Tokaji Aszú 6 Puttonyos 1999 Tokaj-Oremus
Ho scoperto la zona vinicola ungherese Tokaj-Hegyalia soltanto nel 2003, in delegazione con altri amici di CollegiumVini.pl, ma avevo la puzza sotto il naso sia perché non mi piacciono molto i vini dolci sia perché avevo già avuto sgradevoli esperienze con quelli maleodoranti che abbondavano sotto il giogo del Comecon. È una fascia di colline molto dolci e arrotondate, piuttosto pelate, a circa 200 km a nordest di Budapest, ai piedi dei selvatici monti Zemplén (la robusta barriera contro il freddo che altrimenti dilagherebbe dalle steppe del Nord), fra la riva dell’Hornád e quella del Ronyva fino alle sponde settentrionali del Bodrog. Sono terreni vulcanici: cinquanta milioni di anni fa qui c’erano duemila vulcani e geysers che sparavano vapore e oggi, infatti, c’è una vasta zona termale a disposizione anche d’inverno. Acqua e lava hanno triturato e macinato molto bene le rocce riducendole a sassolini di riolite brecciata immersi nel tufo (contenente anche grumi di gesso bianco) accanto a caolino, terre argillose e calcaree su strati di andesite, mentre intorno al monte che domina Tokaj e in pochi altri posti ci sono sedimenti di loess. Un vero paradiso per estrarre dalle uve alcune composizioni aromatiche molto pronunciate, arricchite dalle sottili diversità dei profumi e delle note proprie di ogni terroir.
La vite in zona era coltivata già dai Celti, poi dagli antichi Romani, che arrivarono intorno al 290 d.C. con le legioni dell’imperatore Probo. I primi vini di cui è rimasta traccia sono quelli dei monaci paolini a Sátoraljaújhely e quelli del re Bela IV intorno al 1240. Tokaji è il nome del vino, mentre Tokaj è quello del capoluogo di questo territorio dal microclima ideale per la formazione della botrytis cinerea, la muffa nobile che a settembre comincia a seccare gli acini e a concentrarne gli zuccheri. La leggenda narra che nel 1620 tutti gli uomini validi erano così impegnati in battaglia contro gli invasori Turchi che dovettero rimandare la vendemmia fino a novembre, proprio quando la preziosa muffa nobile aveva ormai essiccato alla grande una buona parte degli acini.
Il vino risultò molto buono e dolce, perciò dal 1630 al 1650 il pastore Máté Szepsy Laczkó ne perfezionò la vinificazione, mentre i Rákóczy, principi di Transilvania e proprietari del vigneto di Sárospatak, acquistarono nel 1647 l’antico castello di Tokaj e le sue cantine del XII secolo scavate in tunnel così bassi da doverli percorrere a schiena sempre piegata. La denominazione d’origine Tokaji si estende su circa 6.600 ettari (di cui almeno 5.500 sempre in produzione) dei circa 8.000-8.500 che sarebbero disponibili, con ceppi di Furmint (circa i due terzi dell’intero vigneto) e Hárslevelű (poco meno di un terzo), un po’ di Sárgamuskotály e di Zéta. Se ne ricavano varie tipologie di vino: Száras (secchi), Szamorodni (da uve parzialmente botrytizzate, ma non sono selezionate e potrebbe dunque diventare sia secco sia dolce), Késői szüretelésű (vendemmia tardiva), Forditás (a lungo contatto con le bucce o con ripasso), Aszú (dolce, floreale e fruttato) ed Eszencia (puro mosto, dalla colatura delle uve botrytizzate ammassate in grandi vasche, la cui fermentazione può durare 10 anni e oltre!). Meglio dedicarsi agli Aszú da 4 a 6 puttonyos, numeri che indicano il grado di dolcezza, dato che le cantine più moderne hanno modificato un po’ l’antico metodo di aggiungere un numero corrispondente di gerle di uva botrytizzata a ogni botticella di vino da uve sane.
La caduta della “cortina” di ferro è stata come un’autentica rivoluzione per questo vino che non è più quello che prima puzzava di vodka, caffè, marmellate e piaceva solo ai russi, ma è tornato ad essere piacevole, emozionante, floreale come una volta, in un crescendo di aromi e sapori che, a seconda delle vigne da cui deriva, possono ricordare zagare, glicine, miele d’arancia, albicocca secca, pesca gialla matura, scorze candite di frutta, mandarino in mostarda, ananas sciroppato, polpa di fichi secchi, ma si possono avvertire anche note di melone o banana, lime, gheriglio fresco di noci, tabacco dolce. I livelli alcolici non sono molto alti, più o meno intorno all’11%, e gli zuccheri residui sono tanti, in genere tra 120 e 450 grammi per litro, ma è molto significativo l’alto tenore di acidità che equilibra la dolcezza. Per me sono vini d’eccellenza, tanto da restare folgorato come San Paolo sulla via di Damasco e infatti proprio allora mi sono ricreduto sui vini dolci che, quando hanno quell’acidità che è da sempre tipica dei Tokaji, adesso (finalmente) piacciono anche a me.
Tra le città di Tokaj e di Sárospatak giace il paesino sonnolento di Tolcsva, Proprio qui nel 1993 è stata fondata, in comproprietà tra lo Stato e la bodega spagnola Vega Sicilia della famiglia Álvarez, la Tokaj-Oremus, il cui nome deriva dalla vecchia vigna piantata qui dai monaci paolini nel XIII secolo e che è stata per molti anni in possesso della celebre casata dei Rákóczy. Diretta da Bacsó András, in 115 ettari che si estendono sulle colline tutt’intorno alla città termale imperiale di Sátoraljaújheli possiede diverse vigne, tra cui Budaházi, Kútpatka, Mandulás, Serédi-Vay, Szentvér, Cziróka, Gyopáros e Petrács. Altri 27 ettari si trovano sul monte che domina Tokaj e sui terreni in loess che caratterizzano le vigne Deák, Henye e Máriássy.
In quella prima visita mi era piaciuto molto il Tokaji Aszú 5 Puttonyos 1993. Oggi ci si può beare con il Tokaji Aszú 6 Puttonyos 1999, anche se è ancora in vendita (per chi se lo può permettere) il leggendario Tokaji Aszú 6 Puttonyos 1972. Proviene dai vigneti di Sátoraljaújhely e di Tolcsva, caratterizzati da una struttura di argilla e detriti d’origine vulcanica ed è fatto con uve Furmint all’80% e Sárgamuskotály (cioè Muskat Lunel) al 20%. L’annata 1999 qui è stata una fra le migliori, con temperature e umidità ottimali per l’attacco della muffa nobile botrytis cinerea alle uve di queste vigne che hanno una densità media di 5.600 piante per ettaro e una resa media di soli 4 ettolitri per ettaro. Gli acini botrytizzati sono stati selezionati manualmente uno per uno secondo tradizione e aggiunti in ragione di 150 kg circa a ogni barilotto di rovere dei monti Zemplén colmato con altri 136 litri circa di vino bianco prodotto dalle uve delle stesse vigne raccolte sane alcune settimane prima, cui segue la maturazione per due anni e mezzo. Tenore alcoolico: 10,5%. Acidità 10,8 g/l. Zucchero naturale residuo 194 g/l.
Colore d’oro e riflessi ambrati chiari, di una lucentezza eccezionale. Profumo vivo e complesso, è uno dei vini più fruttati di Tokaj, con aromi di mandarino, ananas, limone, pesche noci, miele d’arancio, fra note leggermente e piacevolmente speziate. Molto pulito, rotondo ed estrattivo, ha una struttura perfetta, con un eccezionale equilibrio fra gli zuccheri e l’acidità, che dà a questo vino molto fine una potenzialità notevole di miglioramento per molto tempo. Finale lungo con note di limone candito.
È una vera goduria berlo a pasto abbinandolo all’arrosto d’oca ripieno di mosto cotto di vino e cucinato con le prugne, ma accompagna bene anche i paté di fegato e tutti i formaggi che contengono delle muffe nobili, com’è nobile appunto la botrytis cinerea che permette la produzione di questo fantastico vino, in commercio in classiche bottigliette da 0,5 l. Va servito fresco, non oltre 14 °C. Ottimo da meditazione, sì, ma superlativo… in alcova!
Del Tokaji Aszú 6 Puttonyos 1999 sono state fatte (e mi risulta che siano in circolazione) anche circa 7.000 bottiglie di una particolare selezione “Birtok Válogatás”, che è più dolce (226 g/l di zucchero naturale residuo) e deriva da uve metà Furmint e l’altra metà Hárslevelű in gran maggioranza, con un po’ di Zéta e un po’ meno di Sárgamuskotály, macerate per 48 ore e fermentate per almeno un mese e mezzo. Spero davvero, un giorno, di trovarne almeno una.
Mario Crosta
Tokaj-Oremus Szőlőbirtok és Pincészet
3934 Tolcsva, Bajcsy-Zsilinszky u. 45, Ungheria
tel. +36.47.3845-05 e +36.47.3845-20, fax +36.47.3845-04
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