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Con l’annata 2005 il Chianti torna ad essere Classico

Riflessioni ponderate dopo gli assaggi effettuati alla Stazione Leopolda di Firenze il 20 febbraio 2007

Chianti Classico Collections alla Leopolda di FirenzeBene, quanto espresso martedì 20 febbraio mattina alla Stazione Leopolda di Firenze da Marco Pallanti, che dal 17 luglio 2006 è presidente del Consorzio Vino Chianti Classico, è rincuorante, e conoscendo come lavora e qual è la sua filosofia c’è da sperare che non rimanga un discorso senza seguito. Il grande vignaiolo ed enologo del Castello di Ama ha sottolineato che i supertuscan sono l’orgoglio del vino Toscano ma che la sua speranza è che siano i vini appartenenti alle denominazioni storiche a diventare il punto di riferimento, quei vini che vengono da una tradizione, radicati nel territorio, che hanno qualcosa da raccontare e, soprattutto nascono dal sangiovese. Ma Marco Pallanti ci ha sempre creduto, ne è la prova la sua disapprovazione quando la nota guida di Gambero Rosso/Slow Food, alla fine degli anni ’90, ebbe ripetutamente a preferire L’Apparita, il supertuscan merlot di casa Ama ai Chianti Classico, sui quali Marco e Lorenza Sebasti puntavano con convinzione. In realtà erano i tempi in cui molti vedevano nel vino di gran corpo, colorato e sontuoso, la corrispondenza con un gusto e un’idea di opulenza di matrice americana, dimenticando quanto fosse invece importante difendere le ragioni di un territorio e di uno stile espressivo tutto chiantigiano. Nell’edizione ’98 di Vini d’Italia si legge nella scheda dedicata a Castello di Ama: “…purtroppo, non siamo molto corrisposti dai due responsabili del Castello di Ama. Questo perché ci capita di non avere le stesse idee sul valore dei loro vini. Marco e Lorenza puntano molto sui Chianti Classico e sulle selezioni La Casuccia e Bellavista. Noi, negli ultimi tempi, abbiamo preferito il Vigna L’Apparita, grande rosso da uve merlot, che, a loro dire, non rappresenta adeguatamente l’immagine e la realtà produttiva dell’azienda.” e ancora “…dal canto nostro riteniamo che non possano essere i produttori a scegliere su quale dei loro vini debbano essere assegnati i Tre Bicchieri. E’ solo in base a nostre degustazioni comparative e a bottiglie mascherate. E’ l’unica regola per garantire sia noi sia i produttori stessi. La “rappresaglia” da parte del Castello di Ama è consistita nel negarci i campioni per la degustazione”. Nelle edizioni successive, leggendo le degustazioni dei vini di Ama, era evidente la predilezione dei valutatori verso l’Apparita, in quanto vino di maggior corpo e potenza, mentre le selezioni di Chianti Classico Bellavista e La Casuccia risultavano “più piccole“. D’altronde è più che comprensibile che un vino di classe come L’Apparita, certamente uno dei merlot più buoni d’Italia, possa spiazzare vini meno travolgenti, che si manifestano con meno enfasi.

Ingresso alla Stazione LeopoldaAspettarsi a Gaiole in Chianti vini di grande struttura, però, mi sembra leggermente anacronistico. Tutto si può fare, per carità, ma il vero Chianti Classico, che sia di Gaiole o di Castenuovo Berardenga, di Panzano o di Greve, non nasce per essere espressione di potenza, ma di eleganza e finezza. Certo, se si cominciano ad usare i concentratori, a praticare l’osmosi inversa, se si aggiungono altre uve “migliorative” e si fa uso smodato di barriques nuove e ben tostate, il vino cambia completamente fisionomia, diventa più concentrato ma anche pesante, privo di slancio e, soprattutto, anonimo. E tutto questo per rincorrere una moda proveniente da un altro continente, che delle terre del Chianti non sa quasi nulla? Di fatto questo mito del vino opulento che sa di confettura di frutta e spremuta di legno, che ti riempie la bocca per poi stancarti al secondo sorso, senza che mostri né carattere né personalità, è un problema che affligge da oltre quindici anni il vino italiano che misconosce la sua natura e le sue peculiarità e differenze. Ma, fra esagerati ricarichi sui prezzi e sovrabbondanza di produzione di vinoni massicci, non in grado di competere con le recenti realtà che hanno il grande vantaggio di poter fare gli stessi vini senza limitazioni di disciplinari e a costi molto più contenuti, ecco che molte aziende si sono ritrovate le cantine piene di bottiglie invendute. E’ lo scotto che si deve pagare quando si fa una politica dissennata e priva di lungimiranza. Ed ecco perché credo che Marco Pallanti sia al posto giusto nel momento giusto.

Ma in Chianti Classico sembra che, al contrario di altre zone toscane dove ancora non ho avuto l’impressione di sensibili mutamenti di rotta, con gli assaggi effettuati dell’annata 2005 (ho preferito non assaggiare la 2006, che è ancora in piena fase di affinamento) qualcosa si stia già muovendo a favore di un prodotto più vero, meno pretestuoso, finalmente di territorio. E’ questa l’impressione che ho avuto degustando i quasi 70 campioni presenti all’Anteprima. Già con l’annata 2004 avevo notato una diminuzione di vini iperconcentrati, coloratissimi e stramaturi, ma la 2005 mi è sembrata rappresentare (non credo dipenda solo dalle caratteristiche dell’annata) una vera svolta verso la bevibilità e la piacevolezza. Qualcuno (credo assai pochi) avrà anche storto il naso dicendo che questi vini sono un po’ semplici e leggerini, ma in realtà, proprio per questo, ritornano i profumi di viola mammola, le note fruttate fresche e croccanti (ciliegia, lampone, fragolina di bosco, piuttosto che mora e prugna), la mineralità, in alcuni casi anche richiami di macchia mediterranea e salmastri, tutte note che in un vino appesantito e concentrato vanno inesorabilmente perdute.

Calici per la degustazioneMolti i vini che ho apprezzato, fra questi voglio segnalarvi i Chianti Classico 2005 di San Giusto a Rentennano (uno dei migliori), Tenuta di Bibbiano, Castellinuzza e Piuca (una rivelazione, un vino certamente non impegnativo ma di quelli che si bevono con grande piacere), Felsina (sempre buono e affidabile), Fontodi, Isole e Olena (fine, bel frutto, in bocca ha uno slancio inimitabile, grande carattere, si distende benissimo ed incita alla beva), Lornano, San Fabiano Calcinaia, Villa del Cigliano (dimostrazione che quando si sa dosare bene il piccolo legno non si perde il carattere del sangiovese), Badia a Coltibuono (giocato su profumi di viole, erbe fini, ciliegia e marasca). Ma ce ne sono molti altri, che magari non rispecchiano completamente la mia visione del Chianti Classico ma che riconosco assolutamente ben fatti, come quelli di Castelli del Grevepesa (Clemente VII), Castellare di Castellina, Borgo Scopeto, Castello della Paneretta, Fattoria di Montemaggio, Poggiopiano, Querciabella, Castello di Querceto, Castello di Uzzano, Le Fonti. Insomma un’annata che rappresenta in qualche modo una svolta verso vini che tornano a proporre la verve espressiva del miglior sangiovese, le qualità di un territorio che, seppur fin troppo vasto, riprende ad esprimere le differenze da zona a zona, ed un carattere più definito e riconoscibile. Ora rimane da verificare quale sarà il prezzo medio sugli scaffali delle enoteche…

Roberto Giuliani

Figlio di un musicista e una scrittrice, è rimasto da sempre legato a questi due mestieri pur avendoli traditi per trent’anni come programmatore informatico. Ma la sua vera natura non si è mai spenta del tutto, tanto che sin da ragazzo si è appassionato alla fotografia e venticinque anni fa è rimasto folgorato dal mondo del vino, si è diplomato sommelier e con Maurizio Taglioni ha fondato Lavinium, una delle prime riviste enogastronomiche del web, alla quale si dedica tutt’ora anima e corpo in qualità di direttore editoriale. Collabora anche con altre riviste web e ha contribuito in più occasioni alla stesura di libri e allo svolgimento di eventi enoici. Dal 2011 fa parte del gruppo Garantito Igp.

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