I racconti di Alda: Mai più con un uomo sposato
Per anni era stato il mio motto: mai con un uomo sposato. Ne sapevo qualcosa attraverso le storie che conoscevo, in particolare quella di Sara, la mia più cara amica. Clandestinità a ritmo tachicardico, telefonate bruscamente interrotte, messaggi subito cancellati, appuntamenti mancati, lunghe attese, domeniche e altri giorni di festa da sola, o magari in compagnia, ma sempre con un senso d’insoddisfazione, di attesa, nella speranza di un miracolo, lui che, improvvisamente libero da impegni famigliari, reclamava un incontro. Sara era sempre stata per me il simbolo dell’autonomia e dell’indipendenza, ma da quando si era arresa a quella relazione, era totalmente cambiata. Io no, mai e poi mai con un uomo sposato. E poi ho incontrato lui.
Lo guardo dal letto. In piedi nella mia stanza, perché e sempre e soltanto nella mia stanza che c’incontriamo, lo osservo mentre si sta rivestendo. Questa è – anzi doveva essere – la prima notte insieme, dopo un anno dall’inizio della nostra relazione, la moglie e la figlia partite per una gita organizzata e improvvisamente tornate indietro. È stato quasi traumatico. Il suo cellulare che suona all’improvviso nella notte, lui che sobbalza, lo afferra agitatissimo, poi la voce della moglie che gli chiede come mai non è a casa, che la ragazzina non si è sentita bene e così sono tornate.
Nuda nel letto, con lui altrettanto nudo accanto a me, ascolto parola per parola, quasi incantata dalla sua capacità e facilità nell’inventare, di getto, una scusa, un motivo credibile.
“Ero solo, mi annoiavo senza di voi, così sono andato al cinema con Fabio, poi ci siamo fermati a mangiare una pizza, arrivo”
Mi annoiavo senza di voi. Francamente non mi sembrava annoiato mentre era nel mio letto, penso e poi penso a Fabio, l’amico di sempre, l’unico nostro complice. Quante volte sarà stato chiamato in soccorso? Non sono certo la prima e non sarò neanche l’ultima, pensavo e intanto lui scattava giù dal letto, mi rivolgeva uno sguardo pieno di tenerezza, di rammarico, di scusa. Forse non sarò la prima nella storia del suo matrimonio imperfetto, ma non sono neanche soltanto un’avventura, io ho vissuto l’amore durante questo nostro anno e l’ho sentito anche in lui
La nostra prima notte, penso e intanto lo guardo mentre, una mano che cerca d’infilare il braccio in una manica della camicia e l’altra che compone un numero sul cellulare. So a chi telefona e che sia già notte non ha importanza. Fabio non ha una moglie a cui raccontare storie, dare spiegazioni per una telefonata notturna. Lui non si scompone, ascolta, rassicura e chiude nella cassaforte della memoria tutte le menzogne che gli vengono confidate e affidate. Credo si diverta molto in questo ruolo.
È pronto, deve soltanto darsi una sciacquata al viso, accertarsi che non ci sia qualche mio capello impigliato nella giacca, un qualsiasi minuscolo segno lasciato dal trucco, un’ombra di profumo. Lui è molto attento ed io anche. Non metto mai rossetto o profumo quando viene da me.
“Mi dispiace tanto” dice “Non doveva andare così, sono mortificato”.
Sembra quasi che chieda conforto, ma io non replico, non recrimino, non ho niente da dire. Nessuno mi ha obbligato a cacciarmi in una situazione del genere, lo sapevo fin dall’inizio anzi, prima ancora, attraverso l’esperienza di Sara e di altre. Si dice sempre “sarà un gioco, una storia senza impegno, a cuore libero e gambe aperte”. Si dice, ma poi tutto diventa complicato e coinvolgente. Si china su di me, mi bacia con tutta la fretta che il momento impone.
“Non ti accompagno alla porta, conosci la strada”. È tutto quello che riesco a dire e a fare. Rimanere nel mio letto, sono a casa mia, nella mia camera e al diavolo i soliti rituali, abbracciati fino alla porta, un bacio, un altro bacio e ancora e ancora, con la fatica di separarci. Non questa notte, la nostra prima notte interrotta a metà da chi ha sicuramente più diritti di me. Non voglio pensare a questo adesso, non voglio impigliarmi nei sensi di colpa, inutili e distruttivi.
Un ultimo sguardo, un cenno della mano, un “ti chiamo domani, scusa, ti amo…” la porta aperta e richiusa e via di corsa giù per le scale, senza neanche aspettare l’ascensore.
Lo seguo con il pensiero. Sul comodino c’è ancora il mio bicchiere con un avanzo del vino che abbiamo bevuto insieme. Un vino bianco, leggero, freschissimo. Prima. Ore tiepido, ma lo mando giù ugualmente, non mi ubriacherò per così poco. Anche sul comodino dalla sua parte, è rimasto un bicchiere a metà. Quasi quasi mi scolo anche quello, così non rimarranno tracce visibili della nostra notte spezzata. Non mi muovo. Lui se ne è andato, è corso via, a casa sua, perché è lì che vive, è lì che ha la sua famiglia, è lì il suo posto.
Non so se il suo sia amore, in questo momento non so nemmeno se sia amore il mio per lui. Mi sento frastornata, confusa, ferita, forse ancor più da me stessa che da lui. Non voglio andare avanti così, non ho più vent’anni da molto tempo. Voglio chiudere prima che le delusioni e il dolore diventino insopportabili, troppo difficili da gestire. Non voglio sentirmi umiliata, intrappolata. Domani, quando mi telefonerà, perché sono certa che mi telefonerà, non gli risponderò.
Chiudere senza ripensamenti, senza strascichi, senza addii. Ci saranno momenti bui, momenti in cui resistere al desiderio di sentirlo e vederlo sarà una vera lotta, ma ce la farò. Devo farcela. Sarò di nuovo una donna sola, ma libera, indipendente, positiva. Almeno credo di essere così e poi forse m’innamorerò ancora, ma d’ora in poi mai più, ma veramente mai più, di un uomo sposato.