La montagna, coi suoi boschi e le pergole di pampini tesi nel vuoto, sta già riposando quando arrivo, mentre giù la valle è ancora animata, all’inizio di questo fine settimana. Qua c’è solo il rumore degli alberi mossi dalla brezza notturna che corre lungo il fiume: un’aria intensa e delicata. «Il dio Bacco che si insediò vincente lungo l’Adige e nelle vallate laterali, tanto che nei secoli la viticoltura sopravvisse anche dopo l’Editto di Diocleziano che imponeva l’estirpo dei vigneti. La difesa fu attuata nei piccoli borghi rurali, soprattutto per le deroghe che i Vescovi, Sacerdoti della Nuova Religione, accordavano con la “regolamentazione della economia montana ed agraria”. Come può sfuggire il carattere anche sacro di questa coltivazione?» No, non può sfuggire, specie se ripenso alle parole del professor Calò mentre il sabato sono vicino alla chiesetta di San Michele, a Mazzon. Riesco a camminare in queste vigne, finalmente: provare a capirne l’identità ritrovata più volte al Concorso e fra i suoi vincitori. Poco prima infatti, a Castel d’Enna, sopra Montagna, sono stati proclamati i vincitori di quest’edizione. 1° Cantina Produttori Cornaiano – Kellerei Girlan, Pinot Nero Riserva “Trattmann”; 2° Cantina San Michele Appiano, Pinot Nero “Sanct Valentin”; 3° Cantina Merano, Pinot Nero Riserva “Zeno”. Questi i risultati del tredicesimo Concorso nazionale del Pinot nero, a cui hanno partecipato circa 80 vini da tutt’Italia, con grande prevalenza altoatesina e trentina, ça va sans dire. E anche i vincitori sono quasi sempre provenienti dalle colline attorno la Valle dell’Adige. Con qualche divagazione che ogni tanto vede comparire fra i primi dieci qualche outsider, come per quest’anno Segni di Langa, ovviamente piemontese, e magari a volte anche vincere, tanto che in passato i premi sono andati anche a vini prodotti molto lontano da qui.
Scendiamo a Mazzon, quindi, dopo la premiazione e un piacevole ristoro con i sapori di questa terra di confine tra cultura italiana e germanica, preparato da Gretl am see. A guidarci è Ferruccio Carlotto, uno dei più bravi interpreti di questo vigneto. Ferruccio è di origini venete – ma questo lo saprò solo dopo, intanto avverto solo qualcosa di famigliare, che non trovo nelle persone di cultura più fortemente altoatesina – e la sua famiglia coltiva a mezzadria dal 1940 il maso Schlosshof, una delle prime zone di Mazzon a vedere del Pinot nero. Dal 2000, assieme alla figlia Michela, Carlotto ha iniziato a vinificare e vendere il proprio vino, che riporta in etichetta semplicemente “Filari di Mazzòn”. Camminiamo tra le vigne dietro la chiesetta, cercando di conoscere dal vivo il significato di parole come “terra”, “esposizione”, “ventilazione”. Che forse è tutto quel che sta racchiuso, assieme al legame profondo con un patrimonio ampelografico definito e alla cultura dei vignaioli, nel concetto di terroir. Il pinot ha trovato sin da subito in Mazzon una terra perfetta, tanto che se le segnalazioni delle prime barbatelle di Blauburgunder in Sud Tirolo risalgono al 1838, e la prima traccia di un Borgogna rosso proveniente da Mazzon risale appena al 1868. In quegli anni erano qui prodotti circa 500 hl di vino rosso, e di questi un quarto era pinot nero; un secolo dopo la superficie vitata della collina era intorno ai 20 ettari, e nel giro di questi 40 anni è più che raddoppiata, sfiorando ormai i 50. Ma perché è una collina così vocata al nobile vitigno? È protetta dal vento del nord, perfettamente esposta invece ad accogliere l’Ora del Garda, riceve la giusta illuminazione che, sempre a causa all’orografia delle montagne che la circondano, si accompagna a grandi escursioni termiche. La terra è un caleidoscopio mineralogico, dove le costanti sono il calcare, la tessitura e lo scheletro. Ma meritano un approfondimento, queste terre di Mazzon, e prima o poi arriverà. Magari con un confronto con le vigne sopra Salorno, beneficiate da una simile orografia e altrettanto pedologicamente polimorfiche. Ma il terroir di Mazzon, quindi come si riflette sui vini? Minerale e fruttato, con un tannino molto fine, ecco come dovrebbe essere un Mazzon.
Basterà aspettare la domenica, per l’apertura nel pomeriggio dei banchi d’assaggio. È la sedicesima edizione delle Giornate del Pinot nero, e anche quest’anno i vini – tutti annata 2011 – presenti sono davvero tanti: 49 altoatesini, 15 trentini, 15 dal resto d’Italia, una decina di francesi, dove è ben rappresentata la Bourgogne da una decina di village, e poi ancora Stati Uniti, Nuova Zelanda e tutti i territori che si confrontano con il vitigno. Giù ad Egna quindi avrò modo di fare conoscenza con i Pinot nero di Mazzon. Sono cinque i vini presenti, e rappresentano la quasi totalità della produzione di questo cru.
Azienda agricola Ferruccio Carlotto, Pinot nero Filari di Mazzòn Colore scarico e brillante, pinotteggiante. È molto fine, timido nell’esprimersi. Si apre su sentori fumosi e di carne, quasi ematici. Bocca molto lineare e precisa, soprattutto la componente polifenolica dove il legno non si fa avvertire. Chiude su ricordi di ciliegia e cioccolata.
Brunnenhof des Kurt Rottensteiner, Blauburgunder Riserva Colore brillante e leggermente più intenso. Al profumo esprime sentori di frutta matura, tra la ciliegia e la fragola in confettura. In bocca è setoso, con un ricordo di cioccolata che rende anche la percezione del corpo più densa, consistente.
Kellerei Girlan, Pinot Noir Riserva Trattmann Colore molto scarico, rubino brillante. Confermo l’impressione avuta al Castel d’Enna, quando era possibile assaggiare già i primi dieci del Concorso. È un vino molto giovane, potente ma soprattutto eccessivamente dominato dal legno, anche se l’impressione è che qui ai banchi il frutto e l’eleganza tipica del vitigno provino a uscire. A questo proposito, ho provato assieme ad altri a mettere in discussione i primi arrivati, e così abbiamo assaggiato anche il secondo e il terzo.
Kellerei St. Michael Eppan, Blauburgunder Sanct Valentin Si presenta di un bel rubino tenue ma vivace. È molto lento nel far emergere i primi sentori chiari, che sembrano vegetali, di un vino ancora “crudo”: mi viene in mente l’immagine di una siepe di caprifoglio, in fiore. Sottile è anche l’aggettivo per riunire le sensazioni gustative. Si avverte sul finale un ricordo di legno.
Kellerei Meran Burggräfler, Blauburgunder Riserva Zeno Rubino scarico. Cioccolato e sentori ematici che diventano sempre più ferrosi. In bocca è molto potente, sia per la componente alcolica, che per il residuo zuccherino percepibile. La parte polifenolica sembra già ben maturata, e infatti complessivamente il vino è elegante, chiudendo su sentori tostati, da mandorlato.
Nals Magreid, Pinot noir Mazzon Colore sempre molto tenue. L’impatto è spiazzante: vernice, pennarello. Lo assaggio, e in bocca mostra un tannino molto crudo, asciugante, forse eredità del passaggio in legno, che ritorna anche nei profumi, dopo un po’ balsamici e su note di tostato.
Weingut Gottardi, Blauburgunder Mazzon Profumi vegetali che si mescolano a note animalesche. Si avverte l’alcolicità al naso, pur non essendo tra le più alte. Al gusto invece si rivela tipicamente Mazzon, con il tannino che si percepisce sempre nella stessa zona della bocca. Il finale è un po’ caldo.
Torniamo a Mazzon. E a quel pomeriggio con Carlotto. Arriva anche l’Ora, puntuale e intensa. Merito dell’ufficio stampa, ovviamente! Battute a parte, un ringraziamento a Laura Sbalchiero è d’obbligo: precisa e brava come sempre. Possiamo dedicare, prima della verticale prevista per il sabato pomeriggio, un po’ di tempo in silenzio, a goderci l’Ora davanti la chiesetta, e intanto a guardare in valle il frenetico brulicare di uomini sulle strade. Mentre quassù sembra tutto fermo e scosso dal vento. E poi lo sguardo sale lungo i vigneti sull’altro versante, di là del fiume e fin su, al bordo del bosco, sotto i primi alberi. Si vede Caldaro, si vedono i frutteti, e si sentono qua e là trattori di vignaioli preoccupati per la pioggia di domenica. Da dentro la chiesa duecentesca anche Sant’Urbano, raffigurato con il grappolo in mano, dice una preghiera. La montagna, coi suoi boschi e le file ordinate di Burgunderrebe con i germogli tesi verso il cielo, ti pone di fronte a dei limiti, con i quali è sempre bello confrontarsi. E ti fa ritrovare il tuo posto nelle cose.
Giornate del Pinot nero 2014: Sanct Valentin e Baden, le verticali Le Giornate del Pinot nero non sono solo assaggi e concorsi, ma ogni anno riservano qualche sorpresa. E spero che abbiate colto l’invito lanciato l’anno scorso a salire in questi due paesini lungo la valle dell’Adige, Montagna ed Egna – Mazzon è giusto là sopra, e nascosto fra i boschi, un po’ più su, anche il Castello – dove si svolge quest’importante appuntamento dedicato al nobile vitigno francese. Peter Dipoli, fine conoscitore di vigne e di vini, è il deus ex machina della manifestazione. Tradurrà la presentazione della seconda verticale, ma in realtà lavora moltissimo dietro le quinte al Concorso, all’organizzazione dell’evento, al reperimento delle etichette estere, al momento di confronto tecnico. In merito al Concorso, dice “come l’obiettivo non sia quello di premiare un ottimo vino rosso, quanto piuttosto di individuare fra tutti i concorrenti, che si confrontavano quest’anno per l’annata 2011, l’interpretazione di questo vitigno che più riesce a cogliere la caratteristica che ne fa un mito per tutti, produttori e appassionati: la capacità di esprimere il terroir di elezione.” Un accenno all’incontro tecnico del lunedì mattina: l’anno scorso i cloni, quest’anno la Borgogna. Territori, tecniche viticole ed enologiche. Spetta all’enologo Pierre Millemann, consulente di alcune importanti realtà vitivinicole di Borgogna e d’Italia, il compito di raccontare cosa significhi lavorare con il Pinot nero nella sua terra natia e forse davvero eletta. Ma il compito forse più arduo spetta a Patrick Uccelli (Tenuta Dornach, Salorno): tradurre dal tedesco all’italiano concetti di gestione della parete fogliare, lavorazioni del terreno o effetti delle macerazione sui polisaccaridi derivanti dall’uva o sui polifenoli in base alla localizzazione! Bravi entrambi per l’interessante mattinata. Facendo più di un passo indietro, ieri ero rimasto a Mazzon, prima di scendere alla verticale di Sanct Valentin (secondo arrivato, per inciso) con l’enologo Hans Terzer, considerato uno dei più qualificati della regione. Il “suo” Sanct Valentin è un Pinot frutto dell’unione di diversi vigneti, tutti nei dintorni di San Michele Appiano. Il nome mi porta alla memoria l’Arciduca Giovanni che poté continuare i suoi studi e la sua conoscenza agricola (viticola e frutticola soprattutto) nella tenuta St. Valentin di Appiano ceduta al figlio Francesco, conte di Merano dall’Imperatore nel 1844. L’Arciduca Giovanni è stato uno dei personaggi cardine del rinnovamento agricolo della provincia a fine Ottocento, ma ci vorrebbe troppo tempo per parlarne, e quindi mi limito a segnalare l’interessante →articolo comparso nel blog di Armin Kobler, che tra l’altro è anche l'”inventore” del metodo utilizzato al Concorso per classificare i vini.
Ma torniamo alla verticale. Partiamo con un piede nel secolo scorso (il Novecento, eh!).
Blauburgunder Sanct Valentin 1999 Rubino con unghia granata. L’impatto è su note ossidative, miele e olive in salamoia. Evolve su toni fumosi e “polverosi”, facendo poi lentamente uscire note fresche di bosso e frutta rossa. Al gusto si presenta compatto, corale, con un tannino vivo e una grande eleganza. Il guizzo fresco sparisce in favore di toni balsamici di liquirizia, macerati, caramella mou. Annata calda con un autunno piovoso.
Blauburgunder Sanct Valentin 2001 Rubino mattonato. Sentori di sottobosco, fungo che diventano di bosso e asfalto. In bocca segue le orme del predecessore, senza però gli aspetti decadenti e ossidativi del ’99. La chiusura è di caramello, erbe balsamiche, amaro d’erbe. Annata calda anche questa.
Blauburgunder Sanct Valentin 2002 Rubino mattonato, molto tenue. Polveroso al naso, con una nota di acetone che diventa di frutta macerata. In bocca ripresenta una sensazione di ossidazione, rimanendo monodimensionale. Annata considerata eccezionale per i bianchi.
Blauburgunder Sanct Valentin 2003 Tonalità ancora mattone nel calice, più compatto stavolta. Esplosivo: frutta rossa matura, erbe macerate, liquirizia, menta. In bocca il tannino è ancora asciugante, pur trovandosi ben equilibrato. Vendemmia precoce, in agosto. E forse anche il vino è precoce: racconta tutto subito, ed evolve poco. Ecco l’unica pecca.
Blauburgunder Sanct Valentin 2007 Rubino vivace, maturo. Spezia, tabacco, legno. Il frutto maturo appare dopo un po’, rimanendo comunque un po’ nascosto. In bocca è balsamico, tannino vivace, e già ben integrato. È un anno di svolta: si aggiungono altri vigneti, cambia l’uso del legno e anche il controllo delle vinificazioni (soprattutto per le temperature). Annata asciutta, con un periodo piovoso prima della vendemmia.
Blauburgunder Sanct Valentin 2009 Rubino più brillante, ma sempre molto tenue. L’impatto è speziato, disturbato un po’ dall’alcol, ma presto sostituito da fiori ed erbe secche. Un naso che va spegnendosi lentamente, mentre in bocca è perfetto: croccante, dinamico, leggero. Ha subito una macerazione a freddo, e l’affinamento è stato condotto in barrique e in parte tonneaux.
Blauburgunder Sanct Valentin 2010 Rubino brillante. L’impatto è fumoso, carnoso. Emerge la nota fruttata lentamente. In bocca invece si rivela equilibrato, “dolce” come l’avrebbero voluto Babo e Mach: tannino piacevole e “senza” acidità. Annata difficile per le piogge, ha visto la vinificazione metà in barrique, metà in tonneaux.
Blauburgunder Sanct Valentin 2011 Rubino con unghia quasi violacea. I profumi sono freschi, vegetali, quasi “crudi”: fiori primaverili, erba verde. Si slegano un po’ i sentori boisé, che col tempo forse si integreranno. In bocca è “stretto”: presente l’acidità, asciugante il tannino nel finale, avrà bisogno ancora di tempo.
Blauburgunder Sanct Valentin 2007 Privat-Reserve Colore compatto e denso, con unghia rubina. Profumi densi di carne, legno, terra, frutta sotto spirito. La bocca è intensa, possente, con un finale di liquirizia che lascia freschezza e invoglia a tornare sul vino. Deriva da un vigneto di nuova (in quell’anno) acquisizione. Era malridotto, e le rese furono bassissime, da Grand Cru borgognone, per questo si decise la vinificazione separata. Poche le bottiglie ancora rimaste, per un vino che si discosta forse dalla soave personalità del Pinot nero. Domenica mattina mi aspetta il Baden. La regione è a sud-ovest della Germania: tre zone individuate da tipologie di suoli, oltre 15.000 ha di cui un terzo a Pinot nero (praticamente come tutto l’Alto Adige).
Ecco in due parole il Burgunder-paradise. Abbiamo assaggiato quindici vini, diverse annate, diverse cantine (private e sociali), il tutto con la traduzione di Peter Dipoli; ma non riuscirei a trasmettere nulla di significativo di una zona così sconosciuta per me (e farvi un’altra cronaca mi sembra sadico). Mi limito a dire che questo percorso alla scoperta dei Pinot nero internazionali (l’anno scorso i Grigioni svizzeri) è davvero interessante, ben fatto e apre una finestra oltre i nostri confini (fisici, mentali, culturali). E vi rinnovo il consiglio di salire lungo l’Adige, l’anno prossimo, a maggio. E scoprire, in un piccolo paesino, il mondo raccontato dal Blauburgunder. Con la sua buccia sottile, i suoi capricci, i suoi acini intensamente scuri: pone di fronte ai propri limiti il viticoltore, tanto quanto con l’agricoltore fa la montagna, con i suoi tempi, i suoi spazi, e il silenzio nel guardare dall’alto la valle frenetica.
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