Davide Feresin
Quando si parla di Cormons si è soliti collegare questa località friulana, posta al confine con la Slovenia, ai grandi vini del Collio che vengono prodotti dai vigneti di collina di tante rinomate aziende. Ma ci sono invece anche delle zone limitrofe allo stesso lembo di terra, che appartengono invece alla DOC Isonzo, perché i vigneti sono ubicati in pianura, ma che possono contare comunque di terreni vocati dove dei bravi produttori riescono a regalarci, con il loro lavoro, ottimi vini. In uno scenario unico per le caratteristiche del terreno e del suo microclima, situata nell’antico borgo rurale di San Quirino, si trova l’azienda di Davide Feresin. Seppur ancora giovane, la storia vinicola di Davide Feresin è quasi trentennale.
Vigneto in pre-vendemmia
Tutto è iniziato nel 1994. Raccogliendo l’eredità agricola della famiglia, assieme alla moglie Sabrina ha iniziato un percorso che aveva come duplice obiettivo far ritornare a risplendere il borgo di San Quirino e al tempo stesso perseguire un modo di fare viticoltura che non cercasse compromessi o scorciatoie e che rispettasse l’ambiente, portando in cantina uve sane e di qualità, unica via per produrre dei grandi vini che riescano a conservare anche la tipicità del territorio. L’azienda può contare su circa dieci ettari vitati, con altrettanti di seminativo, per una produzione di circa 50mila bottiglie all’anno suddivise in un 70% di bianchi e 30% rossi, dove accanto agli autoctoni Tocai Friulano e Refosco dal Peduncolo Rosso, ci sono tutti quegli internazionali come il Pinot Bianco, Pinot Grigio, Sauvignon, Merlot e Cabernet Sauvignon che però fanno oramai storicamente parte della tradizione vitivinicola friulana. Però per saperne di più sulla storia dell’azienda e sulla filosofia produttiva di Davide, non ci resta che andarlo a conoscere da vicino.
Vigneti in autunno a San Quirino
DIALOGANDO CON DAVIDE FERESIN
Ci racconti un po’ la storia della tua azienda facendo un salto agli albori del passato fino ad arrivare poi ai giorni nostri? L’azienda di trova a Borgo San Quirino ed ha origini che risalgono al 1202, anno in cui fu firmato il trattato di pace fra Gorizia e Aquileia. La casa dove ora c’è la sede dell’azienda era in tempi passati la residenza estiva del Conte di Capriva. La storia della nostra famiglia inizia invece nel 1954 con mio bisnonno Leopoldo quando decise di acquistare dei terreni nei dintorni di Cormons e per realizzare questo suo desiderio intavolò una trattativa con Bosero, un grosso proprietario terriero della zona. Parliamo di un momento storico in cui Trieste non era ancora ritornata italiana ed era ancora aperto il contenzioso delle zone confinanti con la Jugoslavia anche se erano passati quasi dieci anni dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Bosero aveva paura di quello che sarebbe potuto accadere e decise di svendere l’azienda per una cifra di 25 milioni di lire, tantissimi soldi ma che sicuramente non rappresentava il vero valore dei terreni se si pensa che due anni dopo offrirono a mio nonno quasi 100 milioni di lire per acquisire l’intera proprietà, offerta che lui non prese in considerazione perché la famiglia aveva deciso di andare avanti con l’attività agricola. Ma a mettere i bastoni fra le ruote ci fu la ratifica di un vincolo di zona industriale che portò a rallentare se non proprio a fermare i propositi di riqualificazione agricola di Borgo San Quirino: infatti, molti decisero di andare a lavorare nelle fabbriche o prendere altre strade. Una svolta arrivò grazie a una zia di Milano, molto facoltosa, che assieme a un imprenditore dedito al mercato della finta pelle, avviò contatti con le istituzioni politiche di Cormons per portare all’attenzione l’interesse a fare investimenti industriali, ma non nei terreni aziendali e agricoli storici, bensì in zone più povere che non erano adatte all’agricoltura. Nasce così il progetto industriale di Cormons con l’inaugurazione della prima fabbrica che diede lavoro a più di 800 persone portando un po’ di benessere a un territorio di confine che aveva sofferto più di altri gli eventi della guerra. Arrivando ai giorni nostri, nel 1994 terminai gli studi e mi diplomai in un settore diverso da quello agricolo perché i miei genitori desideravano facessi altro. Ebbi però un richiamo così forte verso la terra che mi portò a decidere di buttarmi in una nuova avventura. Presi dei terrenti e piccole strutture in affitto e iniziai la mia nuova vita di viticoltore. Intorno al 1997 riuscii a far togliere il vincolo della zona industriale e quindi tutta la zona divento più interessante e con nuove prospettive all’orizzonte. Assieme ai miei cugini che avevano una loro attività, ci siamo prodigati a investire, ripulire e sistemare questo antico borgo di San Quirino che aveva sì potenzialità agricole ed enogastronomiche ma anche una bella storia da raccontare. Arrivarono quindi le mie prime 4000 bottiglie, datate 1997, di Pinot Bianco, Tocai Friulano e Merlot e da qui l’inizio di una crescita costante che ha portato all’acquisizione dei terreni prima in affitto e di varie altre strutture. Con grande orgoglio posso dire che oggi io e mia moglie Sabrina abbiamo un’azienda di intera nostra proprietà con 10 ettari vitati e altri 10 ettari di seminativo per una produzione di circa 50mila bottiglie all’anno suddivise in un 70% di bianchi e 30% rossi.
San Quirino è una frazione di Cormons e se da un punto di vista geografico parliamo praticamente della stessa zona, se invece tocchiamo l’argomento vino passiamo dalla zona DOC Collio alla DOC Isonzo. Quali sono le reali differenze dal punto di vista vitivinicolo con le zone collinari e che diverse caratteristiche hanno i vini che si producono nel vostro lembo di terra? È risaputo che i vigneti di Cormons ricadono sia sotto la DOC Collio che quella Isonzo. Nel primo caso i vigneti iniziano ai piedi della collina e vanno a salire, mentre nel secondo caso le viti hanno dimora in pianura. Nella zona di San Quirino, dove si trova la mia azienda, il terreno e le componenti pedoclimatiche riescono a donare uve che hanno caratteristiche similari a quelle del Collio. Abbiamo la fortuna che di sera si alza quotidianamente un venticello che mantiene il vigneto asciutto dalla umidità e lontano dalle problematiche di tipo sanitario con quindi minor necessità di trattamenti e ricorso alla chimica. Se vogliamo fare un distinguo fra i vini delle due zone, prendiamo ad esempio un Tocai Friulano: nel Collio sarà caratterizzato da una bella acidità, ottima sapidità e gran corpo, questo grazie ai terreni che sono ricchi di sostanza organica che proviene prevalentemente dai residui boschivi. Anche nella Doc Isonzo, all’interno della nostra zona di San Quirino, abbiamo dei terreni che assomigliano a quelli del Collio, questo grazie all’uso del letame e ai sovesci che arricchiscono la terra di tanti componenti. Nei nostri vini hai acidità leggermente più basse, si sente molto la parte che io definisco di pasticceria, con tante piccole sfumature. In conclusione, devo dire che entrambe le zone, se coltivate in modo opportuno, danno dei vini molto importanti dal punto di vista organolettico, anche se con caratteristiche un po’ diverse. Prima c’era tanta differenza fra Collio e Isonzo perché non c’era l’attenzione che c’è adesso: sono diminuite le rese in vigna e c’è maggior rispetto rivolto al benessere della pianta. Le due zone non devono essere messe in competizione, ma devono perorare una causa comune perché comunque si parla sempre di Friuli e le varie sottozone si compensano perché offrono tutte caratteristiche diverse e devono essere un volano per attirare consumatori ed enoturismo.
C’è un maestro o figura di riferimento al quale ti sei ispirato ed è stato fondamentale per il tuo percorso professionale? Qualcuno in particolare non c’è. Ma ci sono state diverse persone che mi hanno dato delle ispirazioni e mi sono state utili sia a livello personale che lavorativo. L’enologo storico di Castelvecchio Gianni Bignucolo è stato uno di questi. La prima volta che è venuto in cantina mi ha dato delle regole semplici da seguire per cercare di fare un buon vino: uve sane che non devono essere rovinate quando si portano in cantina, un frigo per controllare la temperatura e ultimo non fare stupidaggini in vinificazione. Poi nel corso del mio percorso professionale ci sono state anche altre persone che mi hanno aiutato, anche a livello commerciale, dandomi consigli su che investimenti dovevo intraprendere per non andare incontro a brutte sorprese. Ho imparato che nella vita da ognuno puoi cercare di imparare qualcosa.
Ho letto su un libro una sua bella citazione di Sandro Sangiorgi che ha definito le varie componenti che portano a produrre un vino. Il terroir è lo spartito, il vitigno è lo strumento, il vignaiolo è l’esecutore. Per produrre vini d’alto livello, quale di questi componenti risulta essere più importante e qual è la tua filosofia produttiva in vigna e cantina? Secondo me tutte queste componenti devono essere curate nei minimi particolari ed essere in equilibrio fra di loro. Se lavoro benissimo in campagna e poi in cantina sbaglio qualcosa, il risultato non sarà mai quello desiderato. Non sempre si riesce a raggiungere l’obiettivo che ci si è prefissati a causa di diversi fattori quali possono essere il clima e gli eventi atmosferici negativi che noi non possiamo controllare. Però per produrre un grande vino ci deve essere equilibrio fra territorio, le vigne e il lavoro del viticoltore che deve essere una sorta di guardiano di tutti quegli elementi che vanno a influire sul risultato finale e devono sempre essere in sintonia. Ci sono annate in cui l’intervento dell’uomo in vigna deve essere maggiore e annate ottime dove basta fare qualche piccola azione correttiva. In vigna già da una ventina d’anni non utilizziamo prodotti chimici, abbiamo tolto il rame, non facciamo diserbi, e cerchiamo di sfruttare le energie quantistiche presenti in natura. Siamo in una fase di continua sperimentazione ma l’obiettivo è quello di produrre un vino dove ci sia la completa assenza della chimica che un tempo era stata spacciata come una rivoluzione positiva per l’agricoltura e usata senza sapere le reali conseguenze nocive che aveva sull’uomo e sull’eco sistema sul lungo termine. Il vino giusto e ideale è quello che posso bere io e i miei famigliari senza problemi perché so che è sano e prodotto in maniera seria senza compromessi nocivi che vadano contro le leggi della natura.
Quali sono i mercati di riferimento per una piccola azienda come la vostra, e qual è la situazione attuale del mercato del vino con questo clima di incertezza che c’è in giro per il mondo fra guerre e venti di recessione? Noi come piccola azienda famigliare non abbiamo necessità di rivolgerci a mercati esteri e lavoriamo prevalentemente su quello nazionale. Abbiamo qualche piccolo cliente in Svizzera, Austria, Germania ma l’85% delle vendite è in Italia. In linea generale ci sono due mercati: quello dei vini a basso costo e quello dei vini di qualità che rispondono anche a una richiesta di salubrità del prodotto che arriva direttamente dal cliente. Noi più di venti anni fa abbiamo fatto delle scelte commerciali che non si basavano sulla quantità ma sulla qualità e che oggi ci permettono di essere ancora sulla breccia. Molto lo dobbiamo alla fidelizzazione dei clienti che assaggiati i nostri vini per la prima volta poi ritornano a trovarci e che poi mandano feedback positivi all’esterno aiutandoci indirettamente nel nostro lavoro commerciale.
L’Edi Friulano è il vostro vino che definiamo più audace dal punto di vista enologico e vuole essere testimone di come il Tocai Friulano possa sfidare il tempo. Ci racconti come è nata l’idea di produrre questo vino e quali sono le sue caratteristiche principali dal punto di vista vitivinicolo ed enologico?
L’Edi è nato nel 1997 e ha le sue radici provenienti da una discussione fatta con un enologo piemontese che sosteneva che in Friuli non siamo capaci di produrre vini, sia bianchi che rossi, che durano nel tempo. Questo attacco ha toccato il mio orgoglio e una volta arrivato a casa ho parlato con mio papà Edi raccontandogli la cosa e da lì è nato il desiderio di provare a smentire quelle sue parole. Per fare ciò abbiamo individuato una particella di un vigneto di 3000 metri e da lì abbiamo iniziato a pianificare l’uva che dovevamo ottenere, cercando di mettere assieme tutte le componenti fondamentali dalle quali non ci si può esimere se si vuole ottenere un vino di qualità che duri nel tempo: buccia sana, di un certo spessore, maturazione ottimale della polpa, un vinacciolo che deve essere scuro e maturo. Una volta ottenuta un’uva di altissima qualità bisognava accompagnarla nel suo percorso in cantina: fermentazione sulle bucce per 40 giorni con svolgimento della malolattica e poi svinatura senza uso della pressa. Poi il nettare ottenuto lasciato sui lieviti per quattro anni in botti di cemento. Dal risultato finale che abbiamo ottenuto si è evidenziato senza alcun dubbio che si poteva produrre un vino con grande struttura, intensità e aromi decisamente diversi dal classico Tocai vinificato in bianco. Abbiamo fatto un certo numero di vendemmie, imbottigliato le diverse annate e atteso la loro maturazione, All’inizio non sapevamo ancora se il vino sarebbe potuto durare ed evolversi per almeno 15-20 anni, ma avevamo fatto tutto il possibile, seguendo anche le esperienze tramandate dai vecchi che con pochi mezzi erano stati comunque capaci di ottenere vini longevi. Nel bel mezzo del progetto è però venuto a mancare mio papà Edi e al momento di lanciare in commercio la prima annata che aveva terminato il suo percorso di affinamento, ho pensato che invece di mettere in etichetta la dicitura Friulano era giusto dedicare a papà Edi questo Tocai un po’ fuori dagli schemi La prima volta che lo ho presentato al Vinitaly, anche l’enologo che mi aveva provocato mettendo in dubbio le potenzialità di longevità dei vini friulani, è restato senza parole. Quest’anno abbiamo aperto bottiglie del 1999 ed erano incredibili, e non ti nego che mi son messo a piangere per l’emozione di aver constatato cosa si può creare con dei chicchi d’uva e quanto possa un vino evolversi bene nel tempo. La grande soddisfazione è stata quella di aver messo a tacere chi diceva che non eravamo capaci di produrre in Friuli vini da lungo invecchiamento e al tempo stesso averlo fatto nel nome di mio papà Edi. Oggi questo vino lo produciamo solo nelle migliori annate quando riusciamo a portare in cantina un frutto di grande potenzialità, nel pieno completamento del suo ciclo, beneficiato anche da una annata climatica ottima Quest’anno usciremo con il 2012 con quasi 6000 bottiglie.
Il Nero di Botte, nuove e vecchia etichetta
Il Nero di Botte invece è un ottimo Refosco dal Peduncolo Rosso che oltre per la sua bontà incuriosisce per la simpatica etichetta. Ci racconti qualcosa di questo vino? Come l’Edi è nato da un foglio bianco su cui si doveva realizzare ex novo un progetto, un’idea di vino che mirasse a valorizzare un autoctono della nostra terra. Quando abbiamo deciso di produrre questo vino, il primo problema è stato quello di recuperare le barbatelle, visto che in azienda non avevo viti di Refosco. Mi sono informato un po’ in giro, da qualche vivaista e agronomo e tutti mi hanno consigliato di raccogliere le gemme di qualche vecchio vigneto che grazie alla sua esperienza meglio poteva soddisfare i requisiti che andavo cercando. Un giorno un amico agronomo mi ha portato a vedere un vecchio vigneto nel giardino di una signora e li abbiamo raccolto le gemme da cui tutto è partito, producendo poi le piante e creando il vigneto. Il Refosco viene vendemmiato quando il vinacciolo e l’uva sono ben maturi, poi fa una trentina di giorni di fermentazione in buccia, resta fino ad aprile in botti di cemento, facendo un paio di travasi, e poi verso maggio viene messo in botti di rovere di varia capacità con il legno che ha già subito almeno dieci/quindici passaggi. Legni non nuovi perché l’obiettivo è solo quello di trasmettere la giusta quantità di ossigeno al vino perché sappiamo che il Refosco altrimenti rischia di andare in stress e perdere colore. Il vino resta circa due anni nelle varie botti di legno, poi si assembla tutta la massa in un contenitore di cemento vetrificato e rimane lì per alcuni mesi prima di andare in bottiglia praticamente senza essere filtrato. La prima annata è stata il 2006 e adesso siamo fuori con il 2016. L’etichetta è goliardica ma vuole testimoniare un periodo di profonda analisi e discussioni sulla direzione che stava prendendo il mondo del vino, ma soprattutto rappresentare un momento di confronto, alle volte anche acceso, su come si dovesse fare il vino. I due personaggi nella prima etichetta siamo io e l’enologo che collaborava con me in quegli anni, Michele Bean, sostituito adesso, con l’annata 2016, da mia moglie Sabrina, molto attiva sia nel settore amministrativo che punto di riferimento fondamentale quando si devono prendere delle decisioni importanti per l’azienda. L’etichetta vuole anche sdrammatizzare il ruolo del vino che sicuramente non può salvarti la vita ma te la rende sicuramente più piacevole, soprattutto se degustato in bella compagnia. L’immagine delle due facce sorridenti ma con l’occhio nero è una metafora di come dopo ogni temporale, dopo ogni discussione, arrivi poi il sereno come simbolo di una quadra finale che si è riusciti a trovare.
Quale potrebbe essere il vero matrimonio d’amore enogastronomico del l’Edi e del Nero di Botte abbinato a qualche pietanza friulana? L’Edi sicuramente lo abbinerei con dei formaggi di fossa, formaggi in generale importanti sia tendenti al dolce che al piccante. Oppure con qualche minestra di zucca con una parte di affumicato al suo interno. Il Nero di Botte invece lo sposerei a dei stufati di carne o una buona costata di pezzata rossa,
Un tuo grande pregio e un difetto su cui dovresti lavorare di più. Per quanto riguarda i pregi, mi ritengo una persona umile a cui piace stare con le persone, sedere attorno a un tavolo con tanta gente per condividere esperienze e nuove idee. Mi ritengo un lavoratore, rispettoso delle persone con cui mi trovo a interloquire. Per quanto riguarda i difetti, sono sicuramente un po’ chiuso, ho un carattere con parti di dolce e parti di salato perché come detto prima, mi piace la compagnia, la condivisione, ma il rovescio della medaglia è che alle volte sono un po’ chiuso, rude, testone su certe cose. Alla fine, penso sia solo una forma di timidezza.
Il Pinot Bianco
Il complimento che ti fa più piacere quando parlano dei tuoi vini. I complimenti ovviamente mi fanno piacere. Alle volte mi arrivano dei messaggi che non mi fanno dormire la notte, in senso positivo. È bellissimo quando ti scrivono complimentandosi perché ti dicono che hai creato delle magie, dei grandi vini che trasmettono energia. Come potresti non essere felice? Ti confesso che a un certo punto della mia vita il mondo del vino mi aveva stufato e avrei voluto mollare tutto perché alle volte ti confronti con un mondo avido che per il proprio benessere personale non esita a passarti davanti, calpestandoti senza rispetto, e queste cose mi fanno troppo soffrire. Poi le testimonianze di affetto e stima che ti arrivano grazie al tuo modo di lavorare, ti fanno andare avanti e ti fanno capire che stai seguendo la strada giusta e questo ti dà l’energia vitale di cui hai tanto bisogno per affrontare gli ostacoli.
Hai dei nuovi progetti o dei sogni per il futuro prossimo della tua azienda? Il sogno è quello di far rivivere il Borgo di San Quirino, ridargli la luce che aveva nel passato, promuovendo una filosofia che ci porti a essere testimoni dell’importanza del mangiare e bere sano. Questi sono luoghi impregnati di storia e di emozioni che meritano di essere conosciuti e vissuti anche al di fuori dei confini regionali.
Stefano Cergolj
Perito informatico ai tempi in cui Windows doveva essere ancora inventato e arcigno difensore a uomo, stile Claudio Gentile a Spagna 1982, deve abbandonare i suoi sogni di gloria sportiva a causa di Arrigo Sacchi e l’introduzione del gioco a zona a lui poco affine. Per smaltire la delusione si rifugia in un eremo fra i vigneti del Collio ed è lì che gli appare in visione Dionisio che lo indirizza sulla strada segnata da Bacco. Sommelier e degustatore è affascinato soprattutto dalle belle storie che si nascondono dietro ai tanti bravi produttori della sua regione, il Friuli Venezia Giulia, e nel 2009 entra a far parte della squadra di Lavinium. Ama follemente il mondo del vino che reputa un qualcosa di molto serio da vivere però sempre con un pizzico di leggerezza ed ironia. Il suo sogno nel cassetto è quello di degustare tutti i vini del mondo e, visto che il tempo a disposizione è sempre poco, sta pensando di convertirsi al buddismo e garantirsi così la reincarnazione, nella speranza che la sua anima non si trasferisca nel corpo di un astemio.
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Amante della letteratura classica, consegue la Laurea in Lettere, indirizzo filologico, con una tesi sperimentale sull’uso degli avverbi nei tes (...)
Torinese, sognatore, osservatore, escursionista, scrittore. Laurea in Scienze Internazionali e Diplomatiche presso l'Università di Torino e Mast (...)
Classe ‘77, Nadia è nata ad Ischia. Dopo quindici anni di "soggiorno" romano che le è valso il diploma di Sommelier AIS e un'importante collabor (...)
Ha vissuto in 26 case e in 18 città, disseminando pezzetti di radici in Italia e all’estero: una Cipolla nomade più che viaggiatrice. Ma non più (...)
Mi presento, sono Rachele Bernardo, annata 1968, ribelle quanto ME. La passione per la scrittura risale agli spensierati anni giovanili, tuttavi (...)
Giornalista free-lance, milanese, scrive di vino, grande distribuzione e ortofrutta, non in quest'ordine. Dirige il sito e la rivista dell'Assoc (...)
Ha smesso di giocare in cortile fra i cestelli dei bottiglioni di Barbera dello zio imbottigliatore all'ingrosso per arruolarsi fra i cavalieri (...)
Musicista e scrittrice, da sempre amante di tutto ciò che è bello e trasmette emozioni, si è diplomata in pianoforte e per un certo periodo dell (...)
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È nato a Novara, sin da giovanissimo è stato preso da mille passioni, ma la cucina è quella che lo ha man mano coinvolto maggiormente, fino a qu (...)
Economista di formazione, si avvicina al giornalismo durante gli anni universitari, con una collaborazione con il quotidiano L'Arena. Da allora (...)
Nato il 22 febbraio 1952 a Pavia, dove risiede. Si è laureato nel 1984 in Filosofia presso l'Università Statale di Milano. Dal 1996 al 2014 è s (...)
Giornalista cresciuto con Montanelli al giornale, si occupa da sempre di agricoltura, agroalimentare enogastronomia e viaggi. Ha lavorato tra gl (...)
Figlio di un musicista e una scrittrice, è rimasto da sempre legato a questi due mestieri pur avendoli traditi per trent’anni come programmatore (...)
Sociologo e giornalista enogastronomico, è direttore responsabile di laVINIum - rivista di vino e cultura online e collabora con diverse testate (...)
Di formazione tecnica industriale è stato professionalmente impegnato fin dal 1980 nell’assicurazione della Qualità in diverse aziende del setto (...)
Laureato in Filosofia e giornalista professionista, lavora al Mattino dove da anni cura una rubrica sul vino seguendo dal 1994 il grande rilanci (...)
Maestro Assaggiatore e Docente O.N.A.V., Delegato per la provincia di Lecco; svolge numerose attività come Docente presso Slow Food, Scuola de L (...)
Sommelier e master sul servizio vino e relazione col commensale, ha tenuto alcuni corsi in area territoriale del Pavese di approccio/divulgazion (...)
È Sommelier e Degustatrice ufficiale A.I.S. rispettivamente dal 2003 e dal 2004; ha sviluppato nel suo lavoro di dottorato in Industrial Design, (...)
Napoletano, classe 1970, tutt'oggi residente a Napoli. Laureato in economia, da sempre collabora nell'azienda tessile di famiglia. Dal 2000 comi (...)
Ha iniziato la sua attività in campo enogastronomico nel 1987. Ha collaborato con le più importanti guide e riviste del settore italiane ed este (...)
Nato nel 1974 a Roma in una annata che si ricorderà pessima per la produzione del vino mondiale. Sarà proprio per ribaltare questo infame inizio (...)
Bolognese dentro, grafico di giorno e rapito dal mondo enologico la sera. Per un periodo la sera l'ha condivisa con un'altra passione viscerale (...)
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