I racconti di Alda: Il tempo dell’addio
Sono sul pullman Raul, mi sono decisa all’ultimo momento, ho trovato posto e così ora sto andando verso il mare. Purtroppo piove, l’estate sta finendo e noi non siamo più insieme. Cinque ore di viaggio, cinque ore durante le quali cercherò di mettere una distanza sempre maggiore tra me e te, tra me e i ricordi. Non sarà facile. Sono soprattutto le tue mani che appaiono e scompaiono davanti ai miei occhi, quasi fossero vive, in movimento. Le tue mani. Le vedo e le sento. Si muovono sul mio corpo facendo rabbrividire la mia pelle, con il cuore che accelera i suoi battiti con violenza. Io e te. Due atleti durante e dopo una corsa. Ma noi non correvamo, non eravamo in gara. Nessuna fretta. Sapevi essere così tenero con me. Tu alto, bellissimo nella perfezione del tuo corpo. Spalle, braccia, anche e ogni millimetro della tua pelle che, a contatto della mia, diventava fuoco e io, così fragile tra le tue braccia da perdermi in esse. Da amarti fino alla spasimo.
Il primo anno è stato bellissimo, venivi da me a qualsiasi ora, all’improvviso, mi chiamavi quando eri già davanti al portone, soltanto per assicurarti che fossi in casa. Da sola. Un’occhiata allo specchio, una ravvivata ai capelli ed ero già lì, sulla porta, pronta ad accoglierti. I giorni in cui non venivi da me contavo le ore, dovunque mi trovassi, nella galleria d’arte dove lavoro, sola o in compagnia, in un Caffè con amici, in casa. Dovunque. Mi ero imposta di non cambiare le mie abitudini, di non lasciarmi condizionare dai tuoi impegni, di non permettere che tu potessi stravolgere la mia vita e coinvolgermi fino al punto di dipendere dalla tua presenza. Cercavo di vivere la nostra storia a modo mio, ma nel mio cuore ero sempre in attesa di te .Ti amavo e ti rispettavo, ma volevo continuare ad amare e rispettare anche me stessa.
Ero vedova da dieci anni, avevo attraversato quel dolore con il timore di non farcela, con un vuoto dentro di me che credevo incolmabile. In realtà tu non hai preso il posto di mio marito, nessuno avrebbe potuto. Mi hai semplicemente risvegliata come donna, quando io pensavo di essere ormai spenta, sessualmente e sentimentalmente, senza più la voglia e la capacità di provare ancora emozioni forti. Desiderio. Sei arrivato tu e tutte le mie convinzioni si sono sgretolate. Avevo amato mio marito e lo avevo pianto a lungo, poi il tempo e il lavoro mi avevano aiutato a riprendere in mano la mia vita, a ritrovare il piacere di vedere un bel film, ascoltare un concerto, passare una serata con amici, a occuparmi anche degli altri. Basta chiudermi in me stessa. Quando si sceglie di vivere bisogna pur rendersi la vita vivibile, ma non avrei mai immaginato che un altro uomo potesse entrare nel mio cuore. Nella mia pelle.
Con te era di nuovo passione, allegria contro allegria, desiderio contro desiderio, piacere contro piacere. Un “ contro” che si trasformava in “incontro”. Eri tanto più giovane di me, così vivo. Come resisterti? Ricordo bene le mie ansie della prima volta. Paura di scoprirmi, di mostrarmi non più giovanissima, non più bella com’ero stata, perché vedi, crescere, diventare adulti e poi invecchiare insieme con un’altra persona è diverso. Se mio marito non fosse morto non avrei mai avuto timore di mostrarmi a lui, perché quello che accadeva al mio corpo sarebbe accaduto anche al suo e le nostre fragilità fisiche e psicologiche avrebbero fatto parte di un cammino percorso insieme.
Con te no, tu eri poco più di un ragazzo, un uomo nuovo e tanto più giovane di me. Tu hai cercato in tutti i modi di cancellarle, le mie paure. Tu dicevi di amarmi non perché fossi giovane o vecchia, ma perché ero io. Semplicemente. Trovavi sempre le parole giuste e io leggevo nei tuoi occhi un amore che non conosceva confini, limiti o confronti. E mi vedevo giovane. In realtà lo ero ancora. Avevo quarantasei anni, non ero decrepita, ma erano quei sedici tra noi che, per me, facevano la differenza. E non solo quello. C’erano le mie paure anche per tutto ciò che riguardava gli altri. La mia famiglia, la tua. Il giudizio loro e della gente. Non ero ancora riuscita a liberarmi di certi schemi, certi pregiudizi. Quello che andava bene per un uomo, non andava altrettanto bene per una donna. Tu non volevi nemmeno sentirli quei discorsi. Era quella la parte di me che rifiutavi. Ti arrabbiavi. Fu proprio durante uno di quei miei momenti di crisi che mi hai chiesto di sposarti e si è rovinato tutto. Tu con la tua insistenza. Io con le mie ragioni.
Niente è stato più come prima. Litigavamo continuamente. Perché hai voluto parlare di matrimonio? Stavamo così bene insieme, Raul. Non bisogna sfidare la felicità. Un anno d’amore indimenticabile e poi la rovina. Non eravamo più gli stessi. Colpa mia? Sì, forse. Avrei dovuto liberarmi dei miei dubbi, dei miei scrupoli e vivere fino in fondo il nostro amore, renderlo ufficiale e al diavolo tutto il resto. Non l’ho fatto. Tu non correvi più da me all’improvviso, a qualsiasi ora, non mi chiamavi più la notte. Io rimanevo a lungo ad occhi aperti, nella luce e nel buio, ma non cedevo. Fino al giorno in cui mi sono guardata allo specchio e ho provato a vedermi con i tuoi occhi. Mi sono vista giovane, bella, innamorata, viva e ho pensato fosse arrivato il momento di arrendermi e di riportare le cose come erano prima. Rivolevo i nostri incontri, le nostre notti, le gite, il vino, la cioccolata e quei panini mangiati insieme dopo l’amore. Non tu ed io, ma noi. Rivolevo tutto questo, forse ero ancora in tempo.
Poi ti ho visto, Raul. Dieci giorni fa ed erano quasi due mesi che non ti sentivo, che non venivi da me. Un’eternità. Ti ho visto. Eri in macchina con una ragazza. Non ti sei accorto di me, ferma allo stesso semaforo. Parlavi animatamente, lei ti ha fatto una carezza e tu hai sorriso. Quella ragazza, poteva anche essere soltanto un’amica, ma mi è bastato vederti con lei per capire che non potevo tornare indietro, non potevo telefonarti e dirti… dirti cosa Raul? Va bene sposiamoci. Ho avuto la mia occasione e l’ho perduta. Che sia quella ragazza o un’altra che verrà dopo di me, non ha importanza. Qualcosa si è spezzato per sempre. Non esiste più un “noi”.
Ed eccomi su questo pullman, con tante persone che non conosco. Tra poco arriverò al mare e tu non sarai più con me. Mai più corse a piedi nudi sulla sabbia mano nella mano. Lo so. Come so che non ti spedirò mai questa lettera e così non ci saremo nemmeno detti addio. Ma l’addio era ormai da tempo tra noi Raul, amore mio.