Grani antichi? Grani italiani? Facciamo un poco di chiarezza
Stimolante, interessante ed estremamente attuale il tema dibattuto lo scorso 25 gennaio in occasione della tavola rotonda sul tema “Il grano che cresce“, organizzata dal team Mediterranean Cooking Congress presso il Pasta Bar Leonessa, all’Interporto di Nola.
Negli ultimi anni si è fatta sempre più confusione, disinformando piuttosto che formando il consumatore, basti pensare ai cosiddetti Grani antichi, tanto declamati, ma se ci soffermiamo a riflettere è anche piuttosto improprio definirli in tal modo, visto che si tratta di varietà riprese dagli anni Cinquanta del secolo scorso, derivanti da un loro miglioramento genetico; ne è di esempio il Senatore Cappelli, ottenuto attraverso una serie di incroci successivi di semi diversi che avevano come obiettivo il miglioramento della varietà Rieti, da parte di Nazareno Strampelli. Non va però trascurato che tra questi grani ci sono anche varietà coltivate da secoli, come il Gentil Rosso. Sarebbe quindi più idoneo parlare di grani tradizionali, le cui caratteristiche genetiche derivano dall’ambiente e dal clima in cui vengono coltivati.
Il dibattito è stato brillantemente moderato dal giornalista Michele Armano e ha visto la partecipazione di figure diverse: Paolo Masi, Ordinario di Ingegneria dei Processi Alimentari dell’Università Federico II, è stato il primo a prendere la parola e ha fatto chiarezza sugli aspetti tecnologici da tenere presenti nel caso della produzione della pasta, partendo naturalmente dal grano come materia indispensabile per la produzione di questo alimento.
Molto importante anche il contributo di Antonio Pellegrino, presidente di Terre di Resilienza, cooperativa cilentana, fondata nel 2012 e impegnata in attività di agricoltura sociale ed ecoturismo con il comune di Morigerati, che si occupa di varie attività tra cui quelle rivolte al recupero di tradizionali pratiche rurali. Antonio prima di tutto ha messo in luce il come siamo continuamente bombardati da messaggi mediatici imprecisi e confusionari e successivamente ha raccontato come la cooperativa Terre di Resilienza si sta muovendo per promuovere e ripristinare la coltivazione delle varietà territoriali presenti. Punto di forza della cooperativa è stato quello di costruire la “Cumparete“, una vera e propria rete di relazioni socio-culturali incentrata sui rapporti di collaborazione e condivisione interpersonale, da cui è successivamente derivato il “Monte Frumentario“, un progetto di sviluppo agricolo per la costruzione di un’economia locale, basata sulla produzione e la trasformazione di varietà di grano autoctone, riprendendo una pratica antica risalente alla fine del XV secolo.
Più che un ritornare alla terra, il concetto è ripartire dalla terra. Da qui ha poi raccontato e descritto l’evento del Palio del Grano, da lui promosso insieme ad altri “compari” nel luglio del 2005 a Caselle in Pittari, un’operazione che parte dalla memoria e che oggi è diventato strumento di vera aggregazione. Una grande festa di comunità da cui nel 2008 è nata la biblioteca del grano che oggi ha 84 varietà preindustriali. La festa non è il consumo alla festa, ma la preparazione alla festa, un fenomeno importante, da cui è derivata anche la nascita di terre di resilienza che da sei mesi ad oggi ha il suo mulino con macina a pietra.
Molto importanti anche i contributi dei due produttori di pasta. Massimo Mancini, titolare dell’omonimo Pastificio Agricolo di Monte San Pietrangeli, in provincia di Fermo, ha descritto la sua realtà aziendale, sottolineando la garanzia di tracciabilità del suo prodotto e l’assenza di residui chimici, certificata da costanti analisi di laboratorio. Per la produzione della sua pasta usa solo varietà coltivate nei suoi campi, che sono state scelte seguendo specifici criteri agronomici. Si è quindi cercato di affrontare anche il discorso sui grani coltivati in Italia e su quelli provenienti dai paesi stranieri, primo fra tutti il Canada. Anche Oscar Leonessa, del Pastificio Artigianale Leonessa, dopo aver descritto alcuni aspetti della sua storia aziendale e della nascita del progetto Pasta bar come nuovo concept gastronomico capace di coniugare diverse tipologie di servizio, il tutto contraddistinto da un uso di prodotti di qualità serviti con informalità, ha ripreso la tematica della scelta dei grani per la produzione della pasta.
Al termine della discussione è emerso che non esiste una zona geografica, estera o italiana dove il grano è migliore, ma che la differenza è nelle tecniche di coltivazione; va detto però che in Italia, soprattutto grazie alle normative che ne regolamentano la produzione, il grano prodotto dà senza dubbio molte più garanzie di qualità.
Ne è un esempio il decreto n. 113552/2017 del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 17 agosto 2017, che è entrato in vigore il 17 febbraio scorso e stabilisce che:
– sull’etichetta della pasta debbano essere riportate le diciture “Paese di coltivazione del grano” (per il luogo in cui è stato coltivato il grano duro), e “Paese di molitura” (seguito dal nome del Paese nel quale è stata ottenuta la semola di grano duro);
– qualora i grani siano stati coltivati in più Paesi e le semole siano state ottenute in più Paesi, per indicare il luogo in cui la singola operazione è stata effettuata, possono essere utilizzate le diciture “UE”, “non UE”, “UE e non UE”;
– tuttavia, nel caso in cui venga utilizzato un grano coltivato per almeno il 50 per cento in un singolo Paese, per indicare il luogo in cui lo stesso è stato coltivato, è previsto l’utilizzo della dicitura “nome del Paese” nel quale è stato coltivato almeno il cinquanta per cento del grano duro “e altri Paesi”: ‘UE’, ‘non UE’, ‘UE e non UE'”, a seconda dell’origine.
Si tratta di un decreto promulgato per garantire maggiore trasparenza nell’indicazione dell’origine di grano e pasta, per questioni legate al rispetto degli standard di sicurezza alimentare, in particolare per la pasta e il riso.
Prima di assaporare il gusto della pasta, ulteriore contributo sulle virtù di questo alimento è stato quello di Antonio Dipino, titolare del ristorante stellato “La Caravella” di Amalfi, con oltre 50 anni di attività, e stella Michelin già nel 1969, tra le dieci più antiche di Europa, che ne ha rimarcato la sua importanza in menù, come alimento distintivo della nostra cucina e da sempre richiesto soprattutto dal cliente straniero.
Al termine della conferenza è seguita una degustazione di spaghetti, preparati in modi diversi dallo chef stellato Vincenzo Guarino, del ristorante Il Pievano di Gaiole in Chianti. Lo chef è partito dalla classica frittata ed è arrivato ai due piatti di pasta, il primo dove lo spaghetto Mancini ha incontrato il pomodoro fresco e basilico; il secondo, dove un classico aglio, olio e peperoncino ha visto come co-protagonista lo spaghetto del pastificio Leonessa.
Non poteva poi mancare una dolce declinazione, fresca e delicata, un gelato preparato con latte di bufala, riduzione di succo d’arancia, guarnito con spaghetti soffiati, davvero convincente.
Si è quindi cercato di fare maggiore chiarezza verso uno degli alimenti più importanti della nostra alimentazione, smontando la cattiva comunicazione che non fa che confondere il consumatore.