Natasha Noia, chef a domicilio per una cena perfetta tra le mura di casa
La presentazione della 67ªedizione della Guida Michelin tenutasi lo scorso novembre al Relais Franciacorta di Corte Franca non ha portato a grandi novità e stravolgimenti. Nessun nuovo tre stelle né passo del gambero fra chi, con fatica, aveva in precedenza raggiunto l’élite per il proprio locale con le ambite due o tre stelle.
Fra le new entry invece trentatré nuovi ristoranti, molti giovani, con sedici under 35, ma il dato che più salta agli occhi è che solo uno dei ristoranti premiati è guidato da una donna.
Il mondo della cucina è pieno di donne ricche di talento ma raramente sono in posizioni di comando. Se si pensa che gli uomini, oggi così osannati per la loro creatività e molte volte elevati al ruolo di autentiche star anche lontano dai fornelli, hanno molte volte ereditato la loro cultura e passione per la cucina dagli antichi sapori delle loro mamme e nonne, non si capisce come mai il business stellato del buon mangiare sia diventato una cosa quasi di loro esclusiva.
Certo una delle componenti che possono giocare un ruolo determinante è il fatto che la donna molte volte di trova a dover fare una scelta tra vita privata e vita lavorativa. Fare lo chef significa dedicarsi quasi a tempo pieno alla propria attività e per una donna il momento di diventare moglie e madre può rappresentare un bivio dove una scelta può essere quasi obbligata.
Sulle basi di questa premessa ho voluto conoscere il lavoro e le idee di una giovane ragazza che ha intrapreso la strada della ristorazione e che con passione e idee innovative sta cercando di guadagnarsi un suo spazio in questo mondo difficile ma che riesce anche a donarti notevoli soddisfazioni.
Natasha Noia, classe 1988, nata a Udine ma residente a Farra d’Isonzo in provincia di Gorizia, fin da bambina è stata attratta dal mondo della cucina e i suoi studi e le sue prime esperienze lavorative hanno seguito la strada che l’avrebbero portata a realizzare quella che da sempre era la sua passione.
Però nel perseguire questo suo sogno ha voluto uscire un po’ dagli schemi abituali e realizzare qualcosa di diverso e stimolante per il cliente che ama la buona cucina ed è pronto a mettersi in gioco.
È nata così “Chef Mobile di Natasha Noia” un progetto che ha voluto rompere gli schemi e invertire le parti, e dove Natasha porta il ristorante direttamente nelle case dei clienti che decidono di godere dei piaceri della buona cucina, trascorrendo una serata alternativa all’interno delle proprie mura di casa, per vivere un momento romantico o divertente assieme ai propri amici senza avere il pensiero di dover mettersi ai fornelli e pensare a un menù che possa far colpo.
Accanto a quella della ristorazione a domicilio, che è la parte principale della sua attività, Natasha offre anche servizi di consegne a domicilio, catering per eventi, consulenze ristorative e organizza corsi e lezioni private.
Per conoscere meglio la storia, le idee e i progetti di Natasha sono andato ad incontrarla e ho fatto una bella chiacchierata, dove oltre a parlare della sua attività e del mondo della ristorazione, abbiamo anche toccato argomenti personali che riguardano le sue passioni e la sua vita.
Dialogando con Natasha Noia
Natasha “La Chef Mobile”: ci racconti in breve come è nata questa tua idea imprenditoriale e quali sono i servizi che offri?
Ho lavorato per quattro anni come responsabile di cucina in un hotel della zona ma a un certo punto questo lavoro ha iniziato a starmi un po’ stretto perché era diventato troppo ripetitivo e non mi dava grosse emozioni, e quindi essendo stata io sempre molto intraprendente, ho deciso che dovevo fare qualcosa che mi permettesse di vivere tutte le mie giornate in modo diverso, o almeno non tutte in modo uguale. L’unica soluzione per far sì che ciò si verificasse era quello di mettersi in proprio e così sono partita con un piccolo furgoncino con il quale facevo i mercati per scegliere di persona le materie prime da utilizzare in cucina, e come si suol dire, da cosa nasce cosa e così qualcuno ha cominciato a chiedermi: “perché non vieni tu a cucinare a casa mia”? Da lì il passo successivo è stato quasi naturale. Sono riuscita così a unire le due cose che amo di più che sono il cucinare e lo stare sempre in movimento.
I servizi che offro sono molteplici e vanno dallo chef a domicilio, al rinfresco, al catering, al banqueting, pranzi per le aziende, consulenze e aiuto a colleghi, forniture per alimentari, macellerie, pescherie.
A che età hai iniziato a interessarti al mondo della cucina e qual è stato il tuo percorso professionale?
Ho iniziato a interessarmi a questo mondo fin da piccola. Mi ricordo che ritagliavo le ricette dalle confezioni della pasta ed ero molto interessata a tutto quello che riguardava il cucinare. Mio nonno aveva una pasticceria e quindi un po’ figlia d’arte lo sono e anche se non sono diventata una pasticciera sono cresciuta comunque nell’ambiente. Ho deciso poi di fare la scuola alberghiera e non ho mai smesso di fare qualcosa in questo settore. Ho fatto la vera gavetta, quella che ti raccontano aver fatto gli chef che ora sono oramai in pensione. Dall’età di quattordici anni ho iniziato a fare le prime stagioni lavorative, ho seguito tanti stage, corsi, e collaborato con chef che mi hanno da subito responsabilizzato.
Per fare questo lavoro ci vuole tanta passione e amore per quello che si sta facendo, ma sono innegabili anche gli innumerevoli sacrifici a cui si va incontro. Quali sono le cose a cui hai dovuto rinunciare per poter svolgere questa professione e comunque mettendo su una ipotetica bilancia, i sacrifici e le soddisfazioni, le seconde sono comunque sempre ampiamente predominanti?
Sono una donna che ha fatto molta gavetta in cucina e ha visto un po’ di cose che non gli sono piaciute ed è anche per questo che ho cercato di crearmi il mio spazio personale. Se devo dire a cosa ho rinunciato, sicuramente alla carriera, quella in cui in stile simil militare, cerchi di fare passo dopo passo la scalata per diventare uno chef stellato. Però in questo modo ho guadagnato il mio spazio e non ho nessuno che mi mette i piedi in testa, mi dà degli ordini su che cosa devo fare e quindi non penso di aver rinunciato a nulla perché tutto quello che ho fatto lo ho scelto io. Al massimo potrei dire di aver rinunciato da giovane a vivermi in pieno la mia adolescenza, ma non lo considero un grave problema.
Fare questo mestiere non è una passeggiata ma è un percorso molto duro perché il lavoro non si limita al cucinare: c’è il rapporto da avere con la gente, con le opinioni altrui che non sempre sono costruttive, con i vari gusti. Ti metti sempre in gioco perché la cucina è un’arte soggettiva e a me può piacere una determinata cosa ma a qualchedun altro magari no.
Quali sono gli ingredienti in cucina ai quali non rinunceresti mai e che sono in assoluto i tuoi preferiti?
Sicuramente le materie prime povere: patate, uova, farina, cipolle, le verdure in generale. Ho sempre cucinato di tutto, carne e pesce compresi, ma ho una leggera tendenza al vegetariano. Comunque, se potessi scegliere punterei solo su materie prime povere di base perché da lì poi puoi creare ogni cosa, con consistenze e gusti molto diversi visto che si prestano molto a questo. Fare un buon filetto è facile, lo è meno fare un crema di patate, un crumble, giocare con le consistenze, i colori, i gusti diversi.
Se ti menziono “L’Orto di Nonna Mimma” cosa mi puoi raccontare a tal riguardo?
Questo tuo riferimento mi ricorda mia nonna che non c’è più e la sua grande passione per la natura, per la coltivazione della terra. Queste sue passioni sono diventate col tempo anche le mie anche se per me sono difficili da conciliare con il lavoro causa il poco tempo libero a disposizione.
Ho a casa il mio orticello che ovviamente mi impegna maggiormente nel periodo estivo, e ho anche degli alberi da frutto. I ricordi più belli li ho di quando mia nonna, di origine calabrese, piccola e minuta, coltivava il suo orto lunghissimo, vestita di nero con la zappa più grande di lei. Mi ricordo la fatica che faceva lavorando sotto il sole, e mi è restata sempre in testa questa sua immagine. Come dimenticare però anche il frutto del suo lavoro, soprattutto la salsa fatta con i suoi pomodori, con gusti e sapori che erano indimenticabili. Autentiche emozioni.
Dal mio orto ottengo prodotti che poi uso anche in cucina, ma è un duro lavoro. Se dovessi farti una confessione mi piacerebbe vivere di questo, auto produrre l’essenziale, tornare al modo di vivere di una volta quando erano fondamentali solo i beni di prima necessità e si viveva con meno stress e tempi molto più lenti.
Nel tuo modo d’intendere la gastronomia cerchi di attingere anche dalle antiche tradizioni della tua terra, puntando a riproporre dei piatti tipici di Gorizia che, essendo terra di confine, risente molto delle contaminazioni gastronomiche della Slovenia, dall’Austria, dall’Est Europa in generale.
Quanto sono importanti per te queste influenze e quali sono i piatti che meglio identificano questo spirito mitteleuropeo?
Questa domanda mi fa tornare alla mente la puntata di Linea Verde su Rai1 alla quale ho partecipato cucinando piatti del territorio. Le nostre origini sono fondamentali, resti giocoforza influenzato dal luogo dove nasci e cresci, ed è giusto che sia così. Non so dirti un piatto specifico che identifichi tutto questo, ma deve nascere da un’idea che abbracci la tradizione, partire da un certo ingrediente per poi creare un qualcosa che mantenga i gusti e il ricordo di quelle buone cose che facevano le nostre nonne.
Il mondo della gastronomia è bello e affascinante, ma è inutile negare che a livello generale non sono tutte rose e fiori. Allevamenti intensivi di animali, mari iper sfruttati, uso di pesticidi e prodotti chimici nei campi, per non parlare delle tonnellate di cibo che ogni anno vengono gettate nella spazzatura. Cosa pensi a tal riguardo e come affronti queste tematiche nel tuo modo di cucinare?
Prediligo una cucina fatta di vegetali e derivati, e anche se non rinnego carne e pesce, dico che andrebbero consumati con parsimonia cercando di puntare sul poco ma di qualità evitando prodotti di massa e a basso costo, molte volte provenienti da allevamenti intensivi e iper sfruttati.
Il discorso sarebbe lungo da trattare, io nel mio piccolo cerco di scegliere la materia prima rispettando la stagionalità, senza sfruttare le varie filiere alla ricerca di prodotti fuori stagione che oltre a essere più costosi non hanno le caratteristiche di qualità ottimali.
Inoltre cerco di non sprecare il cibo, ad esempio dal pane vecchio possono venire fuori piatti straordinari. Se tutti nel nostro piccolo adottassimo questi piccoli comportamenti virtuosi sicuramente la situazione migliorerebbe.
“La cucina è di per sé scienza, sta al cuoco farla diventare arte”, diceva Gualtiero Marchesi. Quali sono i componenti fondamentali necessari per poter diventare un cuoco che possa essere al tempo stesso anche un po’ artista?
Passione, tanto studio, ricerca, apertura mentale, umiltà e carattere.
La parte principale del tuo lavoro ti porta a entrare nelle case e nelle cucine dei tuoi clienti, qualcuno oramai fidelizzato, ma molti che invece conosci per la prima volta. Come gestisci il rapporto con il cliente, di cui sei ospite perché entri nella sua casa, ma per cui rappresenti la figura fondamentale per la buona riuscita della serata che alla fine deve essere incentrata tutto sulla convivialità e la buona cucina?
Il fatto di entrare nelle case delle persone è una cosa che mi arricchisce molto perché mi possono capitare situazione di ogni genere, situazioni dinamiche per le quali è necessario un pizzico di follia, che modestamente è in parte presente nel mio DNA.
Mi è capitato ad esempio di preparare una cena senza avere a disposizione una cucina perché il cliente ha voluto fare una sorpresa alla sua dolce metà in una casa in fase di ristrutturazione, e così ho dovuto portarmi la mia piastra, mi sono allestita la mia mini cucina, ho portato un tavolino apparecchiato, con una bella candela a creare l’atmosfera.
Sono spesso complice di queste sorprese, comunque quando vado nelle case ho potuto constatare che più o meno abbiamo tutti delle cucine impostate allo stesso modo, dove nei vari cassetti trovo quasi sempre quella certa cosa che vado cercando, insomma riesco ad orientarmi e cavarmela senza grossi problemi.
Quando entro in una casa chiedo un paio di cose e poi dico al cliente che può’ sedersi e non deve preoccuparsi più di nulla perché da quel momento sarà compito mio rendere tutto efficiente e magico. Quando la serata finisce, pulisco e riordino tutto in modo da ripresentare la situazione che ho trovato all’arrivo, forse anche migliore in alcuni casi.
Cerco di mettere la persona completamente a proprio agio nonostante la presenza di un estraneo in casa, e la cosa funziona sempre quando c’è rispetto ed educazione reciproca.
La 67ª edizione della guida Michelin ha assegnato per quest’anno all’Italia 33 nuove stelle ma è evidente la stonatura che ha visto Solaika Marrocco del Primo Restaurant a Lecce, unica chef donna premiata. Non si possono accusare sicuramente di sessismo o imparzialità i giudici della massima istituzione culinaria, ma secondo te perché ancora oggi è difficile immaginare una donna alla guida di un ristorante stellato?
Credo che la donna in cucina sia una figura che è stata sempre presente nella storia famigliare, ma principalmente all’interno delle proprie mura casalinghe. Quello doveva essere il suo posto esclusivo ma in realtà non è così. Conosco un sacco di donne chef bravissime alla guida di ristoranti più o meno stellati che hanno grandi attributi. L’immagine che ho io è di una donna che lavora, si fa un grande mazzo (volendo usare un francesismo) e che non ha il tempo di curare e sviluppare la sua immagine mediatica come fanno tanti uomini. La donna poi si può trovare nel corso della sua carriera professionale a dover fare una scelta quando diventa moglie e poi madre perché le priorità e il tempo a disposizione cambiano di molto.
Nel mio caso, avendo una figlia, ho sempre pensato che aprire un’attività in proprio mi avrebbe dato l’opportunità di gestire meglio le varie situazioni, anche perché fare carriera come dipendente è molto più difficile che non farlo da imprenditrice. Ribadisco comunque che ci sono tante donne brave che hanno un sacco di cose da dire e da esprimere, ed è un peccato che molte rimangano invece nelle retrovie.
Siamo nel 2022 e quindi molti argomenti non dovrebbero essere più dei tabù e invece le polemiche e le ipocrisie a cui si è assistito nel corso della discussione in Parlamento, con relativo affossamento dell’ormai famoso DDL ZAN, dimostrano come solo di facciata l’Italia sia un paese evoluto e dalla mentalità aperta.
Nonostante la tua giovane età, tu sei stata all’avanguardia non solo per quanto riguarda il mondo dell’enogastronomia ma anche per le scelte di vita che, in nome dell’amore, sono andate al di là di ogni facile pregiudizio, “provincialotto” e oramai fuori luogo.
Da una relazione con un’altra ragazza, in giovane età hai avuto una figlia, Ottavia, ottenuta grazie all’ovodonazione. Nel 2017 ti sei unita in matrimonio con un’altra ragazza, celebrazione che si è svolta con rito wicca, la cosiddetta “religione della natura” che si ispira al neopaganesimo.
Ci vuoi raccontare qualcosa di questi splendidi abbinamenti, frutto di una semplice ricetta che si chiama amore?
Diciamo che le cose sono cambiate per quel che riguarda la mia unione, perché come può normalmente accadere in tutte le coppie, la nostra relazione è terminata. Mi fa piacere comunque parlare della mia vita privata perché, anche se magari può non interessare a tutti, è importante raccontare la mia normalità, uguale alla vita di ognuno di noi, anche se abbiamo tutti le proprie diverse tonalità di colore nel modo in cui viviamo le nostre vite quotidiane.
Penso che ognuno è libero di fare quello che vuole purché non superi quella linea di rispetto alla base del vivere civile. Se tutti avessimo un po’ di più rispetto per l’altro, ma anche per noi stessi, non avremo tutti questi problemi.
Ho avuto una figlia, Ottavia, nata grazie all’ovodonazione nella relazione con la mia precedente compagna. Siamo dovute andare in Spagna perché in Italia non era permesso. Anche qui potrebbe aprirsi una infinita discussione sul fatto se due madri, due padri possano essere la soluzione ideale, ma il mio pensiero è che quando un bimbo è amato e si sente in un ambiente sicuro e protetto, questo rappresenta la sola cosa importante.
Io non ho fatto una scelta, potendolo fare avrei magari potuto prendere altre direzioni che magari mi avrebbero incasinato meno la vita, ma il fatto è che non posso scegliere, perché questa è la mia natura e non posso andare contro di essa.
Soprattutto in Italia siamo molto chiusi su questi argomenti e c’è troppo bigottismo, molte volte di facciata, quando sarebbe invece più giusto avere delle regole e delle leggi a tutela anche dei rapporti non etero visto che come tutti i cittadini produco reddito, pago le tasse e quindi accanto ai doveri sarebbe giusto avere anche gli stessi diritti.
Quali sono stati i tuoi maestri e c’è uno chef, fra quelli maggiormente famosi, che ami e a cui ti ispiri?
Ogni chef con cui ho lavorato mi ha dato qualcosa. Dalla piccola lezione di tecnica, al modo di organizzarmi, a come creare un piatto. Oggi c’è più di qualche chef che mi ispira per come interpreta la cucina, e fra questi sicuramente in primis Viviana Varese, napoletana ma con il ristorante a Milano, che ha una concezione della cucina molto vicina al mio ideale, e poi Carlo Cracco con cui ho condiviso un piccolo pezzo della mia vita partecipando a Hell’s Kitchen e dove ho visto di persona cosa vuol dire preparare un piatto completo di livello stellato, che caratteristiche dovrebbe avere e come crearlo prima di tutto nella propria testa per poi poterlo riprodurre.
Qual è il tuo piatto preferito e a questo punto abbiniamoci anche il tuo vino preferito.
Mi piace fare l’accostamento cibo e vino ma non c’è un piatto in particolare e un abbinamento particolare che rappresentino il mio ideale. Mi piace trovare l’accostamento provando a cucinare un qualcosa che ho in testa e abbinarlo a un certo vino che potrebbe sposarsi bene, o fare anche il percorso opposto, sentire come si fondano assieme al palato e se il vino riesce a tenere il ritmo sensoriale della portata o viceversa. Non so darti dei nomi in particolare ma è una sfida che faccio spesso anche nelle collaborazioni che ho con qualche cantina.
Ritorniamo a scuola con un bel tema di italiano: in poche parole descrivi che cos’è per te la cucina.
Il mio modo di esprimermi.
C’è un sogno nel cassetto che vorresti realizzare e che progetti hai in serbo per il futuro?
C’è più di un sogno nel cassetto ma non so se rimarranno al suo interno o si potranno realizzare.
Ho tanti progetti per il futuro ma devo capire se sono realizzabili e se ha senso in questo momento portarli avanti. Il periodo che stiamo attraversando mi ha portato a una serie di valutazioni se sia opportuno spingere sul pedale dell’acceleratore o se sarebbe meglio rallentare un pochino e riflettere.
Stefano Cergolj