Per i senesi e, ammettiamolo, soprattutto per l’industria dolciaria cittadina, il 2011 sarà un’annata da ricordare. Un anno-simbolo, come quel 1260 che segnò la storica vittoria sui fiorentini nella battaglia di Montaperti. Anche perché, se stavolta il trionfo ha una portata più burocratica e meno campale, gli avversari erano in parte gli stessi. E la lotta a colpi di carte bollate e di certificati non è stata meno cruenta. Stiamo parlando della cosiddetta “guerra del ricciarello“, una contesa che si trascinava dal 1996 e che era stata accanitamente combattuta sui campi di Firenze, Roma e Bruxelles fino a quando, nel 2010, l’Ue aveva riconosciuto giuste le pretese delle città del Palio e aveva conferito ai tipici dolci senesi a base di pasta di mandorle l’agognato bollino dell’Indicazione Geografica Protetta. Si è dovuto però aspettare il 28 ottobre scorso, con il completamento del protocollo di certificazione, per poter concretamente iniziare la commercializzazione del “Ricciarello di Siena Igp“. Che adesso, nell’imminenza delle feste natalizie, fa quindi il suo ingresso ufficiale sulle tavole degli italiani. In base al regolamento comunitario, d’ora in poi nessun dolce che porti quel nome potrà essere prodotto fuori dai confini provinciali e senza rispettare il rigido disciplinare di produzione approvato dall’Unione. E tanto meno potrà essere venduto con quel nome, ovviamente. Disco rosso insomma per i produttori fiorentini, pratesi e grossetani che da tempo sfornavano dolcetti aromatizzati alla mandorla, ma fatti senza utilizzare mandorle. Spacciandoli però per i ricciarelli che, nella ricetta 629 del suo famoso manuale, già l’Artusi specificava essere “di Siena“. Ovviamente, come sempre accade quando si parla di marchi e d’industria, non si tratta di una semplice questione di campanile. E non è un caso che la contesa abbia visto schierate compatte a fianco del comitato per l’Igp tutte le istituzioni senesi, dalla Fondazione Qualivita alla Provincia, dal Comune alla Camera di Commercio.
Le implicazioni sono ben altre e sono di tipo economico, turistico, identitario, propagandistico. Il Ricciarello di Siena Igp è ad esempio il primo dolce in Italia ad essere certificato e a prevedere un procedimento produttivo con materie prime garantite. Ed è la prima volta che il nome “Siena” viene protetto nell’ambito di un marchio a indicazione geografica. Un marchio attualmente utilizzato da sole quattro aziende, ma che potenzialmente potrebbe coprirne almeno una cinquantina. E il cui valore è stimato già oggi in svariati milioni di euro: “Il tutto in un momento storico in cui – sottolinea in proposito il segretario generale di Qualivita, Mauro Rosati – paesi a forte liquidità, come il Qatar, stanno specificamente investendo nel settore ingenti risorse per accaparrarsi nomi protetti, da spendere in futuro sul mercato globale“. Per garantire invece il rispetto delle norme di produzione, soprattutto in relazione alle materie prime utilizzate, è scesa in campo addirittura l’Università di Siena. Al centro del problema, come detto, le mandorle. La ricetta tradizionale, e quindi il disciplinare dell’Igp, prevedono infatti l’impiego esclusivo di mandorle dolci dal 30 al 50% e di mandorle amare fino al 6%. Un ingrediente costoso, che potrebbe però essere sostituito (come fino a ieri accadeva) ricorrendo alla molto più economica farina di armelline, cioè i semi del nocciolo dell’albicocca, o anche alle farine disoleate, cioè agli scarti di produzione dell’olio di mandorle. Con risultati, va da sé, qualitativamente assai inferiori. Una contraffazione che può essere smascherata solo attraverso l’analisi dei grassi presenti nei dolci, grazie a un sistema, unico in Italia, messo a punto dai ricercatori della Cogep, spin-off dell’ateneo senese, e basato sull’analisi del dna.
Tutto risolto, insomma? Sotto il profilo della cosiddetta qualità legale, senza dubbio sì: il prodotto è certificato, garantito, marchiato e controllato. Spiace tuttavia che sotto il profilo della qualità sostanziale, sotto quello insomma delle caratteristiche organolettiche (il Ricciarello di Siena Igp in fin dei conti è roba che si mangia: dovrà pur essere anche buono, fragrante, gradevole, etc. o no?) il ponderoso disciplinare non dia neppure un precetto, un’indicazione. Si limita a indicare forma, peso, dimensioni, aspetto esterno e interno, consistenza. Nulla di più. Che succederebbe, allora, nella pur paradossale ipotesi in cui, al momento del consumo, qualche prezioso dolcetto avesse sapore di pesce o profumo di lavanda, o fosse troppo amaro? Speriamo che qualcuno se ne ricordi, quando sarà il momento di stendere le norme di produzione di un altro tipicissimo dolce senese, nell’attesa che prima o poi venga vinta anche l’altra guerra, tuttora in corso, attorno al panforte: scoppiò prima di quella del ricciarello e la pratica fu avviata a Bruxelles già nel 2002. Ma i senesi sanno aspettare…
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