I racconti di Alda: Io, veterano di guerra
Qui, in questo strano mondo dove mi trovo ormai da tanto tempo, tra gatti d’ogni razza ed età, sono considerato il più anziano.Veterano e orfano della seconda guerra mondiale. Non so perché la mia padroncina mi abbia voluto chiamare Moretto. Vero che di colori me ne intendo poco, ma in realtà non sono mai stato tutto nero, la mia schiena è un misto, sul musetto ho una mascherina bianca e anche il mio pancino è tutto bianco e coperto di pelo. Tanto pelo in tutto il corpo, eppure Micio e Pallina, i miei genitori, erano grigi e non tanto pelosi, non come me.
Forse bisognerebbe risalire ai miei avi per capirci qualcosa, ma non è poi così interessante. C’è altro.
La mia padroncina mi ha salvato la vita due volte. Micio era un gattone nato a Perugia e vissuto in caserma con l’ufficiale che, trasferito a Roma, l’aveva portato con sé e con tutta la sua famiglia. Io ero ancora un disegno astratto nell’universo gattesco.
Micio viveva bene, ma si sentiva solo. Un’amica di quella che sarebbe diventata la mia padroncina, le regalò la sua gattina grigia, Pallina, e fu così che dopo alcuni mesi io venni al mondo insieme con altri tre fratellini. C’era la guerra, c’erano bombardamenti, corse nei rifugi, poco cibo, la carta annonaria, le lunghe file per ottenere i bollini cui si aveva diritto e, tra tanti spaventi e incognite per il futuro, c’era comunque e sempre la voglia di vivere e di amare.
Era tutto razionato, ma l’amore no.
I miei genitori riuscivano sempre a mangiare, magari non molto, ma quanto bastava. Loro sì, ma come sfamare altri quattro micini? Questo per me è un ricordo terribile.
La casa era grande, sei stanze, doppi servizi e due terrazze, quella padronale con tante piante e fiori, mentre l’altra era fornita di una vasca con uno scivolo, dove la lavandaia strofinava i panni con un grosso pezzo di sapone. Allora era così, non c’erano gli elettrodomestici.
Quella vasca è stata per anni il peggiore dei miei incubi, orrendo e ricorrente, perché è lì che sono stati annegati i miei fratellini.
Quelli erano i tempi, era la guerra, era la vita, ma io non volevo morire e annaspavo disperatamente per risalire sull’asciutto ed è stato a quel punto che è intervenuta la bambina di dodici anni cui devo la mia salvezza. Mi ha afferrato, mi ha stretto a sé e ha urlato con tutte le sue forze: “Questo no, è mio”.
C’erano una così grande passione e determinazione nel suo modo di difendermi e di stringermi, che nessuno ebbe il coraggio di contraddirla. È cominciata così la mia avventura con lei che mi teneva sempre con sé, ogni giorno e ogni notte di quegli anni portatori di paure e difficoltà di ogni genere, ma anche di momenti felici. Comunque, da quella vasca mi sono tenuto sempre lontano. Motivi di sicurezza personale.
Micio e Pallina erano fieri di me che crescevo sempre più bello e…peloso. Purtroppo il destino era in agguato. Ancora non era stato inventato il frigorifero, c’era la ghiacciaia, una specie di mobiletto di legno, rivestito di uno strano materiale che manteneva a lungo i blocchi di ghiaccio che servivano a conservare i cibi per diversi giorni, soprattutto la carne. Già, la carne.
Come dimenticare quello sfortunato pomeriggio? L’intera famiglia era uscita, i miei genitori si aggiravano famelici intorno alla ghiacciaia, con il pelo ritto e la coda gonfia come un grosso bastone di gomma. Diffidenti, ma vogliosi, studiavano la maniglia che chiudeva lo sportello, finché mio padre, con decisione e un salto d’acrobata l’abbassò e tirò fuori un blocco di carne che, chissà con quanta fatica, il padrone era riuscito ad ottenere.
Io ero ancora piccolo e prudente, ma non abbastanza da non lasciarmi tentare e quando la famiglia rientrò ci trovò lì, tutti e tre a banchettare con quello che restava della preziosa provvista. Che mangiata e che confusione dopo! Come non capire la furia del padrone? Avevamo sottratto un bene inestimabile alla sua famiglia, ai suoi figli, mentre il cibo scarseggiava sempre più e i sacrifici raddoppiavano.
Non ci fu salvezza per Micio e Pallina, furono cacciati di casa, io solo mi sono salvato, ancora una volta grazie alla bambina che mi afferrò, mi tenne stretto nelle sue braccia, pronta a lottare per me con tutte le forze. Era magrolina, fragile, ma con tanti capelli, che erano forse la sua forza, come per quel tale che si chiamava Sansone, una forza così convincente nel difendermi, che nessuno osò opporsi. Ero orfano, ma salvo. Allora la vita non era lunga come oggi, a quel tempo, un essere umano che fosse vissuto cent’anni, avrebbe fatto notizia a livello di scoop e la stessa cosa valeva per gli animali. Io sono vissuto tredici anni. Una vita felice e protetta. Finiva la guerra, il mondo cambiava, la mia padroncina cresceva e io con lei, fino all’ultimo dei miei giorni.
Qui mi chiamano il veterano, vogliono che racconti la mia storia e a me piace ricordare quei tempi lontanissimi, parlare della guerra, delle paure, ma soprattutto di lei. È ancora viva e io vorrei poterla incontrare di nuovo un giorno, perché sono certo che lei abbia sempre conservato per me un posto nel suo cuore. Chissà. Il tempo della vita e della morte è un mistero per me, con le sue gioie e con i suoi dolori. Io la mia vita la devo a lei, una vita ricca d’amore e di carezze. Miaooo.