Coscia di tacchino lardellata ai funghi con Cannonau di Sardegna Riserva
Per prima cosa, preferisco pulire bene la coscia da eventuali residui di piume e dalle schegge di osso con una spazzola piuttosto che sfiammeggiarla sul fornello e poi la lavo sotto l’acqua corrente e l’asciugo bene con la carta assorbente da cucina. Per seconda cosa, preferisco togliere la pelle alla coscia e usare la pancetta tesa a fette al suo posto per ammorbidire la carne, ma anche per insaporirla. Se si lascia la pelle e si usa la pancetta, le due cose si accavallerebbero e l’unto sarebbe eccessivo. C’è anche chi insaporisce ulteriormente la coscia, sempre senza la pelle, ungendola di olio, cospargendola con un trito di aglio, erbe aromatiche, un po’ di scorza di limone grattugiata e mettendola in un recipiente coperta con una pellicola per una notte prima di apprestarsi a cucinarla.
Ingredienti per 4 persone:
- 1 coscia intera di tacchino di circa 1,5 kg
- 250 g di pancetta tesa a fette (di cui 1 spessa)
- 500 g di patate
- 300 g di funghi porcini secchi
- 2 cucchiai di latte
- 200 ml di vino bianco
- 1 spennellata di olio extravergine di oliva
- pepe macinato al momento a piacere
- sale fino quanto basta
Prendete una teglia da forno molto ampia in modo da contenere la coscia e in seguito poterci aggiungere anche patate e funghi, quindi cominciate con il riscaldare il forno a 200 °C.
Prendete un’asse e tagliate a cubetti la fetta di pancetta più spessa. Appoggiate la coscia intera in un piatto (per come la preparo io, la pelle va tolta) e praticate qualche piccola incisione nella carne in ordine sparso per inserire i cubetti di pancetta, poi cominciate a insaporirla tutta con una spennellata di olio extravergine d’oliva, sale e pepe, anche rigirandola. Ora ricopritela interamente con le restanti fettine più sottili di pancetta e mi raccomando che sia coperta in ogni parte.
Prendete una ciotola e versateci dell’acqua bollente, ora immergetevi i funghi porcini secchi, aggiungete due cucchiai di latte e lasciateli ammorbidire per circa 30 minuti. Quel goccio di latte toglierà l’odore di secco ai funghi e ricostituirà i componenti volatili che avevano perso quando sono stati seccati.
Lavate e pelate le patate, poi tagliatele a pezzi.
Nel frattempo il forno sarà già attivo alla giusta temperatura e potrete quindi infornarvi la teglia con la coscia di tacchino. Lasciatela cucinare per circa 45 minuti versandoci sopra il vino bianco equamente distribuito in modo da bagnare ogni parte della coscia.
Passato questo tempo, togliete la teglia dal forno e aggiungeteci le patate e i funghi, salandoli e bagnando il tutto con qualche cucchiaiata dell’acqua di ammorbidimento dei funghi rimasta nella ciotola. Tornate a informare il tutto per circa 1 ora e 15 minuti, mescolando e rigirando ogni tanto funghi e patate e con un cucchiaio usate ancora il liquido di cottura per bagnare la carne. Verso fine cottura io faccio delle profonde incisioni con un coltello affilato nelle parti di carne con più polpa, perché solitamente fanno più fatica a cucinare e in questo modo cuociono meglio.
Passate così le 2 ore in totale, togliete il tacchino dal forno e fatelo raffreddare. Solitamente ci si rende conto se è cotto in modo uniforme, altrimenti infornatelo per altri 15 minuti.
Cotto e raffreddato, tagliatelo a fette e servitelo con patate e funghi!
Claudia Vincastri
Il vino Cannonau di Sardegna Riserva ”Dimonios” 2015 della Sella & Mosca
Ero arrivato in Sardegna nel ‘73 incuriosito dalle ricerche dei geologi sulle acque delle falde sotterranee (anche sotto il fondale marino) che ne stavano dimostrando la provenienza dai ghiacciai delle Alpi. Sotto sotto, ma proprio sotto, è tutto come un gruviera. Sopra sembra un blocco unico, una terra misteriosa e solitaria. Invece sotto non c’è niente di più ingrippato. Allora ero ospite di zia Peppa che ai Piani della Sella&Mosca ci andava tutti gli anni a vendemmiare, lei e la sorella Rosa erano sempre nella squadra delle più esperte, quelle che vendemmiarono un ’78 da favola, che ancora se ne parla. Un anno ci portò anche sua figlia Mariuccia, che mi disse: «Fanno una nuova vigna dove c’erano i carciofi, sotto l’acquedotto che scende dal lago Cuga».
Proprio lì, al confine di quella vigna, mi ero comprato una casetta con un terreno da cui ho estirpato la vigna perché non mi andava di faticare a coltivarla e andavo a comprare il vino da chi lo sapeva fare, dal confinante, proprio la più grande tenuta d’Europa di quel tempo, 650 ettari in un corpo unico bonificato nel 1899 dall’ingegner Emilio Sella e dall’avvocato Edgardo Mosca che finirono di costruire il villaggio e la cantina nel 1903. Fare il vino qui è sempre costato molta fatica e ha sempre prodotto poco reddito, perciò nel corso della sua storia l’azienda è scivolata spesso dagli onori agli oneri ed è passata più volte in altre mani.
Sono tutti vini dai profumi decisi, morbidi e caldi, si sente il sole potente fra il canto delle cicale. Ricordano la mora e i piccoli frutti di bosco. Sapori fruttati, immediatamente avvolgenti, con tenori alcoolici da capogiro: è una vera fatica trattenerli sotto i 15 gradi per venderli più facilmente, perché il Cannonau (in spagnolo garnacha, in francese grenache) va fuori di testa in pochi giorni se non lo tieni coi piedi per terra, anche con l’irrigazione di soccorso, ma assolutamente sotto il livello del fogliame. Di acqua ce n’è poca, se ne beve il meno che si può e quella poca che c’è serve alle bestie per non lasciarle morire durante la siccità estiva.
Purtroppo le produzioni a denominazione protetta sono state fatte o con il bilancino del farmacista o con il diploma d’asino del politicante. Andrebbero regolate di nuovo in modo corrispondente alla vitivinicoltura reale, cioè con una maggiore specificità. Le regole dell’attuale disciplinare valido per tutto il Cannonau di Sardegna, invece, valgono da decenni e riguardano tutta l’isola, dai mari alle montagne. È semplicemente assurdo, perché le varietà organolettiche di questi vini, pur provenendo da un unico vitigno, sono sempre state differenti per territorio, per altitudine, per suoli. Come si fa a tenere ancora insieme i vini delle coste, fra loro lontanissime, con quelli della pianura del Campidano, o i vini delle colline calcaree coltivate a sughero con quelli delle montagne granitiche?
Anche alla Sella & Mosca di Alghero, con il miglioramento della qualità, le produzioni di Cannonau delle diverse etichette si sono ulteriormente differenziate da quelle delle altre zone e se si vuole usare il nome della Sardegna sulla bottiglia a scopo promozionale del turismo si potrebbe incollare pure un bel marchio della Regione Sardegna sull’etichetta purché sia ben specificato che questo Cannonau è di Alghero.
La linea del Cannonau Riserva è dedicata alla Brigata Sassari, famosa per gli assalti all’arma bianca dei reggimenti 151° e 152° al grido di ”Ajò, dimonios, avanti! Forza paris!” che è immortalato nel titolo del suo inno e giustamente la sua prima strofa risalta su questa etichetta di un grande vino.
Il Dimonios 2015 è nato dai vigneti aziendali di una ventina d’anni situati nel quadrante sud-est della tenuta verso Tanca Farrà, su suoli di argille rosse perché ricche di ferro e di alluminio. Il sistema d’allevamento è a cordone speronato. La densità d’impianto è di 4.000 ceppi per ettaro che danno una resa di 90 quintali per ettaro. La raccolta dei grappoli e la loro rapida consegna alla cantina sono avvenute soltanto al raggiungimento della perfetta maturazione polifenolica degli acini che, dopo la diraspopigiatura, sono stati avviati alla vinificazione in rosso, con macerazione pre-fermentativa a freddo delle bucce nel mosto, fermentazione con macerazione a una temperatura controllata tra i 18 e i 28 °C e malolattica completamente svolta. Il vino poi è maturato per 24 mesi in vasi vinari diversi (acciaio inox, vasche di cemento e, solo per 12 mesi, in rovere di Slavonia) fino all’assemblaggio e all’affinamento in per altri 6 mesi bottiglia. Tenore alcolico del 15,5%.
Dimonios ha un colore rosso rubino intenso che risplende nel calice con riflessi granati. All’attacco sprigiona profumi di piccoli frutti rossi maturi e rose rosse con sfumature di sottobosco che introducono un bouquet ricco di aromi maturi di marasca e prugna con note di macchia mediterranea, noce moscata e sandalo. In bocca è morbido, cremoso, sapido, di solida struttura e di sorprendente equilibrio gustativo, con un tannino piacevole e dà una sensazione gradevole di caldo pur nella sua freschezza. Il finale è leggermente speziato e iodato e invoglia il palato a indugiare a lungo per goderlo meglio.
Mario Crosta
Sella & Mosca
località I Piani, 07041 Alghero (SS)
tel. 079.997700, fax 079.951279
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