Fallimento o realizzazione personale? Fuga da tutto e tutti o voglia di mettersi in gioco altrove? Forse non è poi così importante dare una risposta a questi quesiti, ma semplicemente aver costatato con mano, occhio e soprattutto palato, che ce l’hanno fatta, anzi, che hanno appena iniziato a divertirsi. La storia, a sommi capi, dice questo: un giovane diplomato presso la scuola alberghiera di Milano, dopo qualche classica esperienza immediatamente successiva alla fine degli studi, giunge in uno dei templi della cucina italiana ed internazionale: Sadler. Lì vi rimane per 5 stagioni. Poi, insieme ad una giovane collega spagnola, conosciuta sempre nel noto ristorante pluristellato, si imbarca nell’avventura Ape Piera (oggi Nicola Cavallaro), sempre in quel di Milano. L’Ape Piera cambia gestione, entrambi, felicemente coppia fissa, non solo nel lavoro, ma anche nella vita, migrano all’Armani Cafè per poco più di un anno, ma sempre con un chiodo fisso: aprire un proprio ristorante. Infine la decisione: Isla Cristina, 2136 km lontano da Milano, un piccolo paese dell’Andalusia, a due passi dal confine con il Portogallo.
Quando ho visto il cartello con la scritta del paese, l’incredibile luce, che d’estate ti fa compagnia sin oltre le dieci di sera, le saline, le case bianche e basse, i tanti pescherecci ancorati nel porto vecchio, gli edifici un po’ cadenti con le scritte colorate che si affacciano sul porto e che per la stragrande maggioranza confezionano pesce, uomini e donne con i calzoni arrotolati stile mondine alla “Riso Amaro” che raccoglievano vongole e telline sfruttando la bassa marea dell’oceano Atlantico, ho cominciato a capire, o a cercare di immedesimarmi, nelle parole che avevano spesso scandito i loro racconti circa questa ventosa ed assolata landa spagnola, poco prima di lasciare l’Italia: “Lì è diverso, la vita è lenta, tranquilla, non c’è nessuna frenesia”. Ho percorso la stretta strada che costeggia il porto, non senza una certa attenzione (la macchina era a noleggio) cercando di non urtare furgoni, ragazzi in scooter, camion, carretti, macchine parcheggiate disordinatamente e quant’altro abbia incontrato sino all’insegna: “La Boccana“. Tendoni rossi e serranda abbassata. Erano le 18 e mi sono quasi spaventato: ma come, mi avevano detto che avrebbero sfornato tapas in continuazione innaffiate da cerveca locale ed invece? Pochi metri più in là, sotto un ex faro, oggi bar, stavano sorseggiando una birra ghiacciata e mangiucchiando sarde e pane, in completa rilassatezza ed, in attesa di aprire il loro ristorante verso le venti, chiedendosi: “Dove sono finiti quel nevrotico milanese che parla sempre e la sua santa compagna”?
Abbiamo trascorso una settimana in loro compagnia, o meglio, incrociandoci con i loro orari, che hanno poco di rilassato a dire il vero: apertura verso le dieci del mattino e chiusura intorno alle sedici. Poi, dalle venti sino a notte fonda, siano l’una o le tre del mattino, è indifferente. Qui, gli abitanti ed i turisti, per la maggior parte spagnoli e portoghesi, con qualche sparuta presenza inglese e tedesca, la sera amano star fuori, in particolare d’estate, ma soprattutto amano andare fuori a pranzo, a cena, prima di andare in spiaggia, immediatamente dopo, insomma, quasi sempre. Portafoglio largo? Non saprei, o almeno, non credo. Prezzi corti? Ecco, questo sicuramente si, soprattutto considerando che qui si mangia pesce: tonno, acciughe, sarde, branzini, uova di merluzzo, triglie, tonno, pesce spada e poi ancora gamberi, gamberoni, vongole, telline, canocchie…etc.
La Boccana (significa “ingresso del porto”), è un piccolo ristorante (ma ancora per poco) affacciato sul porto commerciale, quaranta metri quadri, cucina inclusa, uno stretto marciapiede con qualche tavolo ed un’ampia terrazza sul porto. Una settantina di coperti a disposizione, che ruotano in continuazione: da queste parti si inizia a mangiare la sera verso le ventidue e trenta, ma volendo anche le ventitré. Poi, spesso, arrivano avventori anche ben oltre la mezzanotte e finiscono tranquillamente intorno alle due. Sul bigliettino da visita, la scritta “Bar-Cerveceria” inganna. Tre anni fa, quando hanno aperto, erano partiti, come si suol dire, volando, e non a torto, molto basso: birra e tapas a mezzogiorno (qui significa cominciare a pranzare verso le 14 e finire beatamente intorno alle 16) e qualche piattino più elaborato, la sera. Oggi, ma sin dall’inizio avevano capito che c’era spazio per provare a proporre anche qui una cucina più elaborata e ricercata (nel senso della proposta, non della esasperata presentazione), le cose sono decisamente cambiate: un servizio veloce, anzi, velocissimo ed a tratti concitato, ed una proposta di piatti di pesce e carne davvero invidiabile, presentati bene, con cura, con qualche discreto accorgimento estetico che fa salire l’acquolina a mille. Una piccola, ma completa, carta dei vini (dall’albarigno di Rias Baixas al palomino del Contado di Huelva, passando per i rossi di Rioja e Ribera del Duero), birra a fiumi e tanta simpatia, cortesia e voglia di sorridere, che male non fa. Ed il buon umore rimane anche quando ti arriva il conto: con venticinque euro mangi pesce fresco, due portate, in porzioni abbondanti, bevi una bottiglia di vino e completi l’opera con uno dei tanti dessert fatti in casa, cosa rara da queste parti, alla commovente cifra di tre euro e cinquanta cadauno. Un caffè “solo” (espresso) e magari un bicchiere di Amarguinha (un distillato di mandorle del vicino Portogallo) con una fetta di limone.
E’ stato un successo, praticamente sin dall’inizio, anche se i primi giorni non è stato semplice far capire ai vecchi frequentatori del preesistente bar che c’era stato qualche, sostanziale, cambiamento, non solo sulla scritta dell’insegna: ma pensare che sia stata sufficiente l’esperienza accumulata su altri lidi, non sarebbe corretto. Un affitto del locale umano, un’amministrazione comunale e regionale disposta a credere in due giovani imprenditori, i costi delle materie prime più che ragionevoli, quasi ridicole per chi abituato, come operatore del settore o consumatore, a frequentare la ristorazione delle grandi città italiane, il clima mite, anche d’inverno, che spinge inevitabilmente la gente ad uscire, a gustarsi il piacere di trascorrere il proprio tempo libero fuori casa a prezzi accessibili, praticamente a chiunque. Insomma, due cervelli, che per realizzare il proprio sogno e vivere tranquillamente, senza l’ansia da prestazione e l’angoscia del “tirare a fine mese”, sono migrati su altri, lontani, lidi e che, nonostante una non celata mancanza per amici e consuetudini passate, hanno riacquistato un ottimismo ed una tranquillità, quasi contagiosa.
A ottobre Marta Gonzalez de la Higuera e Nicola Grassi faranno un piccolo grande cambiamento: traslocheranno in un nuovo spazio, molto più grande, situato all’interno dell’accogliente porticciolo turistico. Stesso nome e stessa immutata energia.
Mi piacerebbe potervi dire: “quando passate da quelle parti, fate un salto alla Boccana!”, ma mi rendo conto che la distanza dall’Italia non è delle più accessibili. La stessa Isla Cristina, nonostante le belle e spaziose spiagge, si mostra cruda, vera, a tratti decadente con la sua aria da vecchio film in bianco e nero italiano del dopo guerra, non fa parte delle tappe classiche di chi decide di trascorrere le proprie vacanze in tour per l’Andalusia, anche se nell’entroterra di questa provincia, si produce il miglior jamon iberico di Spagna, il Jabugo, e questo, quanto meno per i più accaniti gourmet potrebbe essere un valido motivo per inoltrarsi da quelle parti. Ma, come si suol dire, nella vita non si mai, quindi, l’indirizzo da segnarsi (sino ad ottobre) è:
La Boccana Muelle Matinez Catena, 6 Tel: +34 959343071 21410 – Isla Cristina – (Huelva) Spagna
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