Chiussuma, un sogno chiamato Airale e i volti del Carema
Fotografie di Danila Atzeni
L’ambizione è a mio avviso necessaria nella vita di ogni individuo, i sogni rappresentano i traguardi da perseguire. Fondamentali come degli strumenti di lavoro, la competenza e la passione, sono gli unici alleati per poter conseguire il successo di un obbiettivo. No, non è la solita frase scritta all’ingresso della hall di una giovane azienda milanese che si occupa di marketing, è una conclusione sensata a cui sono giunto dopo aver trascorso quattro ore in compagnia di Rudy Rovano e Alessandra Perona, titolari assieme a Matteo Ravera Chion dell’azienda Chiussuma di Carema.
Sì, ancora Carema, non basterà soltanto citare il mio articolo di qualche tempo fa su Gian Marco Viano per raccontare un territorio vitivinicolo che merita tutta la stima e approfondimento possibili. Vi consiglio comunque la rilettura del mio scritto per approfondire a livello storico questa celebre DOC piemontese.
Qui è necessario sempre un qualcosa in più, da parte di tutti, e la “Nouvelle Vague dei viticultori eroici di Carema”, così amo definirla, continua, è un’ondata di puro talento e passione. Questo piccolo angolo piemontese a confine con la Valle d’Aosta, pare incastonato nella roccia come un diamante in un anello d’oro 18 carati. Va da sé che “se bello vuoi apparire un po’ devi soffrire”, un detto sensato da queste parti, perché oggettivamente la grande difficoltà per i viticultori, ma anche per tutti coloro che vogliono approfondire personalmente il territorio, sta proprio nell’affrontare ripide scalate, modi trekking, per giungere all’agognata meta. In questo comune vi è una forte pendenza e per impedirne l’erosione l’uomo, grazie al suo ingegno e ai pochi mezzi a disposizione dell’epoca, ha adottato il famoso sistema del terrazzamento costituito da muretti in pietra a secco.
Così facendo ha realizzato inoltre il sistema a pergola, una forma di allevamento particolarmente rispettosa della natura, adatta alle caratteristiche ambientali, anche detta “topia” in dialetto piemontese, la cui intelaiatura di travi è spesso sorretta dai caratteristici tutori in pietra tronco-conici, chiamati “pilun”. Da segnalare che la cosiddetta “Arte dei muretti a secco”, dal 28 novembre 2018, è entrata a far parte della lista degli elementi immateriali dichiarati Patrimonio dell’umanità, l’Unesco la definisce: “Una relazione armoniosa fra l’uomo e la natura”. Lo sforzo comunque è ampiamente ricambiato dall’immensa gioia una volta giunti alla meta, superare i terrazzamenti più belli del comune di Carema o quello della sua frazione Airale, ammirare le pareti di roccia del Monte Maletto che supervisiona dall’alto il territorio, luoghi che ricordano le fiabe di Andersen, bisogna avventurarsi tra questi sentieri di roccia per capire il significato delle mie parole.
L’azienda vitivinicola Chiussuma, è nata di recente dall’impegno di Rudy Rovano di Ivrea, appassionato viticultore, laureato in scienze forestali e ambientali, Alessandra Perona, che ha esperienze passate nell’ambito del commercio e della ristorazione, e Matteo Ravera Chion, già titolare dell’azienda omonima con sede a Chiaverano (TO) e cantina a Piverone. Matteo produce un’etichetta di Erbaluce di Caluso DOCG “Nramia”, vitigno per antonomasia del territorio, che viene allevato a Palazzo Canavese sulle pendici della Serra di Ivrea. Da segnalare anche il buon Canavese Rosso DOC “Inizio” da uve barbera, freisa e altri vitigni minori autoctoni, due vini che han già mostrato le potenzialità, in parte ancora inespresse, di un territorio vitivinicolo indubbiamente vocato che approfondirò presto, certamente più di quanto abbia già fatto. Il terreno del Canavese, come quello di Carema è d’origine morenica, ricco di svariati elementi per via di una grande varietà di rocce che provengono dal famoso disfacimento, simile per certi versi a quello di una determinata area dell’Alto Piemonte, Ghemme in primis. Il PH è piuttosto basso, compreso tra valori pari a 5-6, in virtù della natura acida o sub-acida della reazione. Questa tipologia di rocce appartiene al gruppo denominato silico-alluminoso-alcalino, ed è corrispondente ai massicci cristallini delle montagne più importanti d’Italia, abbastanza vicine a Carema: il Monte Bianco, il Monte Rosa e il Gran Paradiso.
Bisogna necessariamente aprire una partesi a parte per Airale, frazione del comune di Carema, protagonista indiscussa di questo articolo e del progetto di recupero dell’azienda Chiussuma, la stessa deve il nome proprio al torrente che delimita naturalmente il confine tra i due luoghi citati. Questa realtà ha sede a Carema, ed inizia la propria attività puntando tutto sulla gestione di mezzo ettaro di vecchi vigneti rilevati nel comune che dà il nome al disciplinare di produzione nato nel 1967. La prima annata prodotta è proprio quella del Carema DOC 2016, a cui si aggiunge la 2017, la produzione oscilla tra i 1000 e 1500 esemplari. Sin dall’inizio della loro avventura, si parla di circa quattro anni fa, i nostri tre protagonisti puntarono molto sull’acquisto di 2,6 ettari di vigneto, frammentato in 7-8 proprietà diverse, tutte per la maggior parte situate nel territorio di Airale. Un grosso investimento, soprattutto in termini di impegno personale, un lavoro di recupero impressionante: “Andrea, pensa che le persone, durante le varie trattive, dicevano che eravamo o davvero in gamba, con tanto di attributi, o degli emeriti pazzi”. Bisogna considerare che gran parte dei terrazzamenti nella zona di Airale Superiore, nel tempo, essendo stati abbandonati, hanno subito la ricrescita di vari alberi, un totale riassorbimento imposto dalla natura circostante. Dunque risparmi personali, fatica, sogni, coadiuvati dalle competenze tecniche di Rudy Rovano, hanno permesso un lento ed instancabile lavoro di recupero. Un territorio vitivinicolo magistralmente esposto e costantemente ventilato, ma da dover completamente ricreare, l’altitudine supera i 350 metri. Se non è caparbietà questa davvero non so quale altro esempio potrà essere più calzante in futuro.
Rudy mi confida che riguardo la frazione di Airale Superiore sono diverse le leggende che gli anziani del posto raccontano, la maggior parte di loro ha oltre settant’anni, passeggiando tra i sentieri li incontriamo, intenti a potare le proprie vigne, dei veri e propri “tavoli da biliardo”, come lui stesso li definisce, per ordine e pulizia, son perlopiù conferitori della Cantina dei Produttori del Nebbiolo di Carema. Tra i vari discorsi si parla anche di un vero e proprio cru, “Pera Bianca”, un vigneto con esposizioni assurde che solo i veri caremesi conoscono, il nome è tutto un progetto, pare che li si facesse il miglior vino di Airale, attualmente è tutto in rovina, ma si spera che i proprietari, vista l’attuale rinascita del territorio, possano rimetterlo in sesto. Attualmente, dei tre ettari di proprietà dell’azienda Chiussuma, tra Carema e la frazione d’Airale, solo uno è produttivo ed equamente diviso, ovvero mezzo ettaro nel primo comune, mezzo nella sua frazione. Dunque ci vorrà tempo prima che Rudy e i suoi soci entreranno a pieno regime con la produttività.
Carema è un conoide di deiezione fluvio glaciale costituito da vera e propria terra che ne plasma i contorni e ne forma la sostanza, del tutto similare la parta bassa di Airale. La parte alta della frazione invece, frutto dell’investimento dell’azienda, ha una matrice territoriale più di riporto, ovvero terra che veniva appunto riportata dal basso, dove si depositavano i minerali (anche chiamata “terra dei fossi”), verso l’alto. Sostanzialmente è sabbia e limo glaciale mischiato a sostanza organica, ma gli stessi minerali potevano variare di anno in anno a seconda della vetta coinvolta, ad esempio Gressoney o Courmayeur, rispettivamente Monte Rosa o Monte Bianco. Il PH del terreno, anche qui, in virtù della natura sub-acida della reazione, è molto basso (5.5). Analizzare le differenti peculiarità del territorio è molto importante, non mi stancherò mai di ripeterlo, perché si disegnano così a 360° i lineamenti del profilo del vino, ma è anche più facile poi ricordarne le differenze tra un campione e l’altro.
Veniamo appunto ai campioni proposti da Rudy e Alessandra in questa calda giornata di febbraio. Passeggiando tra i sentieri si possono ammirare piante di mimose già fiorite, temperature in anticipo di almeno un mese rispetto alla media del periodo. Una situazione tutt’altro che rosea ed al quanto preoccupante considerando i capricci di madre natura, soprattutto per chi di natura ci campa, ma anche questa è una dura realtà da dover accettare. L’unica cosa da fare, come spiega Rudy è: Attrezzarsi il più possibile, imparando di anno in anno i trucchi del mestiere per poter affrontare con caparbietà e metodo i cambiamenti climatici.
Vino Rosso Farinel 2019
Un’anteprima assoluta che Rudy ci tiene a farmi assaggiare perché rappresenta una nuova scommessa dell’azienda. Un buon modo per utilizzare l’uva autoctona neretto presente tra i vigneti, non impiegata nel Carema DOC nonostante il disciplinare lo consenta in misura pari al 15%, in questo caso essendo un Vino da Tavola la percentuale è del 20%, a saldo il nebbiolo. Un vino pensato per un consumo immediato, diretto, spensierato se vogliamo, la vinificazione in solo acciaio e gli otto giorni di macerazione sulle bucce aiutano in tal senso. Ne deriva un prodotto fresco, accattivante, incentrato su toni croccanti di fragolina di bosco e lampone, quest’ultimo ricorda anche un po’ il colore del vino, rubino di grande trasparenza con venature luminose che richiamano il mattone, il viola chiaro, notevole la lucentezza. Il respiro è vivace, vinoso con una spezia dolce che ingolosisce. Succoso in bocca, tutt’altro che disimpegnato, perché la sapidità in queste colline si avverte sempre e comunque, tannino ben coeso e freschezza che invoglia il secondo, terzo, quarto sorso. Un gran bel vino da merende primaverili dove la convivialità è l’ingrediente principale.
Carema 2016
Era destino che assaggiassi proprio l’annata 2016, perché purtroppo per problemi personali ho dovuto rimandare questa visita di un annetto. Rudy se n’è ricordato e l’ha stappata con piacere, attualmente in commercio c’è la 2017, ma assaggiare la 2016 a mio avviso, in questo periodo, ha molto più senso. Il vino di Carema, un po’ come qualsiasi grande Nebbiolo che si rispetti ha la longevità nel DNA. Certo per alcuni territori come Serralunga d’Alba, Gattinara, Treiso, solo per citare alcuni esempi, attendere 3-4 anni, dopo l’imbottigliamento, è il minimo sindacale proprio per poter dare al vino la possibilità di smussare alcuni angoli che potrebbero risultare ostici ai più. A Carema invece, un po’come in Valtellina, in Ossola, nel Roero o nella vicina area valdostana di Donnas, i vini sono leggermente più pronti, soprattutto a livello tannico; questo non significa in nessun modo che siano meno longevi perché riguardo l’acidità il Ph del terreno possiede valori comunque molto bassi, e le caratteristiche pedoclimatiche particolarmente idonee. L’azienda Chiussuma adotta un sistema di agricoltura che si ispira al regime biologico, esegue un intervento all’anno al solo scopo di tutelare e proteggere lo sviluppo armonico della pianta, vinifica separatamente le proprie vigne per comprendere le differenze tra i vari cru in un’ottica futura di parcellizzazione del territorio. L’utilizzo di vecchi tonneaux è una scelta voluta oltre che pratica, anche considerando il numero di bottiglie, il vino, a contatto con un legno particolarmente esausto, darà maggior lustro al territorio, sviluppando sfumature date dal terreno e dall’uva, non dal solo contenitore, scelta che condivido in pieno.
100% nebbiolo, ha subito una macerazione di 15 giorni sulle bucce e un affinamento di 24 mesi nella tipologia di legno già specificata. La 2016 è definita da molti annata a cinque stelle, in questo caso stranamente mi trovo d’accordo con la maggioranza delle persone, diversi assaggi effettuati negli ultimi 12 mesi l’hanno confermato al 100%, questo riguardo a vini di molte regioni d’Italia, soprattutto al nord. Temperature non eccessive, ed una particolare regolarità durante il ciclo vegetativo della pianta assicurano interessanti livelli di acidità, un frutto croccante, soprattutto in bocca, e tanta austerità, una delle caratteristiche più importanti nel nebbiolo. Questo campione non fa eccezione, vivace, luminoso, tra il rubino ed il granato, a vantaggio di quest’ultimo con l’invecchiamento. Il profilo olfattivo si amplifica pian piano rivelando fresche note di mentolo, pepe nero, ciliegia croccante, ribes, violetta, tamarindo, erbe di montagna ed officinali, timo, una vena minerale terrosa a chiudere. In bocca danza, nel vero senso della parola, è quasi sfuggente data la freschezza del sorso, ma il ritorno salino è davvero convincente; il vino ha spalle larghe mantenendo il profilo tipico del grande nebbiolo allevato nei pressi dell’arco alpino, dove bevibilità ed eleganza sono veri e propri comandamenti. Perfetto a mio avviso in abbinamento a una carbonade di manzo con funghi porcini.
La “Nouvelle Vague dei viticultori eroici di Carema” continua, siamo solo al secondo episodio. Ci sono altri appassionati vignaioli, di cui presto parlerò, che stanno facendo passi da gigante nel comprensorio, ma la cosa che sto apprezzando di più è il gioco di squadra tra loro, soprattutto a livello di comunicazione, un’arma vincente che potrà aiutarli a conseguire importanti traguardi, glielo auguro davvero di cuore.
Andrea Li Calzi