I Sette Consoli a Orvieto: venti anni di ristorazione di qualità
Conosco Orvieto da una trentina d’anni o forse più, ricordo da ragazzo l’emozione che provai quando mi trovai di fronte la Cattedrale dell’Assunta, meglio conosciuta come Duomo di Orvieto, autentico capolavoro dell’architettura gotica inizialmente commissionato da Papa Niccolo IV, nel 1290, a Fra Bevignate da Perugia, su probabile disegno in stile romanico di Arnolfo di Cambio. Fu Giovanni Uguccione, pochi anni dopo, a dare le prime sembianze gotiche alla struttura, ulteriormente ampliate dallo scultore e capomastro Lorenzo Maitani ai primi del ‘300. E’ ovvio che in un contesto del genere, così difficile – non oso immaginare quale sia il costo degli affitti dei negozi – molti abbiano dovuto chiudere o adeguarsi abbassando il livello qualitativo dei prodotti. Mauro Stopponi e Anna Rita Simoncini lo sanno bene, venti anni di attività ininterrotta, dal 1992, ne hanno vista di gente, e non solo preoccupa questa situazione, ma fa male perché non si vedono spiragli. L’estate, che è il momento migliore dell’anno, è già finita, decisamente sotto tono, l’inverno si profila molto duro. E se I Sette Consoli non dovesse farcela sarebbe una grande perdita per la ristorazione, non solo regionale, ma di tutto il centro Italia. Ma anche se si scelgono le portate del menu non ci si discosta più di tanto da questa cifra. Mia moglie ed io, consapevoli dei nostri limiti di capienza, abbiamo preferito questa seconda soluzione, scegliendo tre portate ciascuno, dall’antipasto al dolce, saltando il secondo lei e il primo io. E abbiamo fatto bene perché ai Sette Consoli i clienti vengono ulteriormente “coccolati”, così nell’attesa delle portate ordinate, abbiamo potuto apprezzare una deliziosa frittella fatta con la pasta della pizza e ricoperta da una fetta di finocchiona proveniente dalla nota ►Macelleria Falorni di Greve in Chianti, semplicemente da leccarsi i baffi (solo i miei, sia chiaro!), a cui è seguita una gustosa parmigianina, piccole entrées che hanno subito stimolato il nostro appetito. Si parte con gli antipasti: “Fiori di zucca farciti di ricotta fresca e salsa di zucchine”, cotti alla perfezione (la base del fiore era quasi croccante) e con un ripieno abbondante e saporito, la qualità della ricotta era notevole; “Carpaccio di Porcini, Parmigiano e Balsamico“: qui si entra nel gusto personale, io ho molto apprezzato questi porcini poiché, essendo i primi della stagione, erano più delicati e meno selvatici, ideali per un carpaccio. Entriamo nel vivo con le “Mezzelune di pasta fresca ripiena di burrata e mozzarella, con filetti di pomodori San Marzano e basilico“: la presentazione potrebbe essere migliorabile, ma in quanto a gusto ci siamo assolutamente, nonostante la presenza della burrata il piatto risulta saporito ma equilibrato e non stanca affatto, anzi. La scelta del secondo non è stata facile, nel menu c’erano numerosi “concorrenti” interessanti, come la “Lombata di agnello” prevista nella proposta da 45 euro, il “Piccione in tegame profumato al Marsala“, il “Filetto di maialino arrostito avvolto nella pancetta“, “Pesce Rombo al forno con salsa di melanzane, pomodorini e dadini di melanzane fritti“, il Vitello Tonnato “secondo noi”, ma io non ho saputo resistere alla “Suprema di faraona farcita di funghi porcini alla mentuccia e crema di fagioli del Purgatorio“: il “fagiolo del Purgatorio” è originario probabilmente di Gradoli ed è legato all’antica tradizione del Mercoledì delle Ceneri che risale al XVII secolo, è piuttosto piccolo e bianco (più o meno lo stesso colore del “cannellino”), qui è stato proposto in forma di crema in fusione con la mentuccia e i funghi porcini, il risultato è davvero notevole e perfettamente in sintonia con la faraona. E per finire uno spazio per i dolci lo conserviamo sempre, e se non c’è lo forziamo! Intanto voglio sottolineare che tutte le portate hanno il prezzo di 7 euro, cosa che permette di scegliere senza preoccuparsi delle differenze economiche, così fra le sei alternative ci siamo orientati secondo curiosità e gusto, preferendo “Albicocche caramellate e gelato al Marsala” e “Cocottine con ganache di cioccolato fondente, una ai frutti di bosco e l’altra al frutto della passione“. Del primo dolce abbiamo apprezzato il gioco dei sensi provocato dall’incontro fra la parte appena asprigna dell’albicocca (determinata dalla buccia) con il caramello, che ben si completava con la gustosa pallina di gelato. Il secondo, diviso in tre cocottine in porcellana di forma quadrata, offriva spunti interessanti e differenziati: la mousse di cioccolato appena dolce si confrontava con la maracuja in forma di gelatina in uno scambio dolce-agro, al centro i frutti di bosco potevano essere apprezzati da soli o aggiunti alla terza cocottina; quest’ultima era quella dal gusto più intenso. La carta dei vini, infine, prevede un ampio spazio per le cantine umbre, senza per questo trascurare le altre regioni; buona anche la gamma degli Champagne. Ho scelto, pur sapendo che non poteva soddisfare piatti così differenti, un vino a me molto caro, sia perché apprezzo l’azienda che lo produce, sia perché ha davvero caratteristiche a me congeniali: l’Amphora 2006 di Castello di Lispida, un tocai in purezza fermentato con i lieviti propri dell’uva in anfore di terracotta sepolte, con follature giornaliere e nessun controllo della temperatura. La macerazione sulle bucce dura oltre sei mesi, a cui segue un affinamento per 14 mesi in dolia di terracotta. Niente stabilizzazione e niente filtrazione. Un vino splendido, prima annata nel 2001, in tempi in cui l’anfora non era ancora divenuta una moda, che si è abbinato molto bene con i fiori di zucca, le mezzelune e ancora meglio con la faraona. I Sette Consoli Pubblicato in contemporanea su |