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I Quarant’anni del Consorzio del Brunello di Montalcino: un grande evento…oppure no?

 

Locandina Quarantennale del Consorzio Brunello di MontalcinoLa notizia che venerdì 27 aprile, nel Centro Convegni, il Consorzio del Vino Brunello di Montalcino avrebbe festeggiato il suo Quarantennale, presentando ai giornalisti un cospicuo e attraente numero di vini, offerti dai produttori, che attraversavano un ideale percorso storico ed evolutivo a rappresentare il meglio, la crema di un territorio storico conosciuto a livello mondiale come quello ilcinese, non poteva che suscitare in me forte entusiasmo e grandi aspettative. Un arco temporale che abbracciava il trentennio 1967-1997, durante il quale si sono avvicendate molteplici nuove realtà vitivinicole e le conoscenze e le nuove tecnologie hanno apportato sensibili mutamenti nel modo di fare vino, pertanto era lecito aspettarsi un interessante confronto di stili e di epoche via via più distanti fra loro. Ero molto emozionato, sinceramente. Nel pomeriggio era poi previsto un convegno-dibattito dal titolo “Brunello di Montalcino: centoventi anni di storia, quarant’anni di denominazione, strategie per il futuro”, al quale non ho potuto purtroppo partecipare a causa di una galoppante influenza che mi ha costretto ad abbandonare il campo (e gli amici) a malincuore, e consentito di scrivere e pubblicare il mio pensiero solo oggi.

Voglio quindi soffermarmi sulla degustazione, evento che a mio avviso ha rappresentato per certi versi un’occasione persa, non gestito con convinzione e determinazione, almeno quanto io mi sarei aspettato trattandosi di qualcosa di unico e certamente non ripetibile se non fra altri dieci anni. Le ragioni di questa mia affermazione sono molteplici. Il panel previsto di giornalisti partecipanti era a numero chiuso, cinquanta, e basta. E fin qui nulla da dire, è un numero più che sufficiente se ben rappresentato. Ma, vista l’importanza che l’evento, primo nella storia del Consorzio dove venisse proposta una retrospettiva di assaggi di questo livello, sembrava avere, era lecito aspettarsi la presenza dei più noti e influenti comunicatori del mondo enogastronomico e dei rappresentanti delle riviste e guide più importanti di settore nazionale e internazionale. Così non è stato, se non in modesta parte. Ricordo la presenza di Gigi Brozzoni, Carlo Macchi, Andrea Gabbrielli, Franco Ziliani, Antonio Paolini, Emanuele Pellucci, Francesco Arrigoni, Leonardo Romanelli, Fabio Cimmino, Gianpaolo Di Gangi, Rocco Lettieri, Riccardo Viscardi, Franco Pallini, Andrea Cappelli, Othmar Kiem, Kerin O’Keefe, Daniel Thomases, Monica Larner, ma mi sarei aspettato anche di vedere (e mi domando perché non c’erano) Ernesto Gentili, Fabio Rizzari, Daniele Cernilli, Paolo Massobrio, Andreas März, Sandro Sangiorgi, Cesare Pillon, Pierluigi Gorgoni, Kyle Phillips, solo per citarne alcuni, e numerosi giornalisti esteri frequentatori assidui di Montalcino che in questa occasione erano stranamente assenti. Altro fatto che mi ha lasciato perplesso è stata la totale assenza dei produttori e la limitata rappresentanza di vini proposti in degustazione. Perché nessun produttore ha ritenuto opportuno essere presente alla degustazione e pochissimi hanno partecipato al successivo dibattito? E perché, da quanto ha riferito il Consorzio, è stata lasciata “mano libera” alle aziende di inviare o meno uno o più campioni di vino rappresentativi? Dando per scontato che tutti i produttori sono stati avvisati, non potevano mancare all’appello aziende come Case Basse (Soldera non li manda mai, mi hanno detto, ma alla premiazione di Giulio Gambelli avvenuta a Poggibonsi poche settimane fa, il suo eccellente Brunello Riserva 2001 era a disposizione dei presenti!), Lisini, Il Poggione, Capanna, Casanova di Neri, Altesino, Cerbaiona, Mastrojanni, Fuligni, Caprili, Poggio di Sotto, Pieve Santa Restituta ecc. Insomma, troppi grandi assenti per un evento che meritava a pieno diritto una fitta partecipazione.

Il risultato finale è una rappresentanza di 47 vini provenienti da 40 aziende (sette delle quali hanno inviato 2 vini), come espressione delle seguenti annate: 1997 (12 vini), 1996 (1), 1995 (6), 1993 (2), 1992 (1), 1991 (1), 1990 (7), 1988 (2), 1987 (1), 1985 (2), 1982 (1), 1979 (3), 1978 (1), 1977 (1), 1976 (1), 1975 (1), 1970 (1), 1968 (1), 1967 (1) e come extra 1964 (1). Nel ponte che va dal 1997 al 1967. Mancano quindi ben 12 annate, in particolare è inspiegabile l’assenza di vini per le tre annate che avevano ricevuto una valutazione di 4 stelle (ottima), ovvero 1980, 1983 e 1994, mentre fra quelle presentate ce n’è una addirittura insufficiente (1 stella), la 1976. E’ chiaro che se, come ci ha riferito il direttore del Consorzio Stefano Campatelli, è stata data carta bianca ai produttori di scegliere se e con quali annate partecipare, il risultato è stato piuttosto disomogeneo e insufficiente, e non ci ha permesso di valutare in modo chiaro e completo tutto il periodo.
Probabilmente l’evento, assolutamente nuovo, è stato preso un po’ sotto gamba, non si è capito che poteva rappresentare qualcosa di davvero importante e utile se organizzato nei minimi particolari. Era necessario selezionare con cura i vini, assicurarsi che quelli disponibili fossero tutti privi di difetti (cosa che non è stato), in condizioni ideali per essere assaggiati, che le aziende partecipassero in modo più vigoroso e in gran numero, coprendo la maggior parte delle annate ed evitando, a meno di clamorose rivelazioni, quelle che si sapevano non meritevoli di rappresentare uno dei più famosi vini al mondo.

D‘altro canto c’è da dire che la degustazione, presentata dal bravissimo enologo Vittorio Fiore, è stata comunque stimolante e ha dato luogo a parecchi spunti di riflessione. Personalmente ho avuto conferma dai 12 vini assaggiati dell’annata 1997, che questa non è stata così indimenticabile e straordinaria, tanto da meritarsi 5 stelle e l’incoronazione ad annata del secolo (scorso), tutt’altro. Tutti i Brunello, chi più chi meno, erano caratterizzati da note terziarie spiccate, speziature spinte a discapito di un frutto stanco e maturo, non sorretto da buona acidità, e da tannini ancora scomposti, in alcuni casi verdi e fortemente asciuganti, tratti che dopo dieci anni non ci si poteva aspettare da una “grandissima” annata. Le migliori (non eccezionali) risposte sono arrivate, a mio avviso, dai Brunello di Uccelliera, Ciacci Piccolomini e Il Colle, e in seconda battuta la riserva della Tenuta di Collosorbo. Meglio è andata la 1990: dei 7 campioni presentati hanno ben figurato Poggio Antico con una Riserva dai richiami addirittura salmastri, Ferrero, il cui vino mi è parso ancora vivo, equilibrato, non grintosissimo ma assai godibile,  Marchesato degli Aleramici con una Riserva che è progredita nel calice in maniera impressionante con il passare dei minuti. Per quanto riguarda la 1995, non c’è stata storia con il Vigna Spuntali dei Temimenti Angelini, a mio avviso una spanna sopra gli altri; molto bene il Pian delle Vigne 1996, unico campione di un’annata non eccelsa (3 stelle), dal naso fine e composito, con fiori passiti e frutti di bosco in primo piano, bocca fresca e corrispondente. Indubbiamente ben fatto La Casa 1993 di Caparzo, moderno, non nelle mie corde, ma non posso che ammetterne la perfetta esecuzione e la grande bevibilità. Grande impressione mi ha fatto Il Paradiso di Manfredi con la versione 1985, ancora pervasa da una ciliegia e una prugna quasi croccanti, tabacco pregiato e fiori passiti, ancora tanta vitalità. Anche Salvioni ha presentato un ottimo 1985, fitto, sontuoso, sapido, complesso, lungo. Splendido il 1979 di Villa Poggio Salvi, già nel colore granato luminosissimo, profumi eleganti e succoso al gusto, molto persistente. Non sbaglia un colpo Col d’Orcia che ha presentato la Riserva della stessa annata, ancora vivace e fresca, complessa, pulitissima. Validi sia il 1979 che il 1977 di Argiano, il primo forse un po’ vegetale, ma ancora con bei toni floreali e una bocca vibrante, il secondo dal naso molto bello, con note di sottobosco, funghi, fiori secchi e frutta composita. Dalle annate più vecchie ancora le maggiori soddisfazioni: Silvio Nardi ci regala un ottimo 1968 (solo 3 stelle sulla carta), certamente evoluto al naso su toni affumicati ma in bocca si presenta ricco di nerbo, tutt’altro che in fase discendente, profondo e lungo. La Riserva 1967 di Costanti è uno dei vini che mi ha più coinvolto, fra l’altro rappresentante solitario dell’anno di fondazione del Consorzio, dal colore granato ancora vivo e intenso, naso sottile ma intriso di note di tabacco, cuoio, fiori appassiti, bocca complessa, avvolgente e, straordinario, ricca di frutto! Dulcis in fundo, i due vini di Biondi Santi, uno straordinario 1964, omaggio “fuori concorso”, sorpresa finale per tutti i presenti, dal colore spettacolare, ancora con venature rubine, dai profumi travolgenti e di grande complessità, che spaziano dai fiori alla china, mentre in bocca “spara” tutta la sua stupefacente freschezza, tanto da sembrare quasi acidulo, perdendo forse qualcosa in eleganza e complessità, ma è ancora un bimbo in fasce, c’è solo da aspettare…Il 1970 invece, per certi aspetti mi ha coinvolto anche di più, con il passare dei minuti è cresciuto in modo impressionante, sviluppando una trama intrisa di mineralità davvero superba, confermandosi al palato un vero cavallo di razza, ancora in grado di sferrare bei colpi.

Conclusioni. I vini provenienti dalle annate più vecchie si sono dimostrati più coinvolgenti e a mio avviso superiori alle più recenti e decantate annate, 1997 in primis, ma anche per certi aspetti la 1990. Non è merito del tempo, perché la freschezza non torna indietro, semmai diminuisce. Piuttosto sarebbe opportuno chiedersi: se in quegli anni (facciamo dal 1979 in giù?), in cui si sapeva molto meno di viticoltura, non esistevano ancora i nuovi cloni di sangiovese, le cantine non avevano attrezzature paragonabili a quelle odierne, in vigna si diradava molto meno o per nulla, non si usavano lieviti selezionati, i “winemaker” non avevano ancora preso il sopravvento, sono nati vini del genere, capaci di offrirci emozioni a non finire, ricchezza espressiva, longevità, carattere, in poche parole affioravano le “ragioni” del sangiovese, non sarebbe il caso di fermarsi un attimo, cacciare i remi in barca e ragionare con calma? Per esempio, visto che la zona vitata si è ampliata a dismisura, visto che oggi si lavora un po’ troppo l’uva in cantina (e perché no, anche in vigna), visto che i produttori di Brunello di Montalcino sono diventati un numero spropositato, viste le numerose rivoluzioni e le diverse strade intraprese nel modo di produrre questo grande rosso toscano, visto che si è arrivati al punto di voler ridefinire i caratteri del sangiovese (e quindi del Brunello), perché ormai “nessuno lo fa più come prima”, siamo proprio sicuri di avere intrapreso la strada giusta, la migliore, la più vera? O, piuttosto, questo maledetto mercato (gestito da pochissimi a scapito di tante piccole realtà vecchie e nuove) sta ormai costringendoci ad un inesorabile appiattimento metodologico, ad una via senza ritorno, dove il rischio grande, difficilmente recuperabile, è proprio quello di perdere definitivamente e inesorabilmente l’identità, la storia e la tradizione del vero Brunello di Montalcino?

Roberto Giuliani

Figlio di un musicista e una scrittrice, è rimasto da sempre legato a questi due mestieri pur avendoli traditi per trent’anni come programmatore informatico. Ma la sua vera natura non si è mai spenta del tutto, tanto che sin da ragazzo si è appassionato alla fotografia e venticinque anni fa è rimasto folgorato dal mondo del vino, si è diplomato sommelier e con Maurizio Taglioni ha fondato Lavinium, una delle prime riviste enogastronomiche del web, alla quale si dedica tutt’ora anima e corpo in qualità di direttore editoriale. Collabora anche con altre riviste web e ha contribuito in più occasioni alla stesura di libri e allo svolgimento di eventi enoici. Dal 2011 fa parte del gruppo Garantito Igp.

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