiungere il nucleo amidaceo del chicco e gelatinizzarlo. È questo, infatti, il momento in cui il chicco risulta cotto!
I risi delle varietà appartenenti al tipo comune o originario (grano piccolo e tondo) cuociono, a seconda delle preparazioni, tra i 12 e 13 minuti, i semifini (di media lunghezza e tondo) tra i 13 e i 15; i fini (medio lungo) tra i 14 e i 16; i superfini (lungo affusolato) tra i 16 e i 18-20. Destinazioni naturalmente indicative da non interpretare rigidamente, ma tant’è che per quanto riguarda il primo, l’impiego è generalmente quello delle minestre in brodo e dolci; per il secondo quello delle minestre in brodo di lunga cottura, dei timballi e dei supplì; per il terzo quello delle verdure ripiene, delle bordure, dei sartù, delle bombe e infine per il quarto quello dei risotti. Già, l’universalmente noto “Risotto”, ma ahimè, ancora oggi e troppo spesso, più famigerato che mai.
Un termine che ha ordine nei dialetti dell’area lombardo-piemontese che sta a indicare una preparazione piuttosto particolare, da cui risulta una minestra asciutta. La si potrebbe definire riso “alla forchetta”, premesso che con questa abitualmente si mangia. Esiste infatti una proprietà fondamentale che rivela l’autenticità del risotto ed è cosa buona e giusta rammentarla: il suo fungere da “legante” o il suo essere “legato”, ossia cedere lentamente l’amido durante la cottura. I chicchi, pur essendo palpabili nella loro docile singolarità, devono riunirsi infatti in un complesso cremoso più o meno denso (a seconda dei gusti), realizzato per l’appunto dall’amido: è ciò che soprattutto in Lombardia si usa definire “onda”.
In sostanza, la cottura a “risotto” rappresenta un vero e proprio metodo della cucina italiana, che, effettivamente, non trova riscontro in altre, affermandosi con dignità e onore (in taluni casi) e adeguandosi a svariate ricercatezze e decorazioni.
Come dicevamo, uno dei principali ostacoli (se non il più importante), per la riuscita del risotto, è la focalizzazione dell’esatta cottura, quando cioè l’ultimissimo e quindi risolutivo punto resistente all’interno dei chicchi sta per ammorbidirsi. Ed è lì che va tolto dal fuoco, mentre le operazioni di finitura (eventuale aggiunta di formaggio, burro e quant’altro), il transito nel piatto fondo di servizio e l’intervallo prima che arrivi in tavola e venga distribuito, forniranno il tempo occorrente affinché i chicchi sfumino pienamente. Ebbene sì, adesso il risotto ha raggiunto la sua perfezione o presunta tale, per essere assaporato, gustato, goduto! Qualsiasi ulteriore esitazione o remora, lo farebbe scuocere e sarebbe davvero un sacrilegio.
La rigorosa procedura prevede di far sciogliere il grasso in un tegame profondo con il manico lungo (che conferisce adeguata presa durante la mescolatura e mantecatura) e se possibile di rame; poi di unire gli elementi aromatici e farli appassire senza colorire e renderli acri. A questo punto mettere il riso, tostarlo, oserei proferire, “propedeuticamente” per circa 3-4 minuti e soprattutto mescolare fino a quando i chicchi si sono trasformati in una tonalità debolmente opaca. Ecco diciamolo a gran voce: la tostatura è colei che specifica il risotto vero e proprio.
Si passa poi al vino, bianco o rosso, in base alla ricetta, e una volta sfumato, avviene l’incontro con il brodo (un buon brodo, mi raccomando! Ci si augura perlopiù concentrato, ottenuto esclusivamente con il vegetale e i suoi scarti) per arricchire la trama di colori e sostanza. Eh sì, non tutto subito, poco per volta.
Dalla tostatura, si calcola allora un periodo che va dai 14 ai 16 minuti massimo, moderandosi con un ricorrente assaggio.

Risotto alla puttanesca. Chef Cesare Battisti
Risotto alla puttanesca. Chef Cesare Battisti

L’Arborio richiede una grande scrupolosità, mentre il Carnaroli dispone di una tenuta lievemente maggiore, ossia può concedere qualche esitazione. Ed è per questa motivazione che è il più utilizzato specie nella ristorazione.
Quindi il riso non deve mai prendere la tangente della congiunzione, in quanto esige e pretende un’attenzione costante in ogni sua fase. A dire il vero, oltremisura, perché va accuratamente coccolato, amalgamandolo, sempre, fino al momento di servirlo: il liquido implora di essere perennemente bollente, con la cottura a fuoco medio, che conservi il tutto in leggero e sbeffeggiante gorgoglio. Solitamente, a metà cottura intervengono i secondi elementi aromatici o altrimenti quello di base (verdure, carni, pesci, molluschi, crostacei e via così) che dipingeranno il risultato finale di questo straordinario cereale, emblema dell’interesse, della sazietà e dell’emozione.

Note per la tostatura: si può tranquillamente tostare il riso a secco, senza alcun grasso o soffritto (seguendo le orme dell’inarrivabile Maestro, o Marchesi, come dir si voglia), partendo dall’assunto che non è possibile tostarlo a temperatura adeguata (140° C) senza bruciare la cipolla del soffritto.

Lele Gobbi

Lele Gobbi

Torinese, sognatore, osservatore, escursionista, scrittore. Laurea in Scienze Internazionali e Diplomatiche presso l'Università di Torino e Master in “Non profit” presso la SDA Bocconi di Milano. Per otto anni si è impegnato in progetti con l'Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, occupandosi di raccolta fondi, marketing, comunicazione, relazioni esterne, degustazioni e soprattutto di organizzazione di viaggi educativi in Italia e nel mondo. Scrive per Spirito diVino, James Magazine, La Cucina Italiana, Viaggiare con Gusto, Senza Filtro. È consulente per agenzie di marketing e comunicazione. Ha viaggiato in tutti i continenti alla ricerca dei cibi più vari, dei mercati più pittoreschi e dei popoli più antichi. Ama lo sport (sci e basket), la montagna (le Alpi) e l'arte contemporanea.

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