Lo ammetto. Confesso di avere iniziato a scrivere per condividere aromi sapori & co di questa Pale Ale californiana ora qui con me, una Stone Brewing, e delle sue strette parenti, che raramente riusciamo ad avere in Italia, e in caso a discapito della sua freschezza; negli Stati Uniti la permanenza sullo scaffale è breve al contrario del viaggio per arrivare da noi. Poi scrivendone mi sono resa conto che sarebbe stato necessario chiarire una serie di aspetti preliminari, aprendo una serie di vasi di pandora (anche se qui il fondo non avrebbe tenuto nascosta la speranza ma un bel dito di lieviti, tra i migliori al mondo) tra voli pindarici e altri approfondimenti. Così mi sono fermata, l’occasione per un sorso irrorante, e ho pensato alle persone con cui avrei condiviso queste riflessioni. Voi appassionati del buon bere, di gastronomia, di viaggi, di natura, di vita insomma…ma sostanzialmente, appassionati enoici. Il collo di bottiglia – è davvero il caso di dirlo – è stato: quanto gli appassionati di vino, sono effettivamente interessati ad un approccio conoscitivo verso la birra artigianale? E a che livello di approfondimento? Prendere nota dei due tre nomi assaggiati nel ristorante o nella pizzeria con un occhio al buon prodotto, magari presentati (troppo spesso con molte inesattezze e non da poco, ma ne ammiro comunque l’inserimento in menu) come accompagnamento ad un’offerta gastronomica di qualità, figlia dello Slow Food, del km. zero, del biologico, a volte – ahimè – delle mode, oppure potersi districare con più o meno destrezza tra i vari generi e stili?
Al momento è noto quanto il settore sia in crescita, con i suoi pro e contro: di frequente sento nominare birre spacciate per artigianali ma che godono in realtà solo di una buona diffusione pubblicitaria e della partecipazione a festival, oserei aggiungere neanche troppo provocatoriamente, da infiltrate. Inoltre proprio negli ultimissimi tempi le continue collaborazioni trasversali tra nomi talmente forti da essere ormai identificabili con la categoria cui appartengono, in una sorta di sineddoche del gusto (“Il Re della pizza a lievitazione naturale & il Pioniere dell’artigianalità brassicola“, “Il Tempio dell’italian food nel mondo & il Mastro birraio dell’Italia centrale” e via dicendo, con risultati più o meno genuini) non fanno altro che estendere il genere anche a chi passa di là quasi ignaro mangiando il suo panino (ma con pane di Altamura, tartufo d’Alba, parmigiano Reggiano, olio extravergine di oliva da spremitura meccanica, ecc). Ecco perché in questa variegata offerta, non così chiara ma molto appetibile, mi sento di gettare un paio di spunti per una riflessione comune, che una volta tanto, per quanto mi riguarda non coinvolga solo gli amanti del genere ma comunque qualcuno i cui sensi siano già bendisposti da sete di conoscenza. Senza entrare per il momento in dettagli fatti di nomi suggestivi (dalla Tripel alla Saison, dalla Scotch Ale alla Doppelbock, dalla Gueuze alla Imperial Stout), per rinfrescare un momento le conoscenze comuni, non posso evitare un fulmineo ripasso dell’ABC, anzi della B di Birra: al di là di tutte le possibili combinazioni, le prime tre grandi distinzioni vertono sul tipo di fermentazione: bassa, alta e spontanea (NB per maggiori dettagli potete far riferimento alla apposita sezione di Lavinium, chiedere informazioni alla sottoscritta e/o passare in birreria e cimentarvi in prove dirette sul campo).
La bassa è quella della grande tradizione tedesca. La birra, chiamata generalmente Lager (dal nome delle cantine che la accolgono per tradizione sin dal 1500, quando ai mastri birrai veniva chiesto di produrla in inverno e qui conservarla nei mesi estivi più caldi), impiega lieviti che si attivano a basse temperature per poi farli depositare al termine del processo sul fondo del tino. La più comune è la classica chiara, ma presenta poi una serie di stili che già per colore (dall’ambrato al rosso fino allo scuro) e sapore (più o meno maltato, affumicato, amaro, luppolato) ai conoscitori non avvezzi potrebbe rivelarsi come una piacevole ed inaspettata sorpresa…un’inevitabile quanto piacevole verità: esiste una birra per ognuno di noi! Alcuni nomi: la signora Pils, che si estende fino alle valli della Regione Ceca e che merita un discorso a parte, e poi la Bock, la Dunkel, La Keller, la Rauch (dall’essicazione dei malti su fiamma su legni di faggio, da cui il tipico aroma affumicato, per secoli di produzione esclusiva di Bamberga, ancora oggi, nonostante i tentativi di replica in pochi altri luoghi, la più rinomata), e via dicendo. Le Regioni regine (perdonate il divertissement linguistico): in Germania la Baviera e la Franconia, e la Boemia nella Repubblica Ceca.
L’alta fermentazione vede protagoniste la tradizione britannica con la Ale e la belga. La prima, è la birra base degli inglesi, poca schiuma e moderato contenuto alcolico, vanta anch’essa una serie di tipologie, dalla più comune Bitter Ale, più leggera, alla Pale Ale maggiormente luppolata, fino alla Indian Pale Ale, di generosa luppolatura creata in modo tale per essere inviata ad inizio secolo, alle truppe inglesi in India, affinché si conservasse durante il lungo viaggio. Le microbirrerie USA hanno contribuito a rivitalizzare molti tipi di ale inglesi (oltre alle stout), tra cui la brown ale e soprattutto le IPA. E poi, a caso tra molte: la Scotch Ale, di origini scozzesi e di distribuzione belga perché dal Paese in massa ordinata, la Barley Wine, chiamata anche “vin d’orzo” per la sua capacità di migliorare con l’invecchiamento, caratterizzata da un’assenza quasi totale di schiuma, aromi al naso complessi e variegati, una birra da meditazione. Tipicità delle birre belghe invece la rifermentazione in bottiglia: nomi come Dubbel, Tripel, Quadrupel, indicano il numero delle rifermentazioni subite. Colori? Una gamma che passa, ton sur ton, dall’oro, all’ambrato, al rosso al bruno. Il richiamo è alle birre anticamente prodotte nelle abbazie. Ricche e piene, in schiuma, gradazione, gusto. A tutt’oggi rimangono tra le favorite le trappiste, prodotte dai frati in poche abbazie del Belgio, e una in Olanda. Porter e Stout, invece, le scure ad alta fermentazione, sono strettamente legate, conosciute ai più grazie a Mr Guinness e alla sua storica stout in commercio, creata donando maggiore forza alla porter inglese, riuscendo a mantenere però un basso tenore alcolico, grazie all’aggiunta di orzo molto torrefatto e dunque poco fermentescibile, oltre a caramello, caffè o cioccolato. Fortunatamente molte sono le stout artigianali oltre alla più nota irlandese. Da provare un classico, la Russian Stout (Imperial Stout) inizialmente prodotta a Londra e destinata allo Zar (che in questo caso dimostrò un gusto brassicolo davvero degno di un re…che il re in questione fosse poi degno del suo ruolo, è tutta un’altra storia). Molto particolare è lo stile oyster stout: le tracce dell’abbinamento con le ostriche risalgono al 1800, citate già in alcuni scritti di Benjamin Disraeli. Nel 1929 ci fu il primo utilizzo delle ostriche nella produzione di birra, dapprima in Nuova Zelanda, poi imitato anche a Londra. Infine, ma solo per questo accenno brevissimo e incompleto, chiudiamo il cerchio passando dal nero al suo tono complementare, il bianco. Di birra bianca non parla nessuno, ma di Blanche, Wiezen e Weisse ne scendono a fiumi. Gli argini? In Francia, Belgio e Germania. Particolarità? L’utilizzo del frumento. Aspetto? Schiuma abbondante, sapore generalmente acidulo, aspetto opaco dato dal lievito che rimane in sospensione.
La fermentazione spontanea è propria di Pajottenland, la zona vicino Bruxelles così chiamata e caratterizzata in modo esclusivo da particolari lieviti che si trovano naturalmente nell’aria e che verranno a contatto con il mosto. In questa famiglia molto ampia troviamo il “Batteriomyces Bruxellensis” e “B. Lambicus”. Dal nome ha origine la celeberrima e squisita Lambic, ormai un marchio. La lambic, prodotta partendo da una miscela di orzo e frumento non maltato (che non può essere inferiore al 30/35%) è fatta da ottobre ad aprile, perché i lieviti, con le più alte temperature dell’estate, danno luogo a fermentazioni anomale. La birra prodotta durante l’inverno matura dopo la prima estate e può già essere bevuta come “prodotto giovane”, ma poiché la maturazione prosegue nel tempo la birra può essere lasciata maturare per una seconda o per una terza estate e si ottiene così un prodotto invecchiato. In una buona cantina una Gueuze può poi attendere anche per 25 anni e oltre. Aromi e sapori del tutto particolari, non si può non citare il detto locale secondo cui une vrai Gueuze doit puer…affermazione abbastanza chiara (ma non per questo perderò l’occasione di rendere anche la traduzione, secondo cui: una vera Gueuze deve puzzare!). Tra le più famose birre a fermentazione spontanea anche le fruttate Kriek, alla ciliegia, e le Framboise, ai lamponi. E proprio dal fondo della lista (non della bottiglia), inizia in genere la scoperta dei miei amici enologi, parlo per esperienza, prove applicate sul campo, insomma, il classico lavoro duro: degustazioni in piacevole compagnia e stimolanti chiacchiere tra un assaggio e l’altro. Proprio acidità e affinamento (anche nelle stesse botti in precedenza utilizzate per vini e distillati) sono infatti gli elementi che maggiormente attraggono gli amanti del vino. E spesso, in caso di primo approccio non posso che consigliare i due o tre nomi-garanzia-sinonimo-di-qualità: su tutte, ottima base di partenza, il centro di Bruxelles, proprio nello storico birrificio Cantillon, con la sua splendida produzione e contemporaneamente qualcosa di diverso, al di là della Manica, dai ragazzacci con cane di Brewdog, che di provocazione in provocazione, hanno trattato con humor scozzese allo stesso modo gli 1,1 gradi come i 32. Entrambi i nomi coinvolti al momento in interessanti novità. Ma per racconti e leggende di questi due birrifici, diversi per tradizione, tipologie, sapori, e anche comunicazione, rimando l’appuntamento di qualche giorno. Prometto storie di re sanguinari, santi bevitori, soldati assetati e boschi fatati…oltre a cantine, fantasma o meno, certamente con tanto orzo a fermentare! Nel frattempo perché non tentare qualche assaggio di approfondimento? P.S. miti a parte, pensateci per un attimo…io il sasso provo a lanciarlo: qual è il vostro approccio alla birra?
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