Conoscere l’extravergine per poterlo scegliere
Lo usiamo quotidianamente e le sue virtù salutistiche sono note da tempo, ma come riconoscere un olio extravergine di qualità?
La categoria commerciale extra vergine comprende tante cose diverse, dall’olio inespressivo a quello che racconta una storia tra sentori e sapori diversi.

Varietà di olive, clima, tecniche agronomiche e un’attenta lavorazione dopo la raccolta; i fattori che influenzano la buona qualità di un olio sono numerosi e iniziano dal campo, un po’ come succede per il vino, con il quale ha molte affinità. A differenza di quest’ultimo, nonostante l’olio sia parte della nostra cultura gastronomica da sempre, è ancora poco conosciuto.
Un settore produttivo fortemente penalizzato, dove il consumatore disattento e disinformato finisce per riferirsi solo al prezzo come elemento di scelta. Eppure oggi le persone sono sempre più attente alla cultura del cibo, la televisione è invasa da programmi televisivi al riguardo, ma a quanto pare sull’olio extravergine di oliva le coordinate sono difficili da cogliere. La responsabilità è sicuramente anche del settore stesso, che soffre di una lenta crescita dal punto di vista comunicativo, oltre che legislativo, dove le diciture ammesse in etichetta sono probabilmente insufficienti e per il consumatore è ancora più difficile orientarsi tra i prodotti in commercio.
Senza dubbio bisogna fare cultura sull’olio per poter dare la possibilità di scegliere un prodotto parlante, cercando di dare indicazioni che possono orientare verso l’acquisto di un tipo di extravergine rispetto a un altro.
Partiamo dalle basi e da quello che viene compreso in questa categoria commerciale: come è noto la normativa definisce Olio extra vergine di oliva un olio ottenuto dall’oliva meccanicamente o con altri processi fisici, in condizioni termiche tali da non provocarne alterazioni. L’olio non deve aver subito nessun trattamento tranne il lavaggio, la decantazione, la centrifugazione e la filtrazione; queste sono le caratteristiche principali che definiscono l’olio extravergine di oliva. Oltre a queste, la normativa prevede molte altre prerogative a cui deve essere conforme l’olio, che – ricordiamo – per risultare extravergine di oliva deve essere esente da difetti.
L’analisi organolettica, condotta presso i laboratori della Camera di Commercio, valuta il prodotto in base alle reali caratteristiche: l’olio viene infatti assaporato, odorato e osservato da esperti assaggiatori. Le sue caratteristiche organolettiche possono cambiare a seconda della varietà delle olive, del territorio, delle condizioni climatiche, delle tecniche di raccolta e spremitura, dei tempi e dei luoghi di conservazione delle olive e naturalmente di quelle di conservazione dell’olio.
L’importante è partire dall’assenza dei tre difetti che si incontrano sempre più spesso negli oli extravergini in commercio, ossia rancido, avvinato e riscaldo che, seppur non essendo fattori “letali”, compromettono il prodotto. In merito alle sue caratteristiche positive deve avere tutti i sentori del fruttato e saper esprimere il suo carattere territoriale. Per rendere più agevole la scelta e il suo utilizzo, l’olio extravergine d’oliva viene ulteriormente classificato in base all’intensità del fruttato, parametro che si riferisce – almeno secondo quanto comunemente accettato nei Paesi aderenti al COI (Consiglio Oleicolo Internazionale) – alla sensazione riscontrabile attraverso l’analisi sensoriale dell’olio, in particolare durante l’esame olfattivo che richiama l’oliva, identificata come sana, fresca e colta al giusto grado di maturazione.
L’oliva è un frutto e in quanto tale, se spremuta, il suo succo deve avere profumi gradevoli e freschi; il paragone è presto fatto, basti pensare a una spremuta di arancia che si consuma comunemente, tutti ricerchiamo l’esplosione di sapore e di profumo di quel frutto, ebbene la stessa cosa dovremo quindi ricercarla nell’olio extravergine. Il fruttato è l’insieme delle sensazioni olfattive, che dipendono dalla varietà delle olive, caratteristiche dell’olio ottenuto da frutti sani e freschi, verdi o maturi, percepite per via diretta e/o retronasale.
L’olio extravergine può dunque essere suddiviso in base all’intensità, in fruttato leggero, medio e intenso. Ma ad affiancare il fruttato arrivano anche l’amaro e il piccante, anch’essi fattori di estrema importanza, che delineano il profilo del nostro olio. L’amaro è infatti un sapore elementare caratteristico dell’olio ottenuto da olive verdi o invaiate (maturate, ndr), percepito dalle nostre papille gustative, mentre il piccante è una sensazione tattile di pizzicore caratteristica degli oli prodotti all’inizio della campagna, principalmente da olive ancora verdi, che può essere percepita in tutta la cavità orale, in particolare in gola.
Quante volte abbiamo sentito esclamare: ”Come è amaro questo olio!”; anche se può sembrare strano il gusto amaro che a volte si avverte assaggiando un extravergine è una sua grande virtù.
Tale caratteristica può dipendere da diverse variabili, ma come per il vino, soprattutto dalla cultivar o dalle varietà di olive lavorate in blend. E qui l’Italia, proprio come nella varietà di vitigni presenti nel territorio, è ricchissima di cultivar, ognuna con in potenza il suo carattere espressivo.
Fin dall’antichità e in particolare dal tempo dei Romani, gli ulivi hanno sviluppato caratteristiche di adattamento al luogo di coltivazione. Aspetto che ritroviamo testimoniato dalla recente notizia del ritrovamento nella città di Pompei, del delicato contenitore di vetro ben conservato – quasi pieno di quello che è quasi sicuramente olio d’oliva solidificato – proviene da una delle antiche città romane (molto probabilmente Ercolano), che furono distrutte dall’eruzione del Vesuvio nel 79 d.C. e dalle parole di Cicerone nel suo De Repubblica: “Quanto a noi, i più giusti fra gli uomini, che non permettiamo alle nazioni transalpine di piantare l’olivo e la vite al fine di dare maggiore pregio ai nostri uliveti e alle nostre vigne, agendo in tal modo si dice che agiamo abilmente, ciò che dimostra la differenza fra equità e sapienza“.
Un legame intrinseco che gli uliveti italiani hanno con il territorio in cui crescono. Una ricchezza che bisogna conoscere e preservare; viaggiando per le varie regioni italiane, proprio come incontriamo vini e ricette proprie di quei luoghi, così scopriamo anche le diverse cultivar e gli uliveti che ne disegnano il paesaggio.
Da Nord a Sud sono davvero tante le cultivar che si possono incontrare, partiamo dalla Taggiasca, diffusa in Liguria, i cui frutti sono utilizzati soprattutto per la produzione di oli, ma non mancano gli impieghi come olive da mensa in salamoia. L’olio di Taggiasca costituisce almeno il 90% della DOP Olio Extravergine di Oliva Riviera Ligure, ne risulta un olio armonioso e delicato. Il gusto fruttato non troppo intenso e il rimando al carciofo crudo, leggermente piccante son le sue peculiarità. Dalla Liguria ci spostiamo in Toscana dove la Frantoio la fa da padrone; costituisce la base produttiva delle DOP per la produzione di olio extravergine di oliva Chianti Classico e Terre di Siena e per l’IGP Olio Toscano. Importante e nota anche la varietà Moraiolo, che trova non solo in Toscana, ma anche in Umbria la sua espressività. E ancora Itrana nel Lazio, Ravece, Pisciottana, Caiazzana, in Campania; Peranzana e Coratina in Puglia e ancora Biancolilla, la Tonda Iblea e la Nocellara in Sicilia; giusto per citarne alcune.
Ognuna di queste varietà può esprimere in modo elegante e diretto le sue caratteristiche aromatiche, corredate dalla sfaccettatura dell’amaro e del piccante. Non solo una differenziazione varietale, ma anche l’arte del frantoiano capace e sensibile che punta a farle esprimere al meglio.
Si tratta di un patrimonio unico, sia dal punto di vista della biodiversità botanica che a livello gastronomico, eppure la strada è ancora molto lunga. Manca ancora la giusta sensibilità, i cuochi non lo conoscono e nelle scuole di cucina, a partire dagli istituti alberghieri alle tante scuole professionali e amatoriali, l’extravergine non si insegna in modo adeguato. Un olio scadente può rendere mediocre anche un grande piatto; l’utilizzo di un olio extravergine piuttosto che un altro può compromettere o valorizzare l’equilibrio di un piatto. Inoltre anche l’aspetto economico dell’olio ha varie falle, bisognerebbe puntare di più, soprattutto nella ristorazione, all’uso consapevole e alla selezione dello stesso, comprendendone, non solo il valore aggiunto dal punto di vista nutrizionale e culturale, ma finanche come elemento di crescita e come opportunità di business. bisognerebbe iniziare a dare valore a l’olio extravergine non solo come condimento ma come ingrediente. L’idea che risparmiare sull’olio possa essere un vantaggio dal punto di vista economico crolla velocemente.
Bisogna per ora solo continuare a fare cultura e augurarsi che nel prossimo futuro, la bottiglia d’olio, come quella di vino, possa avere una sua carta dedicata – come già accade solo in piccole realtà illuminate – essere aperta a tavola e raccontata in modo professionale.
Fosca Tortorelli