Fattoi: un Rosso di Montalcino 2017 che ha convinto anche mio figlio
L’eccezionale calura dello scorso luglio, che ha superato tutti i record registrati nella storia della Toscana, mi ha spinto ad andare a verificare le condizioni delle vigne di Montalcino più basse e più esposte allo scirocco infuocato e all’afa della bassa valle dell’Orcia, disposte a fagiolo nel quadrante di sud-ovest da Piancornello a Camigliano, memore di un 2017 che ha fatto particolarmente soffrire tutti quanti sul posto per giornate intere oltre i 40 gradi perfino su al Museo del Brunello che pure sta in altura a 510 metri. Laggiù, invece, alcune vendemmie di sangiovese erano addirittura cominciate e finite a fine agosto, cosa mai vista, per temperature ancora più alte di 3 o 4 gradi, come mi raccontava la Daniela, impegnata nel suo lavoro quotidiano a tempo parziale a fare la spola tra il borgo di Podernovi su ai Barbi e la Pieve di Santa Restituta, tanto che la perdita di produzione in alcune aziende è arrivata perfino al 40% e in molti casi anche la durata delle fermentazioni alcoliche di alcuni mosti si era incredibilmente dimezzata.

Ovviamente non mi sono recato nelle grandi aziende come Banfi, Argiano e Col d’Orcia, dove si è sempre ben accolti dai manager delle public relations ma risulta impossibile parlare con i vignaioli di lunga esperienza. Salendo per la provinciale 117, La Maremmana, mi sono piuttosto inerpicato volentieri sulla carrabile che sale verso il Poggio Caserone nei boschi che arieggiano La Villa e il Leccio Tondo tra il fosso delle Raunate e il fosso del Trecolle. Per fortuna ero con la famiglia, perché ogni volta che ritorno da solo nell’incantevole località di Santa Restituta mi prende come un incantesimo e devo rallentare al minimo, quando non mi fermo a tutti gli angoli per poter scendere dall’automobile a contemplare il paesaggio e a respirare la Storia. Si tratta, infatti, di un luogo suggestivo che è stato protagonista di un momento storico di estrema importanza già intorno all’anno 550 dell’era cristiana, quando la Pieve era sorta, come testimonia un documento scritto del 650 e conservato nell’Archivio Capitolare di Arezzo che mette in evidenza la situazione storica fino a cento anni prima, con le terribili violenze anticattoliche della prima invasione dei Longobardi, barbari di fede ariana.
Sotto il regno di Rotari, dopo 70 anni in cui nella diocesi di Siena non c’era più stato nemmeno il vescovo, era cominciato il processo irreversibile della fusione di vincitori e vinti e la risoluzione della vertenza tra le diocesi di Siena e di Arezzo sull’appartenenza di ben 5 pievi esistenti prima delle incursioni di Narsete, tra cui quella di Santa Restituta che risultava già gestita dalla diocesi di Arezzo, perciò non era di origine altomedioevale, ma paleocristiana, quindi era precedente alla costruzione della cattedrale di Sant’Antimo e del primo castello di Montalcino e aveva assistito al tramonto dell’impero romano e alla nascita dei primi Comuni d’Italia.
La strada poderale è quella che porta, per intenderci, a Caprili dei Bartolommei, a Case Basse del veronese Soldera recentemente scomparso, a Pieve Santa Restituta di Angelo Gaja, a Máté degli omonimi ungheresi e alla fine dalla famiglia Fattoi. Ofelio Fattoi, che ancora oggi è sempre al lavoro nelle vigne e negli oliveti con il suo pick-up bianco, è il capostipite di questa azienda famigliare di vignaioli ilcinesi che ha affidato alla conduzione dai suoi figli Leonardo e Lamberto con il valido sostegno della nipote Lucia. Ofelio non è un nobile senese, non è un imprenditore venuto qui a investire, ma discende da una famiglia di contadini ed è uno dei “grandi vecchi” della vitivinicoltura di Montalcino, quelli che hanno avuto i coraggio di costruire l’economia del Brunello e riscattare il territorio dall’abbandono e dalla miseria della metà degli anni ’60.
Il padre era fattore e lui mezzadro presso la più estesa tenuta agricola di Montalcino con l’imponente castello medioevale di Poggio alle Mura, 2.830 ettari strappati nel 1983 a prezzi irrisori dai fratelli Harry e John Mariani. Gli americani erano subentrati così nella tenuta di questo imprenditore di grande carattere che l’aveva acquistata nel 1959, ma che in vita non si sarebbe mai separato da questa proprietà che da sola era in grado di produrre il doppio di tutte le altre di Montalcino messe insieme. Dopo l’abolizione per legge della mezzadria nel 1964, Ofelio non si lasciò sfuggire l’occasione di acquistare il podere Capanna dalla famiglia Castelli Martinozzi che vi ha lasciato dei maiali.

L’acquisto risale al 1965 e di vigna allora ce n’era ben poca, solo qualche filare sparso intorno a un allevamento di maiali che stavano morendo per denutrizione. I primi anni sono stati molto duri e l’impianto delle viti è avvenuto in due momenti con molti sacrifici e tante fatiche. Il primo mezzo ettaro nel 1966, poi 1 ettaro nel 1974, 1 altro nel 1977 (la vigna della ceppa, la più vecchia dell’azienda) e 1 altro ancora nel 1987 (la vigna delle tane al posto di un oliveto distrutto dalla gelata del 1985. Ma il vino in quegli anni era venduto sfuso e solo con l’annata 1979 lo hanno imbottigliato con una propria etichetta. La maggior parte delle vigne è stata poi reimpiantata nel 1987 e oggi, a causa dei rimpiazzi delle fallanze, l’età media dei ceppi si aggira sui 15 anni.
La coltivazione è a cordone speronato libero con una densità fino a 4.166 piante per ettaro, tutte acquistate dal vivaio francese Guillame con preferenza per i cloni a grappolo leggermente spargolo (come da Angelo Gaja), che su questi terreni di conglomerati poligenici con intercalazioni di sabbia, argilla e brecce di origine pliocenica sono più resistenti all’umidità e concentrano meglio in modo naturale il colore e le sostanze nutrienti. Intorno alla cantina i suoli sono più sciolti e sabbiosi, ma scendendo diventano più sassosi con un po’ di galestro e in basso più cretosi con qualche striscia tufacea. Nell’Eocene questo altopiano costituiva il fondo del mare e durante il suo ritiro ne era diventato una spiaggia, perciò oggi ha caratteristiche pedoclimatiche più omogenee rispetto al resto del territorio di Montalcino che è contraddistinto da 5 aree climatiche e variegato da 7 tipi di suoli tormentati dall’antica attività vulcanica del Monte Amiata. Le terre hanno una consistenza così fine che si sciolgono quando piove violentemente in questa zona, tanto che il fiume Orcia diventa subito di color terracotta.
Oggi il Brunello dei Fattoi è sicuramente tra i migliori perché proviene appunto da gente che questa terra la conosce forse meglio di chiunque altro. Sono vini orgogliosamente artigianali, genuini, di grande carattere e struttura, di fedeltà assoluta ai canoni stilistici classici del territorio. Gli ettari di superficie aziendale sono 70, di cui una trentina a bosco, quasi un’altra trentina a cereali e 3 a oliveto con 300 piante secolari di olivastro e altre 500 piante più giovani delle varietà correggiolo, moraiolo e leccino, da cui le olive si raccolgono sempre a mano per quella molitura a freddo che le trasforma in un olio extravergine di oliva dalle caratteristiche uniche.
Gli ettari a vite, come mi ha fatto annotare Lucia, sono diventati 11,5 e tutti con piante soltanto di sangiovese grosso, di cui circa 8 a Brunello di Montalcino e 2 a Rosso di Montalcino. Le vigne si trovano a circa 300 metri di altitudine in posizione aperta alle brezze e ai venti provenienti dal vicino mar Tirreno (distante solo 30 km), che consentono una maturazione ottimale delle uve. Anche la potatura, la selezione e la vendemmia delle uve sono fatte a mano. La raccolta normalmente si fa all’inizio di ottobre con trasporto veloce dei grappoli alla cantina in piccoli cassoni. Il Brunello di Montalcino, il Rosso di Montalcino e la Riserva vengono da cloni di sangiovese piantati a cordone speronato con densità di 4.166 ceppi per ettaro su suoli di sabbie e argille plioceniche.
Le uve sono vendemmiate normalmente all’inizio di ottobre con raccolta manuale, trasportate in piccoli cassoni e diraspo-pigiate. Fermentazione alcolica in acciaio inox con macerazione da 15 a 20 giorni a una temperatura compresa tra i 25 e i 28 °C. Anche la malolattica si completa in acciaio inox, dove rimane dopo svinatura, sgrondatura delle vinacce, sfecciatura e inizio dell’affinamento in acciaio tra marzo e maggio. Si dedica molta attenzione ai travasi, con un costante monitoraggio dello stato dei vini nelle botti e un ricorso minimo alla solfitazione in caso di necessità per evitare lo sviluppo delle volatili. Tra le scelte adottate c’è anche il rifiuto della filtrazione, che si effettua soltanto a maglie grosse e solamente in fase d’imbottigliamento.
La cantina è stata ristrutturata e riavviata dal 2012 con criteri moderni per una capacità di almeno 900 ettolitri e per una produzione media di 80.000 bottiglie l’anno, infatti adesso è molto più ariosa e spaziosa. In tutto conta circa 500 metri quadrati, con la sala di vinificazione in 300, la bottaia di maturazione in 150 e il resto per i servizi igienici e la saletta di degustazione, arredata con buon gusto nello stile semplice delle grandi cucine toscane. Se penso che qui si possono accogliere in visita fino a 50 persone (il piazzale è grande, la strada poderale è abbastanza ampia per piccoli autobus, ma è sempre meglio telefonare, prenotare e ascoltare i consigli per scegliere i mezzi adatti) devo proprio fare i complimenti a Lucia che parla correntemente alcune lingue, ma si fa capire soprattutto con gli occhi e l’espressione del viso. Ed è in questa saletta tutta campagnola che possiamo degustare quei vini che m’incuriosivano di più.
Rosso di Montalcino 2017
Proviene da uve delle vigne più fresche, che hanno dato vini più fruttati e succosi. Forse soltanto dal ”bariccia” se ne trova uno così buono, intrigante, sensuale: sembra un… ”BrunelIino”! Mi è sorto perfino il dubbio che si fossero sbagliati a mettere l’etichetta. In generale su tutto il territorio di Montalcino il caldo è stato molto presente durante il periodo di maturazione delle uve e secondo il mio modesto parere i vini prodotti in quest’annata sono sicuramente più vocati a un consumo immediato che all’invecchiamento nelle cantinette di casa. Però, come ci ha detto Lucia e come posso confermare dopo l’assaggio, in questo Rosso di Montalcino 2017 ciò che fa la differenza è la zona in cui si trovano le vigne dei Fattoi. Questo altopiano è ampio e il suo territorio è costituito da terreni ben drenati su pendii aperti e ventilati.
La maturazione avviene in parte in acciaio e in parte in botti di rovere e l’affinamento in bottiglia dura almeno 3 mesi. Tenore alcolico: 14%. Il vino ha sì un colore rubino pieno, cioè più scuro e più denso di quanto mi aspettassi, e sinceramente sono ancora indeciso se consigliare di lasciarlo ancora a lungo nella cantinetta di casa. Forse non avrebbe molto senso, perché adesso è bello succulento, quasi quasi si… mangia. A mio figlio Michele, che di solito è molto critico con tutti i vini di Montalcino, è piaciuto molto e questo riempirà di soddisfazione i Fattoi che si sono impegnati a farlo anche con un 25% in meno di uve. Ma questa reazione di un giovane di 22 anni che studia bioingegneria mi rende particolarmente felice, perché ne abbiamo parlato tanto durante le degustazioni di altri vini rossi fatte in coppia. Michele preferisce il fruttato croccante che supera l’attacco amaricante del primo sorso piacevolmente amarognolo, apprezza piuttosto i tannini levigati, morbidi, le acidità piacevoli e fini.
Ho notato che molti altri giovani hanno gli stessi gusti e si trovano in difficoltà davanti a un vino muscolare, di potenza eccezionale, di austera acidità ed estratto (frutto cioè della generosità del sole, della terra e del vitigno più che del sapiente intervento del genio umano), ma prediligono quello che ha richiesto un quid ulteriore dell’impegno fisico e mentale dell’uomo, un miracolo dell’ingegno enologico per superare le difficoltà naturali di un’annata “diversa”, un vino più pronto e immediatamente piacevole. È un rosso consistente, polputo, si godono aromi di ciliegia matura, amarena, mora di rovo, humus, radice di rabarbaro e quelle sensualissime nuances che ogni innamorato trova nel sapore dei baci e del corpo della propria donna.
Brunello di Montalcino 2014
Una vendemmia complicata da un’estate piovosa e fredda, che ricorda quelle tra la fine degli anni ’70 e i primi anni ’80, quando le vendemmia si protraevano a lungo e i grappoli raccolti a settembre tra un acquazzone e l’altro si portavano in cantina per farli asciugare dalla pioggia fino all’ultima decade di ottobre. Come ho scritto nell’articolo precedente, l’annata 2014 ha impegnato al massimo il genio degli esperti vignaioli e degli enologi che sono stati capaci di volgere in positivo le avversità atmosferiche e i risultati sono stati confortanti. La rigorosa selezione dei grappoli delle uve più sane e la vinificazione con estrazioni più delicate sono state fondamentali per ottenere un’elevata acidità delle uve e l’uniformità della maturazione, anche se lenta, che hanno prodotto vini non muscolari, ma molto equilibrati, magari non adatti a un lunghissimo invecchiamento, ma consigliati per un consumo piacevole già nel primo lustro dall’imbottigliamento e perciò la vendemmia 2014 si è meritata ufficialmente le 3 stelle dal Consorzio.
A questo Brunello, però, non posso far altro che battere le mani. Merita gli applausi per la freschezza, la beva pronta e morbida e un rispetto per il gran lavoro che l’ha prodotto. Sono capaci tutti di fare vini rossi eccellenti nelle annate da 5 stelle, basta non fargli dei danni in cantina e accompagnarlo a completarsi. Il Brunello di Montalcino 2014 Fattoi è stato più il frutto del genio del vignaiolo e dell’enologo, un rosso di buona struttura e intensità che è maturato per oltre 5 anni di cui perlomeno 3 in botti di rovere di Slavonia da 40 hl e in tonneaux di rovere francese da 350 litri, quindi si è affinato per almeno 4 mesi in bottiglia.
Il vino ha un colore limpido rosso rubino intenso, con riflessi granati. All’attacco, un po’ ruspante, una nota iodata che introduce un bouquet di marasca e ribes rosso, petali di rosa appassita, foglie di leccio, macchia mediterranea. Scalda la bocca con note di frutta rossa amaricante dalla mela alle ciliegie nere, mostra una bella pulizia, è bel vino onesto, non eccede in tannino, è corposo e sapido. Diciamo una versione più mediterranea del Brunello classico, con un finale asciutto, agrumato, leggermente speziato. Tenore alcolico: 14%.
Brunello di Montalcino Riserva 2012
Super vino! Non c’era tempo, ma da come si è meravigliosamente evoluto nel calice credo che sia meglio aprirlo in anticipo e lasciarlo ossigenare con calma. Queste sono le Riserve di Brunello di Montalcino che prediligo, fatte in modo classico, storico, tipico e solo nelle annate che lo meritano. Un vero gioiello enologico. È maturato per oltre 6 anni di cui perlomeno 3 in botti di rovere da 40 hl e in tonneaux di rovere francese, quindi si è affinato in bottiglia per almeno 6 mesi. Di colore rubino luminoso con riflessi granati, si avverte subito l’ottimo andamento dell’annata, che è una delle migliori di sempre, ha una marcia in più. La Riserva del 2012 possiede tutte le doti necessarie per poter sfidare il tempo senza cedere un millimetro e riserverà ottime soddisfazioni per qualche lustro, evolvendosi ancora, anche se già adesso è perfetta, esemplare, gustosa. Ha dei toni che scaldano subito, all’attacco con la rosa appassita e la viola che introducono un bouquet molto ricco di ciliegia nera, mora di rovo, anice stellato, sottobosco e foglie di leccio. In bocca conferma l’essenza degli aromi con una pulizia olfattiva eccezionale, il fruttato è maturo, l’estratto è notevole, il tannino è carezzevole e avvolgente, l’acidità è semplicemente affascinante. Un soffio di goudron e un finale agrumato, balsamico e leggermente speziato. A buon intenditore, poche parole!
Mario Crosta
Fattoi Ofelio & Figli
Podere Capanna 101/C in località Santa Restituta,
traversa della S.P. 117 La Maremmana, 53024 Montalcino (SI)
tel. 0577.848613, fax 0577.846680
coordinate GPS: lat. 43.008295 N, long. 11.449508 E
sito www.fattoi.it
e-mail: info@fattoi.it