Consorzio Tutela Vini Colli Berici e Vicenza, dritti al cuore del Veneto
Quella dei Colli Berici è una storia che mi ha subito affascinato. Salvo rare eccezioni amo presenziare a press tour specifici a patto che gli stessi vengano svolti in territori diametralmente opposti alla mia zona di confort. Intendo la conoscenza specifica di un determinato areale vitivinicolo, rispetto ad altre aree del panorama enoico nazionale, quelle dove candidamente ammetto di essere meno preparato. La considero una sfida e un buon modo per imparare qualcosa di nuovo, o meglio per approfondire un territorio che fino ad oggi conosco solo marginalmente. Per questo ed altri mille motivi ci tengo a ringraziare il Consorzio Tutela Vini Colli Berici e Vicenza per l’invito riservatomi e l’ufficio stampa Studio Cru, di Vicenza, che ci ha accompagnato in questa tre giorni interessante e ricca di spunti.
L’aspetto umano delle tante persone incontrate è il ricordo che porterò per sempre nel cuore: viticoltori, ristoratori, addetti ai lavori e non ultimo in termini d’importanza – semmai è l’esatto opposto – il Presidente del Consorzio Giovanni Ponchia. La simpatia di quest’ultimo è risultata contagiosa, poche volte mi sono espresso in tal senso, oltre ad una preparazione a 360° sulle peculiarità del territorio; credetemi non è scontato, molte volte le due cose non coincidono. Giovanni ha aperto le danze presso l’Azienda Piovene Porto Godi di Toara di Villaga (VI), la prima tappa del tour. Alle sue spalle una grande cartina geografica che illustra il territorio dei Colli Berici: un racconto, il suo, dei luoghi in cui l’architettura di Andrea Palladio è diventata grande: il Teatro Olimpico e la Basilica Palladiana soltanto per fare due esempi.
Da queste parti la storia del vino, caratterizzata dalle tante vigne e dai suoi frutti, incrocia continuamente il fascino austero delle tante ville stupende che circondano tutta la provincia di Vicenza. Abbiamo avuto modo di visitare Villa Da Schio situata a Costozza (VI), splendida dimora caratterizzata da uno giardino a spalliera adornato dalle statue dello scultore Orazio Marinali e da una grotta naturale da sempre adibita a cantina.
Da queste parti non esiste la monocultura che ha colpito altre zone della regione, la biodiversità è un tema che si “respira” percorrendo su e giù i sentieri dei tanti comuni che costituiscono l’areale vitivinicolo dei Colli Berici. Qua e là è possibile ammirare una vegetazione rigogliosa. In questa stagione la tonalità è verde più che mai, non solo: uliveti, boschi, campi di papaveri, seminativi, orti, frutteti e infine la vigna che accompagna dolcemente il paesaggio senza prevaricare. Per tutelare gran parte di tutto ciò, e con la ferma intenzione di preservare gli aspetti storici e culturali del territorio nasce il Consorzio Tutela vini Colli Berici e Vicenza che riunisce cantine, produttori e aziende vinicole associate.
Fino al 2011 erano due le realtà presenti: quello sopracitato e il Consorzio Tutela Vini Vicenza D.O.C., ognuno con la propria autonomia. Successivamente la scelta strategica di fondersi in un’unica realtà riconosciuta dal MiPAAF. Ai giorni nostri comprende 28 aziende (25 privati e 3 cantine cooperative) che rappresentano il 94,7% della produzione totale di uve a DOC Colli Berici e il 99% della produzione totale di uve a DOC Vicenza. Assieme ad un piccolo gruppo di giornalisti ho avuto la possibilità di vistare ben 6 Cantine in tre giorni, e soprattutto ho potuto costatare un buon gioco di squadra a livello globale e l’intento comune di promuovere oltre che la propria azienda soprattutto il territorio e i suoi cavalli di razza: tai rosso, carménère e il cosiddetto taglio bordolese.
Mentre il resto d’Italia, salvo rare eccezioni, pianta anche un po’ “per gioco” uve quali cabernet sauvignon, cabernet franc e merlot, tra queste colline ricche di argilla e calcare, che per l’appunto prendono il nome di Colli Berici, il classico taglio bordolese ha una storicità che supera i 200 anni. Il motivo è da addurre alla presenza di nobili famiglie facoltose, anche borghesi, dell’epoca che amavano bere vini francesi, ai tempi gli unici ad avere fama e successo. Pare che alcune barbatelle fossero arrivate in gran segreto direttamente da Bordeaux.
Nel corso dei secoli studi specifici e continue prove in vigna, nonché zonazioni, hanno dimostrato quanto queste uve siano state in grado di adattarsi magistralmente ai terreni dei Colli Berici, al particolare microclima e alle temperature calde e miti di questo territorio. Da queste parti la piovosità è meno frequente rispetto ad altre zone vitate del Veneto, dunque se da una parte i grappoli crescono sani e maturi, costantemente baciati dal sole, dall’altra occorre stare molto attenti in vigna e rispettare al massimo le varie fasi del ciclo vegetativo, per assicurare all’uva livelli di acidità adeguati.
La mineralità dei terreni aiuta in tal senso, oltre al Ph di acidità del suolo. In effetti il minimo comune denominatore riscontrato negli oltre 70 assaggi effettuati durante il press tour è rappresentato proprio dalla sapidità dei vini, quasi mai assente. Volendo ulteriormente approfondire sto parlando di rocce calcaree e argille rosse, oltre ad altitudini che spesso raggiungono i 400 metri sul livello del mare e che allontanano nebbie e gelate tardive; oltre alle già citate ridotte precipitazioni annue. Aspetti pedoclimatici in grado di forgiare vini fortemente caratterizzati e spesso più che longevi.
Ho avuto la possibilità di constatarlo personalmente attraverso tre etichette che mi hanno conquistato: Colli Berici Cabernet 1995 di Piovene Porto Godi, 1992 di Cavazza e un Colli Berici Merlot 1974 di Campo del Lago, quest’ultima già menzionata e apprezzata dal compianto Luigi Veronelli che la paragonava ai migliori Pauillac.
In comune questi tre vini hanno avuto la capacità di mantenere una spalla acida/sapida sbalorditiva, oltre che un profilo olfattivo bel lontano dai classici toni di frutta esausta. A tal proposito occorre aprire una parentesi, forse l’unico aspetto su cui il Consorzio e i produttori devono ancora aggiustare il tiro, ovvero il continuo confronto con Bordeaux. Inevitabilmente l’aspetto commerciale di un’azienda vitivinicola porta a cercare termini di paragone, e nel caso del taglio bordolese come non farlo con Bordeaux, dov’è nato e dove ancor oggi raggiunge vette difficilmente eguagliabili. Ritengo, tuttavia, che soprattutto i Colli Berici, più che cercare “ossessivamente” il confronto coi cugini d’Oltralpe debbano maggiormente mettere in risalto le peculiarità che contraddistinguono questa particolare area vitivinicola veneta, cercando di imprimere nella mente dell’interlocutore elementi, soprattutto ambientali, quali: biodiversità, microclima, studio dei cloni, zonazione insomma tutti quei fattori determinanti e difficilmente replicabili altrove, anche in Francia per alcuni aspetti.
Non dimentichiamo mai che in campo vitivinicolo risulta possibile replicare uno stile enologico, una determinata tipologia di vino piuttosto che un’altra, ma è impossibile replicare altrove un determinato terroir.
La longevità dei tre vini che ho descritto sopra lo dimostra ampiamente, ulteriore riprova di quanto queste terre risultino vocate. Tornando all’importanza strategica delle uve bordolesi per il territorio vicentino, come non menzionare il fatto che il Cabernet Franc Colli Berici è stato il primo a ricevere la denominazione DOC in Italia, un primato non da poco. La viticoltura da queste parti non si limita soltanto ai tagli bordolesi, tutt’altro, lo dimostra ampiamente l’abnegazione delle sei Cantine visitate nei confronti del vitigno tai rosso, ovvero: Piovene Porto Godi, Cavazza, Pegoraro, Dal Maso, Mattiello e Inama. Chiamata un tempo tocai rosso, è un’uva imparentata con il cannonau sardo, il grenache francese e la garnacha spagnola.
Riguardo questa cultivar ho apprezzato notevolmente la capacità di leggere il territorio, soprattutto attraverso vini giovani e di impronta moderna in grado di tradurre all’interno del calice profumi freschi e ariosi di frutti rossi. Non solo: pennellate floreali di violetta e geranio selvatico, note di cosmesi e spezie fini; particolarmente ammaliante il colore, un bel rubino con riflessi ciclamino. Un vino che ha le carte in regola per conquistare gli attuali mercati, gli stessi che richiedono prodotti slanciati, verticali, tuttavia non privi di complessità, e la sapidità intrinseca del Tai Rosso dei Colli Berici è un’arma vincente in questo caso. A tal riguardo ho particolarmente apprezzato due etichette proposte rispettivamente dalla Cantina Pegoraro e Cavazza, relative all’annata 2022.
Un altro asso nella manica del territorio è il carménère, vitigno d’origine francese al quanto ostico da allevare per via della sua maturazione tardiva; tra le colline attorno a Vicenza ha trovato una culla d’elezione. Gli stessi francesi nel bordolese, tempi addietro, l’hanno espiantato per i motivi sopracitati, anche se ultimamente per via del cambiamento climatico stanno cominciando a ripiantarlo. A tal riguardo è impossibile non citare l’Azienda Inama di San Germano dei Berici (VI), l’unica in Europa, grazie ad un’esperienza di oltre 25 anni, a possedere un vero e proprio progetto in atto rivolto alla sopracitata cultivar. Il carménère dona vini di grande personalità, soprattutto dopo tanti anni di affinamento a mio avviso. Inizialmente il DNA del vitigno porta ad avere prodotti con profili piuttosto erbacei e tannini spesso irrisolti, tutto poi dipende dall’abilità del produttore e Inama indubbiamente sa il fatto suo.
Il Colli Berici Oratorio di San Lorenzo Carménère Riserva 2017 avvalora la mia tesi: rubino impenetrabile, ricco di profumi che spaziano dalla confettura di frutti neri alla liquirizia, spezie orientali e grafite, tabacco in foglie e cacao; la sapidità è notevole inserita in un contesto di beva a tratti esaltante. Un vino ricco di estratto, a mio avviso ancora molto giovane poiché il tannino risulta dolce tuttavia marcante. I Colli Berici sono un’area vitivinicola che ad oggi produce il 72% di vini rossi fermi, il resto ovviamente è rappresentato dai bianchi. Tra le varietà più caratteristiche voglio citare la garganega e il manzoni bianco, vitigni che a mio avviso riescono a tradurre molto bene, all’interno di in un calice, le tante peculiarità dei terreni calcarei e argillosi dove nascono le uve. Ritrovo spesso sapidità e acidità accentuate, profumi di frutta estiva croccante e piccoli fiori di campo, talvolta erbe aromatiche dal carattere dolce come la salvia e la maggiorana. Vengono allevate altre uve quali chardonnay, sauvignon, pinot bianco e pinot grigio. Mi preme far luce su un aspetto importante: la gastronomia locale e la ricchezza dei suoi tanti cavalli di battaglia. Primo fra tutti un piatto che per gli abitanti di questa provincia può considerarsi una vera e propria religione: il baccalà alla vicentina.
Ho avuto modo di apprezzarlo presso il Ristorante Trattoria Zamboni di Lapio (VI) e devo riconoscere che è stato un amore a prima vista, il trucco risiede nella cottura lenta, si parla anche di otto ore, e nell’utilizzo di un buon olio che l’accompagna. Indimenticabili i classici “bisi”, in dialetto veneto piselli, gustati con un’ottima pasta fresca all’Osteria Botte del Covolo di Costozza (VI), adiacente a Villa Da Schio. Ultimo non in termini di importanza il tartufo nero dei Colli Berici.
I cuochi della Trattoria La Moreieta di Soghe (VI) hanno saputo impiegarlo al meglio all’interno di un menu ad hoc che mi ha piacevolmente stupito. In chiusura desidero segnalare l’ottimo lavoro svolto da due giovani chef del Ristorante Camaleonte di Alonte (VI), Federico Zambon e Alvise Ballarin. Presso l’Azienda Cavazza sono riusciti a proporre un menu di alta cucina giocato sull’arte dei contrasti, spesso azzardati come ad esempio la tartare di cervo, levistico e riccio di mare, tuttavia stupefacenti ad ogni piatto a detta di tutti i commensali.
Andrea Li Calzi