Khvanchkara Marani 2014 Telavi Wine cellar
Quando penso alla Georgia, a volte mi prende una certa commozione, perché questo Paese del Caucaso sembra lontano, ma è molto più vicino di quanto si creda. Si tratta della vera culla del vino, in cui ben 6.000 anni prima di Cristo si coltivava già la vitis vinifera e si produceva il vino. E non solo. La gente laggiù è di una cordialità eccezionale, forse proprio perché nella sua cultura il vino ha avuto un ruolo di primo piano per millenni.
Penso al primo Georgiano che ho incontrato nella mia vita a Prato Sesia in occasione di uno dei pranzi che l’indimenticabile sindaco Italo Rolando organizzava il 25 aprile di ogni anno al Castello. Era stato inviato in Valsesia durante la Resistenza contro il nazifascismo per istruire i partigiani alle tecniche più avanzate della guerriglia e c’era tornato quella volta per festeggiare con loro l’anniversario della Liberazione. Simpatico, cordiale e appassionato del buon vino come tutti i georgiani che ho incontrato in seguito, tra cui Liana e David Gamtsemlidze del ristorante Gaumarjos di Piaseczno presso Varsavia.
I Georgiani sanno che il Caucaso ha fatto da culla all’enologia e fin d’allora il vino costituisce uno degli elementi fondamentali della loro cultura, tanto che trattano le vigne come i propri figli e nipoti, come se appartenessero alla famiglia stretta.
In Georgia, adesso, si trovano però due tipologie di produzione del vino. La più antica prevede la semplice pigiatura delle uve, che sono versate subito nei kvevri, le tradizionali anfore d’argilla interrate in cui fermentano spontaneamente per dare vini rustici, senza ingerenze da parte dell’uomo, acquisendo uno stile focoso, un po’ piccante, speziato, ricco di aromi di frutti di bosco e tannini molto espressivi. La più moderna invece si basa sulla ricerca e sulla tecnologia, quindi dà vini più leggeri e più facili da bere.
In Georgia la regione vinicola più famosa e apprezzata è la Kachetia, in cui si trova la Valle del fiume Alazani, larga una ventina di km e lunga più di un centinaio, che si trova a un’altezza tra i 250 e i 650 metri s.l.m. ed è protetta dal monte Tsiv-Gomboni e dall’imponente catena del Caucaso che fa da frangivento a oltre 22.000 ettari vitati. I suoli sono alluvionali, fortemente scheletrici, di tipo argilloso su roccia calcarea.

Il clima è di transizione e va dal subtropicale umido al continentale, ma l’aria fredda che soffia dai ghiacciai del Caucaso giù per la valle forma un microclima ambientale con ampie oscillazioni termiche tra giorno e notte e garantisce quindi condizioni perfette per la maturazione delle uve. Telavi Wine Cellar è stata fondata qui nel 1915 fra le vigne di Kondoli ed è stata restituita a nuova vita nel 1997 da Zurab Ramazashvili che ha effettuato una ristrutturazione capitale e può contare sui 240 ettari di questa tenuta vitati con i tipici sistemi d’allevamento a inerbimento controllato e densità comprese tra 2.400 e 3.400 ceppi per ettaro, con rese d’uva inferiori a 90 quintali per ettaro, dove alleva anche circa un milione di barbatelle l’anno e ricava in proprio i lieviti naturali da usare in cantina.
Uve rosse per il 70% e uve bianche per il 30%. In maggior parte sono vitigni autoctoni rossi come saperavi e alexandreuli o bianchi come rkatsiteli, mtsvane e kisi, con qualche vitigno internazionale come merlot, malbec, cabernet sauvignon, chardonnay e riesling. L’azienda è diventata un valido esempio della nuova realtà enologica georgiana, modernizzandosi con presse pneumatiche, tini di acciaio inossidabile a controllo di temperatura, botti e barriques di rovere francese per la maturazione dei vini, microfiltrazione. Nonostante la tecnologia avanzata, però, rimane concentrata anche sullo stile tipico georgiano dei kvevri sepolti nel pavimento della grande cantina che si chiama appunto Marani. Il nuovo logo stilizza infatti un ragazzo che regge sotto le ascelle due diverse giare di vino, unendo la modernità e la gioventù alla tradizione e ai valori.
Un centinaio di medaglie d’oro e d’argento guadagnate nei concorsi internazionali hanno più che decuplicato la produzione (300.000 bottiglie l’anno nel 1997 dalla sola Kondoli; oltre 4,5 milioni oggi dai 450 ettari in totale in Georgia) che offre tredici vini a denominazione d’origine controllata, sedici a indicazione geografica tipica, più le riserve, i cru e i vini da tavola, tutti prodotti che non sono progettati a tavolino per scioccare il degustatore al primo attacco, ma che sono fatti con estrema semplicità e si bevono con piacere nella loro originalità e pulizia.
Vorrei raccomandarvi il vino preferito da Stalin, originario di quella terra, perché mi piace sempre di più ormai da dieci annate: il Kvanchkara della contigua regione Racha-Lechkhumi che nasce da un taglio alla pari di uve aleksandreuli e mujuretuli in una ristretta zona ben delimitata (SVA) sulla riva destra del fiume Rioni, dai suoli sabbiosi e pietrosi, cioè particolarmente poveri. Le uve sono raccolte molto mature e selezionate manualmente tra la fine d’ottobre e l’inizio di novembre, con rese tra i 60 e gli 80 quintali per ettaro.
Dopo la diraspatura e una pigiatura soffice, la macerazione e la fermentazione avvengono in serbatoi di acciaio inossidabile a temperature controllate tra 28 e 30 °C, con rimontaggi e sgrondature del cappello (delestage), ma quando si raggiunge il livello desiderato di zuccheri naturali residui, normalmente entro una settimana, si arresta la fermentazione con il raffreddamento, allo scopo di mantenere la naturale dolcezza e freschezza del vino. Successivamente il vino viene tenuto al freddo a circa 0 °C per conservare al massimo la naturale freschezza e l’ottima acidità insieme al tipico, leggero, residuo zuccherino (da 20 a 45 g/l).
Quello del 2014 è un vino di colore rosso rubino trasparente, fresco, dall’aroma di rosa selvatica, lampone, mora amarena, sigaro dolce, ibisco. In bocca ricorda anche le amarene sotto spirito, ma è vellutato, carezzevole, di tenore alcolico poco superiore all’11%. Se vede il cioccolato o i fichi secchi non riuscirete più a trattenerlo nel calice, ma sarebbe un vino da spiedini di carne con cipolla bianca cotti alla brace, accompagnati da confetture e passate di frutta infiocchettate con chicchi di melograno fresco, da carni d’agnello cotte in zuppa e servite con un bel cucchiaio di diavolicchio piccante fresco e tritato finemente. Il mio tamada georgiano consiglia di berlo quasi freddo, a 12 °C, ma forse per l’estate. Lo preferisco a temperature un po’ più su, intorno ai 16 °C.
Mario Crosta
Telavi Wine Cellar
Kurdgelauri, 2200 Telavi, GEORGIA
tel. +995.350.273707 e +995.350.236111, fax +995.350.276222
sito www.marani.co, e-mail marani@marani.co