Era già da un po’ di tempo che si vociferava di un possibile nuovo evento interamente dedicato al Barbaresco e alla sua storia. Molte supposizioni e timori che potesse significare una “rottura” con il vicino di casa, il Barolo, per antichi dissapori dovuti al fatto che il “re dei vini” costringerebbe il Barbaresco ad un ruolo di eterno secondo, in un confronto giustificato solo dal fatto di avere in comune lo stesso vitigno e terreni confinanti (ma assai diversi). In realtà questi due grandi vini rappresentano due espressioni distinte e affascinanti del nebbiolo, che trova in queste zone una dimensione ideale per farci comprendere la sua incredibile profondità e complessità. Ma l’accostamento, il paragone, il giudizio subordinato sono stati sempre lì, rendendo difficile e onerosa la conquista di un successo autonomo e duraturo per questo vino. Il problema era tanto evidente che non pochi produttori hanno tentato la strada dell’imitazione, dando vita a vini più potenti, alcolici, massicci, dimenticando che è proprio la finezza e l’eleganza, il tannino meno indomabile, una più o meno marcata bevibilità sin dalla sua uscita, a rendere il Barbaresco unico e comunque diverso. Il Barolo si sa, soprattutto nelle zone di Serralunga, Barolo e Monforte, è un vino che chiede tempo per ingentilirsi (si fa per dire) ed esprimere tutta la sua grandezza. Perché intervenire massicciamente in vigna e soprattutto in cantina per imitarlo su un piano inevitabilmente perdente?
“Piacere, Barbaresco“, meditato, desiderato, proposto da molti produttori e fatto proprio dall’Enoteca Regionale del Barbaresco, nonostante i dubbi e le incertezze, nonostante un approccio ancora impreciso e non del tutto delineato (inspiegabile, ad esempio, l’assenza di Angelo Gaja alla manifestazione, si dimostra invece un evento indispensabile per fare chiarezza, per entrare dalla porta principale, apprezzare, capire e approfondire il mondo Barbaresco in tutte le sue sfaccettature. In poche parole, ci voleva.
A titolo del tutto personale, devo dire che ho davvero apprezzato l’iniziativa del “Giro dei Crus“, un percorso a tappe, guidato dal presidente dell’Enoteca Regionale del Barbaresco Giancarlo Montaldo, per conoscere alcune vigne storiche che fanno parte di quelle 65 “menzioni geografiche aggiuntive” (presto diventeranno 66 con l’inserimento della menzione “Ronchi“) che sono state inserite nel nuovo disciplinare del Barbaresco. Niente di più utile, e piacevole, che seguire l’andamento dei bricchi, soffermarsi nei vigneti, assaggiare gli acini per scoprirne le caratteristiche e il grado di maturazione, osservare il tipo di terreno e l’esposizione, conoscere la storia e le persone di quei luoghi. La delimitazione delle menzioni geografiche è stata fatta dai quattro comuni coinvolti (Barbaresco, Neive, Treiso e San Rocco Seno d’Elvio, frazione di Alba) in associazione al Consorzio di Tutela, perché queste sono più parcellizzate e identificano meglio i diversi crus rispetto alle precedenti “sottozone”, più ampie e meno definite nelle loro caratteristiche e differenze; la scelta ha una sua logica, ma è indubbio che non semplifica le cose per i consumatori, che potrebbero trovarsi in etichetta il nome del vino, della menzione geografica e dell’eventuale “vigna” con relativo toponimo, rendendo la lettura più complessa e meno comprensibile. Le degustazioni ai banchi di assaggio, effettuate sabato 8 e domenica 9 mattina in presenza di numerosi produttori, presso il Salone delle Feste del Centro Mezzocolle di Neive, non hanno certo la stessa valenza di quelle professionali ai tavoli, in degustazione cieca e con sommelier dedicato, ma dato che si trattava in prevalenza di riassaggi sono state sufficienti a fornire un’idea degli sviluppi delle due annate, 2003 e 2004, di Barbaresco.
Fra i circa 130 vini messi a disposizione, ho preferito concentrare l’attenzione sui Barbaresco 2004, riassaggi e novità. Le mie impressioni non seguono alcuna classifica ma semplicemente la sequenza delle degustazioni annotate. Come sempre spicca Bruno Giacosa con il suo Asili Riserva, di straordinaria eleganza e finezza, dai toni spiccatamente floreali e dal tannino deciso ma vellutato, ricco di stoffa e ancora all’inizio di una lunga carriera evolutiva. Figurano benissimo, confermando la bravura dell’irrefrenabile Ernesto Della Piana e del figlio Enrico, il Rizzi Boito e il Pajoré Suran (dove “Rizzi” e Pajoré” sono le famose menzioni geografiche aggiuntive, mentre “Boito” e “Suran” identificano i vigneti) dell’azienda Rizzi, il primo di grande stoffa e corpo, eccellente nella trama, piena, avvolgente, complessa, il secondo più fragrante e di splendida bevibilità. Ha classe da vendere anche il Rabajà di Giuseppe Cortese, un altro caposaldo che non delude mai: naso appena dolce, molto floreale ma anche pervaso da belle note di ciliegia e lampone, minerale, elegante. I Fratelli Cigliuti propongono un Barbaresco Serraboella importante, di struttura, ancora toccato dal legno ma che fa trapelare note di ciliegia, prugna, liquirizia, noce moscata, mentre in bocca ha uno spessore e un impatto decisi, fitto nel tannino, succoso nel frutto, pieno, quasi grasso. Molto gradevole il Montefico della Cantina del Rondò di Neive, fresco e dinamico, con un bel frutto croccante e una struttura lineare che lo rende particolarmente invitante alla beva. Sempre da Neive spicca il Gallina di Ugo Lequio, avvolgente e dal finale rimarchevole, vivo, quasi irresistibile. Si fa piacere senza esitazioni, pulito, quasi raffinato, il Sorì Loreto di Varaldo, carnoso, speziato e di notevole persistenza. Molto buono il Sorì Paulin della Cascina Luisin, ma ancora migliore il Rabajà, complesso, ricco, terroso, lunghissimo. Non è più una sorpresa il Froi di Massimo Rivetti, dall’impatto travolgente al palato, già equilibrato e originale nella trama espressiva. Come non lo è il Barbaresco dei Produttori del Barbaresco, una cantina di riferimento per la linearità dei prodotti e l’ottimo rapporto qualità/prezzo. Quasi ineccepibile il Borgese di Piero Busso, dalle sfumature selvatiche, di terra e sottobosco, fine ed elegante, molto pulito e sapido. Cominciano a piacermi anche il Cottà di Andrea Sottimano, che evidentemente ha progressivamente alleggerito i suoi vini da eccessi di legno, estraendo dal cilindro un frutto ampio, una trama riccamente articolata e una freschezza notevole, mentre il Currà spinge molto sulle note speziate e balsamiche, poi di prugna, a tratti terragno, minerale, ambedue godibilissimi. Il Gallina di Oddero, che rischiava un parere quantomeno incerto a causa di una bottiglia non perfetta, mostra invece una precisione esecutiva notevole, coinvolgente e cuoioso al naso, forte e persistente al palato. Conferma l’ottima impressione che avevo avuto a maggio, in occasione di Alba Wines Exhibition 2007, il Barbaresco 2004 di Cantina del Pino, dal naso riccamente speziato e dal gusto ricco, con un bel tannino pulito. Bene il Roncaglie dei Poderi Colla, ampiamente floreale e fruttato, avvolgente, succoso, ben definito. Sempre validissimo il Nervo di Vignaioli Elvio Pertinace, terroso, speziato, ampio, di carattere, potente eppure molto elegante, sicuramente di grande longevità. Rimane un mistero per me Dante Rivetti, i cui vini, degustati alla cieca in anteprima escono sempre scorbutici, non puliti, penalizzati, mentre in questo caso, a distanza di soli quattro mesi dal primo assaggio, il Barbaresco Bricco 2004 appare del tutto diverso, gradevole, pulito, nitido nelle sue espressioni olfattive, pieno ed equilibrato al palato. Anche il Bric Micca, sebbene meno delineato e bisognoso di più tempo per esprimersi, appare in buona forma e si fa apprezzare soprattutto al gusto. Un’altra conferma arriva dal Santo Stefano del Castello di Neive, dal colore splendido, molto nebbiolo, profumi floreali intensi, poi il frutto e tanta mineralità, che ripropone con precisione assoluta anche al palato, un ottimo vino. Qualcosa di più mi piacerebbe sentire dal Campo Quadro di Marina Marcarino, ovvero azienda Punset, un vino che appare gentile, ciliegioso, gradevole con una punta di speziatura, ma con poco nerbo e complessità, cosa che non mi aspetto da uve biologiche, sane, posizionate in una zona di Neive ideale. Non del tutto espresso al naso l’Asili di Michele Chiarlo, ma in bocca ha un recupero eccellente, mostrando una bella trama speziata e fruttata ed un tannino molto preciso. Ottimi ambedue i vini dei F.lli Giacosa, il Basarin, floreale, con note di cipria e bel frutto, tannini fini e quasi dolci, rotondo, elegante, senza spigoli e il Gianmaté più deciso, sospinto da una struttura ampia e nervosa, con una bella mineralità e un finale che ricorda il cacao. Piuttosto animale e con ricordi di liquirizia il Montefico di Carlo Giacosa, mentre all’assaggio propone un tannino fitto, quasi baroleggiante, buona progressione di frutto e finale decoroso. L’Asili di Ca’ del Baio si apre con difficoltà, mentre trova la sua migliore vena espressiva al palato, anche se una certa pesantezza di fondo e un tannino ancora asciugante ne suggeriscono il riassaggio in tempi futuri. Ultimi, ma solo nella successione di degustazioni, Marco e Vittorio Adriano confermano in pieno le impressioni positive che avevo già avuto a maggio, un’azienda da prendere in seria considerazione se si vuole conoscere un Barbaresco di carattere, il loro Basarin (ottimo anche nella versione 2003), selvatico, floreale, con note di prugna, ciliegia nera, ampio al palato, di bella struttura, fresco e dinamico, lungo e lineare nella persistenza, davvero buono.
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