I racconti di Alda: Dove sei?
Si dice che ci sia un Paradiso anche per gli animali e che anche loro hanno un’anima. Se davvero è così, questo pensiero addolcisce un poco il mio dolore. Mi fa quasi sorridere perché allora, forse, tu incontrerai i tanti gatti che si sono avvicendati durante gli anni della mia lunga vita.
Ti hanno portata a me in agosto, dovevi rimanere soltanto un mese, invece sei rimasta diciassette anni. Così è cominciata la nostra avventura.
Eri bellina, avevi un musetto adorabile con due grandi occhi verdi, ma eri una piccola peste, non stavi mai ferma se non per dormire e combinavi guai a rotazione. Hai massacrato la carta delle pareti, hai rotto un lume antico al quale tenevo molto, una cornice …E qui mi fermo perché l’elenco è lungo. Ti sgridavo, ti mettevo in verandina, ormai diventata la tua cameretta, ti facevo lunghe raccomandazioni sulle quali ti addormentavi beatamente. Che fare? Non potevo e non volevo rispedirti al mittente e poi ormai crescevi, cominciavamo a conoscerci a non fare più a meno l’una dell’altra. Avevo capito, anche per le mie esperienze gattesche, che il gatto è una creatura indipendente e che non puoi costringerlo a fare quello che non vuole. Puoi cercare di limitare i suoi danni, di educarlo nei limiti “dell’impossibile” ma devi trattarlo sempre con rispetto, lui e i suoi tempi. È lui che decide se e quando fare le fusa, quando farsi prendere in braccio, quando gradire le coccole e quando farti capire che …basta così.
Avevi soltanto sette mesi quando sei stata operata per un’infezione e quella notte, ancora stordita per l’anestesia, ti sei arrampicata sul mio letto, ti sei incollata al mio fianco ed hai cominciato a fare fusa così rumorose, mai sentite da te o da altri gatti. È stato proprio in quel momento che ho capito che ti amavo in maniera totale, che eravamo diventate sempre più unite e necessarie l’una all’altra. Dopotutto c’eravamo solo noi due in casa. Ti raccontavo tutto di me, mi guardavi e facevi strani versetti, miagolii appena abbozzati. Sembrava mi rispondessi. E poi giocavamo tanto. Tutti quei topolini comprati nel corso degli anni che sparivano poi misteriosamente e altrettanto misteriosamente ricomparivano. Sai? Li ho ritrovati tutti e li ho conservati in un cassetto.
All’epoca ero molto attiva. Facevo volontariato, scrivevo racconti e romanzi per vari settimanali (era quello il mio lavoro che ormai svolgevo in casa) ma soprattutto per due giorni e due notti mi trasferivo da mia nipote per darle un aiuto con i suoi due bambini, i miei amati pronipoti. Quando tornavo a casa tu mi venivi incontro, ti strofinavi alle mie gambe, aspettavi impaziente che mi mettessi a letto per accomodarti sulla mia pancia. Nell’attesa mi facevi gli agguati dietro le porte e a salvarmi dalle tue unghiette (i tuoi artiglietti…) c’erano per fortuna i miei pantaloni. Quando andavo via c’era sempre qualcuno di mia fiducia che si occupava di te, ma non ero io e tu cercavi in qualche modo di punirmi per le mie assenze. Tutto questo per quattordici anni, poi il mio cuore ha pensato bene di spedirmi in clinica per una settimana e, nonostante sapessi che anche in quella circostanza c’era chi passava a vederti tutti i giorni, il mio pensiero costante eri tu.
E poi finalmente a casa e tutto che cambiava, soprattutto la necessità di una persona per la notte. Questa la cosa più fastidiosa oltre alla minaccia del covid che si diffondeva sempre più pericoloso in tutto il mondo. Nonostante questi e altri cambiamenti, sono stati i tre anni più belli per noi due insieme, non mi mollavi mai. Ancora non sapevo che il terzo anno di quel periodo sarebbe stato l’ultimo della tua vita… Insufficienza renale. È questo il male che viene ai vecchi animali. Veterinario medicine flebo, ma nessun accanimento. Mai. Hai avuto una bella ripresa, eri di nuovo reattiva, mangiavi, bevevi, eri più vitale. Dormivi accanto a me, quasi sul mio stesso cuscino, quando c’era il sole ti sdraiavi sul tavolino davanti alla finestra e poi, quando volevi tornare sul mio letto spiccavi un salto da atleta. Sembrava davvero che la fine non fosse così vicina, che avresti potuto avere ancora altri giorni, magari anche qualche altra settimana da vivere bene ma poi…
Domenica trenta aprile. Alle sei del mattino mi sono svegliata di soprassalto. Nel mio letto, vicina a me tu avevi le convulsioni. Sono corsa dalla tua parte, ti ho accarezzata, ti ho fatto il solito massaggino sopra agli occhi, ti sei calmata. Mi sono sdraiata accanto a te, pochi minuti e tu già non respiravi più. Ci sarà qualche cretino che dirà o penserà: “Tanto dolore, ma se era soltanto una gatta”. Soltanto? Tu mi facevi compagnia quando ero sola. Bastava la tua presenza, il tuo respiro accanto al mio e io cercavo di ricambiarti cantandoti una ninna nanna che ti piaceva o quanto meno riusciva nel suo scopo perché ti addormentavi. Ti nutrivo con il cibo che preferivi, nel letto ti davo tutto lo spazio che volevi. Il sabato non sei più uscita dalla mia stanza, nemmeno per un attimo, e il mio letto è il posto che hai scelto per morire. Il mio letto e le mie braccia.
A quel cretino che ripeterà anche più volte: “ma era soltanto una gatta” (perché ci sarà, ne sono certa) rispondo con una massima di Mark Twain: “Se l’uomo potesse venire incrociato con il gatto, questo migliorerebbe l’uomo, ma peggiorerebbe il gatto”.
Ciao micina mia, dove sei?
Alda Gasparini