Degustazione storica del Fiano di Avellino 2018-1989 a Lapio
Quando il Comune di Lapio mi ha chiesto di proporre una degustazione nell’ambito del Fiano Love Fest ho pensato che si poteva fare qualcosa di diverso, mai realizzata prima su questo territorio: chiedere alle aziende le loro annate più vecchie disponibili.
Un modo per sottolineare quello che abbiamo sempre creduto, il filo conduttore della nostra narrazione trentennale del Fiano di Avellino, ossia puntare sulla sua straordinaria longevità che ha il grande vantaggio, come dimostrano gli studi scientifici coordinati dal professore Luigi Moio, di evolvere e migliorare olfattivamente e gustativamente con il passare del tempo.
Ormai decine di assaggi realizzati da più persone nel corso di questi tre straordinari decenni, hanno confermato palpabilmente questa tesi: tra l’altro il Fiano di Lapio, più grasso e profumato, a mio giudizio sicuramente una delle migliori espressioni che questo straordinario vitigno italiano può assumere grazie alle condizioni pedoclimatiche di queste colline silenti a 500 metri sul livello del mare che stanno guadagnando dal global warming come tutte le aree fredde perché nonostante la media delle temperature sia più alta, mantengono una straordinaria escursione termica che è il primo presupposto per avere grandi vini a cui si aggiunge la formidabile luminosità del Sud.
Non è stato facile reperire queste bottiglie: le aziende nate tutte da ex conferitori che nel corso degli ultimi 25 anni si sono messe in proprio per dare valore all’uva il cui prezzo non era più in grado di sostenere i costi di gestione del vigneto. Si è proceduto a tentoni, tentando di vendere tutto entro l’anno in un momento in cui non c’era cultura sui bianchi invecchiati, tema su cui sostanzialmente tutta l’Italia è in ritardo, fatta salvo la cerchia degli appassionati di vino, che pure sono concentrati comunque soprattutto sui rossi.
Non credo di peccare di campanilismo sostenendo che il Fiano di Avelino, che celebra quest’anno i venti anni di docg invecchiato non teme confronti al mondo. Certo, mancano mote vendemmie per raggiungere alla perfezione dello Chardonnay in Borgogna, ma spesso. e volentieri i Fiano inseriti come “pirati” nelle degustazioni che contano fanno la loro grande figura. Lavorato soprattutto in acciaio in Irpinia il Fiano dimostra una straordinaria capacità evolutiva. Il rapporto con il legno sinora non è stato sperimentato sino in fondo anche se alcuni esempi (Oi Ni di Scuotto) ci dimostrano che in media siamo ancora molto al di sotto delle potenzialità, è che se tanti sono buoni, con un uso calibrato ed equilibrato del legno possono diventare prodotti fantastici ed emozionanti. Ma su questo versante il lavoro è tutto da iniziare. Per il momento ci possiamo accontentare del fatto che è stata finalmente istituita la Riserva nel disciplinare della docg e che almeno una dozzina di aziende escono regolarmente con uno o due anni di ritardo.
Abbiamo poi chi, come Di Meo, Mastroberardino, Joaquin, ha iniziato a lavorare con convinzione e decisione sui tempi medio-lunghi con risultati straordinari. Non a caso queste chicche, il progetto Stilema di Piero, Per Erminia e Alessandra di Roberto, Piante a Lapio di Raffaele Pagano, fanno andare di matto gli esperti e gli appassionati. In verticale sul tempo (Colli di Lapio), in orizzontale sulla selezione di cru (Rocca del Principe, Laura de Sio) altri produttori hanno puntato la rotta in questa direzione.
Quindi immaginiamo un territorio che inizia ad esprimere almeno una dozzina di produttori che lavorano con questo tipo di progetti: sarà questa la mossa per un salto di qualità complessivo con relativo apprezzamento delle bottiglie che farà diventare il territorio di Lapio onirico e grande protagonista sulla scena mondiale.
Nel corso della degustazione, che ho avuto il grande piacere di condurre con il presidente dell’AIS Campania Tommaso Luongo, uno dei migliori palati d’Italia, coadiuvato dall’Ais di Avellino, è apparso chiaro ormai che questi discorsi non sono frutto di racconti visionari, ma progetti concreti che stanno crescendo sotto i nostri occhi e di cui soprattutto la nuova generazione di degustatori potrà godere.
Ed ecco il viaggio nel tempo. Mi affido alle note sulla prima delle due sessioni della bravissima Titti Casiello pubblicate su Cronache di Gusto.
(in corsivo alcune note mie)
Fiano di Avellino Elle 2018 – Laura de Vito
Questa azienda seguita da Vincenzo Mercurio parte con un progetto coerente che va proprio in questa direzione: il Fiano Elle è un blend di diversi vigneti, poi tre cru che escono dopo due anni.
Dal caramello salato alla frutta a polpa gialla. Il corredo olfattivo è pieno e luminoso quanto il suo palato, dotato di una materia mai scontata grazie ad una buona componente di acidità che cede spazio solo sul finale a un’appagante sensazione salina.
Fiano di Avellino Apiano 2016 – Angelo Silano
Ex Feudo Apiano, nella seconda degustazione ha presentato un Fiano alla maniera degli antichi puntano su un dolce frizzantino che i contadini usavano nelle feste.
I ricordi di frutta candita stanno a braccetto con quelli di erbe aromatiche e di lievi accenni balsamici. Il sorso riempie il palato imponendosi d’imperio sulle morbidezze senza mancare di una verve concessa, soprattutto in retronaso, da note piccanti di zenzero e limone.
Fiano della Stella 2012 – Joaquin
Oltre al Fiano della Stella, Raffaele Pagano ha piante a Lapio, entrambi giocati sui tempi lunghi.
Sbuffi di torba e di pietra focaia per un olfatto unito da venature salmastre e da sentori di albicocca. La scorrevolezza nel palato si concede, poi, in una chiosa fine e piacevole nel finale.
Fiano di Avellino 2011 – Tenuta Scuotto
Seguita da Angelo Valentino, questa azienda regala una totale affidabilità nel tempo. Al base aggiunge Oi Nì, lavorato in botti di stile alsaziano.
Iodato e vegetale in un sorso slanciato e lineare dalla buona persistenza sul finale.
Fiano di Avellino 2010 – Rocca del Principe
Annata simbolica, la prima che ha atteso un anno per entrare in commercio.
Era il 2004 quando Achille Zarella fonda a Lapio, in contrada Arianiello, la sua azienda. Al suo sesto imbottigliamento ne viene fuori un vino sartoriale dove la fattezza qualitativa sta in un naso accennato di fiori bianchi e anice. Fine ed elegante, quanto il sorso connotato da un andirivieni di sensazioni in un equilibrio sopraffine tra morbidezze e durezze. Tonicità e impeto. Standing Ovation
Fiano di Avellino 2008 – Filadoro
Apparso un po’ stanco nella prima seduta, in perfetta forma nella seconda.
Millefiori e cera invitano a un vino da fine pasto che al palato perde forza concedendosi a rimandi balsamici in retronaso.
Fiano di Avellino 2007 – Colli di Lapio Clelia Romano
Ad Arianiello la signora del Fiano, Clelia Romano, regala un calice magistrale tra radici di liquirizia, resina e note balsamiche dove acidità e gioia gustativa gli sottraggono almeno dieci anni dalla sua carta di identità. Standing Ovation
Fiano di Avellino 1989 – Nicola Romano
Il primo imbottigliamento di Fiano a Lapio, datato 1988, appartiene a questa famiglia. E nella sua seconda volta mostra le evoluzioni di chi supera ampliamente un trentennio e si concede alla meditazione. Quella stessa forma di riflessione sulle notevoli potenzialità del Fiano di Avellino e della sua necessità di essere maggiormente valorizzato. Zona per zona. Non saremo in Borgogna, infatti, sì siamo in Irpinia. Quanto c’è di meglio.
Fiano di Avellino CampoRe 2009 – Terredora Di Paolo
Un omaggio a Lucio Mastroberardino ha chiuso questo fantastico viaggio.
Naso alpino, ricco di note vegetali ed erbacee in un sorso di spessore, dotato, forse, di un eccessivo corpo e caratterizzato da una chiusura lunga e ammandorlata.
Luciano Pignataro