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Il 1997 sotto i riflettori a Firenze: è davvero una grande annata? Un’occasione per riflettere

etichette 1997Cosa è accaduto in quegli anni, perché ci fu un incredibile martellamento mediatico e addirittura presero piede le vendite “en primeur”, che significa: “i consumatori appassionati si sbrighino ad acquistare sulla fiducia il vino che verrà, poiché sarà così buono che costerà un botto e, ciò nonostante, sarà difficilissimo da trovare”? Siamo alla fine degli anni ’90, il vino italiano sta godendo di un successo in passato neanche ipotizzabile, il “sistema vino” coinvolge tutto il comparto, ben supportato da tutti i livelli dell’informazione, non solo guide e riviste di settore, ma anche reti televisive e stampa nazionale hanno ormai le loro rubriche dedicate a questo miracolo del vino italiano.
Già agli inizi di quel decennio si respirava un’aria nuova, ma ancora non c’era stata una vera esplosione di interesse, non fioccavano corsi e serate enoiche, né c’erano fiere e manifestazioni per tutto lo Stivale che si occupassero di vino con tanta frequenza e sicuro successo di pubblico. Ma quel ’97 ha segnato un punto di passaggio, qualcosa è cambiato radicalmente, “annata del secolo”, accidenti! E che ci sarà in quei vini di tanto straordinario e mai raggiunto nei decenni addietro? Negli anni successivi, man mano che le guide si accingevano a giudicare quei vini che, secondo i tempi dei rispettivi disciplinari, si preparavano ad uscire sul mercato, una sfilza di punteggi stratosferici, soprattutto in Toscana e Piemonte, andava a confermare la grandezza di questa annata.
Qualcuno dice che nessuno era preparato realmente ad un millesimo del genere, dato che fu forse la prima annata davvero calda a tutte le latitudini. Non erano preparati i produttori, che certamente hanno avuto qualche problema nella gestione della vigna e nel conseguente lavoro di cantina, non erano preparati i degustatori, trovandosi per la prima volta di fronte a vini straordinariamente pronti, opulenti, morbidi, grassi, con una materia fruttata bella matura e avvolgente; vini che entusiasmavano anche all’estero, grazie anche alle valutazioni generose di Robert Parker, personaggio di assoluto riferimento nel mondo del vino, capace con un suo giudizio positivo di cambiare repentinamente le sorti di una piccola realtà vinicola della penisola italica. Si, ma di quali vini in particolare stiamo parlando? Di quelli che, grazie a quell’annata calda (ma non a livello della 2003) e ad uno stile “innovativo”, che da qualche anno aveva preso piede in alcune aree produttive di pregio delle due regioni menzionate (ma stava già coinvolgendo anche altre regioni), raccolsero i maggiori favori della critica, in particolare i già noti “super tuscans” e la corrente “avanguardistica” in terra di Barolo e Barbaresco.
Per rendersene conto basta andarsi a rileggere la guida “Vini d’Italia” di Gambero Rosso e Slow Food nel quinquennio 2000-2004, in cui sono concentrati quasi nella totalità i giudizi sull’annata, partendo dalle Barbere per finire con le Riserve di Brunello. Curioso notare come nella pagina dedicata alla classificazione delle annate di Barbaresco, Brunello, Barolo, Chianti Classico, Nobile e Amarone, il 1997, che fino all’edizione 2003 risultava a cinque stelle per tutte e sei le tipologie, nell’edizione 2004 vede passare a quattro stelle Barbaresco e Barolo, senza che nella consueta prefazione sulle degustazioni del Piemonte si faccia alcun riferimento a questa “revisione”; sorte opposta tocca, invece, alla 1999, che inizialmente era valutata quattro stelle per cinque tipologie e tre per l’Amarone: ecco che con l’uscita della guida 2004 si trovano tutte e cinque salite al massimo grado. Segno evidente che la 1997 era sembrata subito più facile da capire, soprattutto in terra toscana, mentre in Langa con il nebbiolo le cose non sono mai facili, il tempo per capire è necessario, sempre.
Ed è proprio con il vino, la cui natura è di essere in continua evoluzione, che è evidente quanto sia avventato e giustificato solo da intenti puramente commerciali fare dichiarazioni enfatiche quando il prodotto è ancora del tutto in divenire. Intendiamoci bene, la 1997 è sicuramente una buona annata, in alcuni casi ottima, ma anche restando nell’ambito dello stesso decennio, ci sarebbe da discutere rapportandola alla ’90 o alla sottovalutata ’96, soprattutto in Piemonte, ma anche in alcune aree toscane, come ad esempio a Montalcino (e non solo, ho riassaggiato pochi mesi fa un Chianti Classico Riserva ’96 di San Giusto a Rentennano semplicemente stupendo, ma ho avuto ottime impressioni di quell’annata anche da molti altri vini).

Logo Vignaioli & VigneronsQueste mie riflessioni sono state uno stimolo per partecipare all’evento di mercoledì 9 dicembre “Una splendida annata“, che ha avuto luogo alle 18.30 nel Palazzo Sacrati Strozzi a Firenze, sede della Regione Toscana. La serata, dedicata per l’appunto all’annata 1997, fa parte di “Vignaioli & Vignerons“, una kermesse enoica organizzata dalla Regione e da Slow Food, che dal 4 al 13 dicembre ha catalizzato l’attenzione, coinvolgendo una sessantina di comuni per un totale di oltre 100 eventi. Un’operazione mastodontica che nessun appassionato poteva materialmente permettersi di seguire nella totalità, vista la media elevatissima di eventi quotidiani. Le motivazioni di tanto dispendio di energie sono esternate da un comunicato della Regione, che sottolinea di aver aderito “all’appello di Slow food insieme ad importanti personalità del mondo della ricerca, della cultura e dell’agricoltura, per discutere di sostenibilità ambientale, sociale ed economica della vitivinicoltura, nonché di qualità della produzione enologica europea”.
Non intendo soffermarmi sul senso di un simile dispendio di risorse ed energie, sia perché la mia partecipazione è stata limitata ad un solo evento, sia perché mi allontanerei dal tema centrale, che rimane appunto la serata dedicata all’annata 1997, organizzata dallo Studio Umami (Roberta Perna, Marco Ghelfi e Nicola Utzeri) e condotta dal giornalista enogastronomico Leonardo Romanelli, che ha visto la presentazione di 11 vini, raccontati dai loro creatori, ad eccezione di Federico Giuntini (Selvapiana) che per ragioni di salute non è potuto essere presente ed è stato sostituito dal sommelier Andrea Gori, autore del blog Vino da Burde. Le aziende che hanno partecipato sono tutte ben note agli amanti del vino: Badia a Coltibuono (Sangioveto di Toscana), Poderi Boscarelli (Nobile di Montepulciano Vigna del Nocio), Casanova di Neri (Brunello di Montalcino Cerretalto), Castello di Fonterutoli (Siepi), Fattoria di Fèlsina (Chianti Classico Rancia Riserva), Fontodi (Chianti Classico Vigna del Sorbo Riserva), Fattoria Le Pupille (Morellino di Scansano Poggio Valente Riserva), Tenimenti Ruffino (Chianti Classico Riserva Ducale Oro), Fattoria Selvapiana (Chianti Rùfina Riserva), Tenuta dell’Ornellaia (Bolgheri Superiore Ornellaia) e Tenuta di Capezzana (Ghiaie della Furba). Ciascun produttore ha presentato la propria realtà aziendale, ha dato un quadro generale dell’annata nella propria zona ed espresso un parere personale sul vino che ha proposto.

La degustazione
Etichetta Sangioveto - Badia a ColtibuonoSangioveto di Toscana 1997 (IGT) – Badia a Coltibuono: la prima annata risale al 1980, sangiovese in purezza, in controtendenza con l’uvaggio allora utilizzato per il Chianti Classico, per diffondere la conoscenza e la cultura di questo grande vitigno. L’azienda, dall’anno 2000, si è (ri)convertita al biologico, interessanti e condivisibili le motivazioni espresse sul sito da Emanuela Stucchi Prinetti: “Per secoli l’agricoltura è stata esclusivamente biologica, ma era anche fame e fatica. Poi la deviazione degli ultimi 30 anni: una scelta dettata dal miraggio di un miracolo economico, ritenuto dai più a portata di mano. Oggi però quella scelta sta svelando l’intrinseca mancanza di lungimiranza: pesticidi, trattamenti, diserbanti, oramai salta all’occhio di molti, così si consuma senza rigenerare, si inaridisce la terra, si appiattisce il gusto, si rischia la salute. Purtroppo ancora pochi hanno il coraggio di dire basta e fare i conti con un investimento che pensano sia meno redditizio. Convinti invece del contrario, noi abbiamo deciso di riportare a biologico tutti i vigneti (70 ettari), le olivete e tutta la proprietà e infatti gustiamo il piacere di coltivare la forza vitale originale di questo luogo”. In azienda l’annata 1997 non è stata facile, si è avuto qualche problema anche nella fase vendemmiale a causa di ripetute piogge che hanno rallentato il processo di raccolta. Ciò nonostante, con opportuna cernita dei grappoli migliori si è raggiunta una qualità tale da giustificarne la produzione, che avviene solo nelle annate giudicate all’altezza.
Il colore granato di buona grana testimonia la naturale evoluzione del sangiovese che non ha subito pratiche estreme di estrazione in cantina, a parte una permanenza sulle vinacce di 4 settimane; ricordo bene che quando uscì si presentava rubino vivo e intenso, l’assenza di altre uve chiamate a sproposito “migliorative” ha permesso a questo vitigno di razza di esprimere appieno la sua natura, che con il passare degli anni tende ad avvicinarsi in alcuni aspetti di complessità a quella del nebbiolo. Qui, però, emerge, a conferma di una condizione tutt’altro che in declino, all’olfatto come al palato una bellissima impronta agrumata che si accosta alla scorza di cedro e mandarancio, che va a dare slancio e supporto alle più mature note terziarie di cuoio, tabacco, cenere e ricordi di prugna secca, non senza alcuni riverberi di spezie fini. Vino che mantiene un’eleganza spiccata senza mostrare inutili muscolarità, con un finale tutto all’insegna della balsamicità.

Etichetta Nobile di Montepulciano Vigna del Nocio - BoscarelliNobile di Montepulciano Vigna del Nocio 1997 (DOCG) – Poderi Boscarelli: il vigneto di 3,2 ettari fu impiantato nel 1972 nella zona sud, sudest dell’azienda e prende il nome da un grosso albero di noci da sempre presente in quel terreno. Il vino, che oggi si chiama “Nocio dei Boscarelli”, è caratterizzato in questo millesimo dalla presenza di una modesta percentuale di merlot, vitigno che nell’area di Montepulciano è stato introdotto progressivamente con la convinzione, soprattutto da parte di alcuni enologi, che avrebbe apportato grandi risultati, ma che poi ha rivelato alcuni limiti nelle capacità di maturazione a causa di un clima, una composizione del terreno e un’altitudine a lui non del tutto congeniali. Sulla strada intrapresa a Montepulciano con il Nobile mi sono espresso più volte; oggi, nonostante si cerchi di dimostrare il contrario, è evidente che la direzione è verso un prodotto che va progressivamente adeguandosi alle esigenze di mercato; con lo slogan “maggiore libertà ai produttori”, sarà approvata a breve una modifica del disciplinare che vedrà ridotto notevolmente il contributo del canaiolo nero, ritenuto “non di riferimento per la produzione del Nobile”, a vantaggio di un aumento dei cosiddetti vitigni “migliorativi”, quali appunto merlot, cabernet sauvignon, syrah e tutta quella lista prevista come “idonea alla coltivazione nella regione Toscana”, che certo non favorisce una migliore distinzione del prodotto, quando questa pratica è ormai fenomeno generalizzato, in Toscana come in molte altre regioni. Non mi si venga a dire che il sangiovese non risente della presenza di un 25-30% dei vitigni che ho menzionato…
Tornando al Vigna del Nocio, si offre decisamente rotondo, molto fruttato al primo impatto nonostante i 12 anni sulle spalle, con toni di ciliegia in confettura, mirtillo e prugna; le note viaggiano tra il cacao e la liquirizia, la menta e il tabacco, la noce moscata e il cuoio. Oggi ha già una buona armonia in ogni sua componente, confermata da un assaggio che non trova spigolosità, un tannino fine e dolce e una freschezza ancora integra e rassicurante.

Etichetta Brunello di Montacino Cerretalto - Casanova di NeriBrunello di Montacino Cerretalto 1997Casanova di Neri: in una dozzina di anni gli ettari vitati di proprietà di Giacomo Neri sono passati da una trentina a ben 55, la consulenza dell’enologo Carlo Ferrini ha indubbiamente contribuito a dare quella marcia in più ai suoi vini, il Cerretalto in particolare ha ricevuto più volte riconoscimenti anche a livello internazionale. Al di là di qualsiasi disquisizione sulle caratteristiche di questo vino, che a mio avviso sono andate via via orientandosi verso una forma espressiva assai distante dai tratti peculiari di un grande sangiovese ilcinese, tanto da farlo sembrare alla cieca più un “super tuscan” che un Brunello (opinione di cui mi prendo tutta la responsabilità), resta il fatto che non può passare inosservato, non tanto per l’eleganza quanto per una potenza e una concentrazione, a partire dal colore, che lo rendono riconoscibile anche in mezzo a decine di altri Brunello. L’annata ’97 aveva una gradazione all’origine che superava i 14,5°, un prezzo da capogiro (attorno ai 100 euro, prontamente lievitati in enoteche e ristoranti dopo i vari riconoscimenti ricevuti), grande estratto e già un ottimo equilibrio alla sua uscita, grazie a tannini dolci e ad una copiosa presenza gustativa di frutta in confettura. Oggi lo ritrovo inizialmente scomposto, ma con una buona ossigenazione si apre a toni di ciliegia, prugna e mirtillo in composta, accompagnati da più terziari riverberi di tartufo, pepe, cenere, cuoio e riflessi balsamici. Bocca equilibrata, tannino molto fine e ben integrato, una freschezza meno marcata dei precedenti ma comunque sufficiente a tenerlo vivo.

Etichetta Siepi (IGT) - Castello di FonterutoliSiepi 1997 (IGT) – Castello di Fonterutoli: uno di quei rossi toscani che hanno fatto parlare di sé, anche qui l’impronta Ferriniana è evidente, si tratta però di un Igt, ovvero di un vino che è nato al di fuori della denominazione per poter seguire un suo percorso espressivo, in sintonia con l’orientamento moderno di quegli anni, che ha trovato poi la sua identificazione nel cosiddetto “stile internazionale”. Frutto di un uvaggio paritario di sangiovese e merlot (il primo ad essere impiantato nella zona con una densità di 6.000 ceppi/Ha), vendemmiati, vinificati e maturati separatamente in barrique, lo ritroviamo oggi ancora saldo e coerente, con note di ribes nero, prugna, amarena, cuoio, sottobosco, ancora qualche venatura tostata e di vaniglia; bocca equilibrata anche se un po’ asciugante, ottima persistenza e una freschezza rassicurante.

Etichetta Chianti Classico Rancia Riserva - FèlsinaChianti Classico Rancia Riserva 1997Fèlsina: ascoltare Giuseppe Mazzocolin, genero e comproprietario dell’azienda di Castenuovo Berardenga di Domenico Poggiali sin dal lontano 1966, raccontare con quel suo stile inimitabile, intriso di amore intellettuale, di storia, terra e viticoltura è sempre un piacere, come è un piacere riassaggiare questo eccellente sangiovese in purezza dallo stile inconfondibile, che profuma di humus, terra bagnata, cardamomo, castagne, china, pellame, tartufo, tabacco da pipa e riverberi di amarene e marasche. Al palato si regala grintoso, fresco, dinamico, molto sangiovese, tutt’altro che domo, molto persistente. L’azienda si avvale da molti anni della consulenza dell’enologo Franco Bernabei e vanta oggi una produzione media di 750.000 bottiglie annue su 122 ettari di proprietà suddivisi in parti quasi eguali tra Fèlsina e Castello di Farnetella.

Etichetta Chianti Classico Vigna del Sorbo Riserva - FontodiChianti Classico Vigna del Sorbo Riserva 1997Fontodi: proprietà di Giovanni e Marco Manetti, fondata nel 1968, Fontodi dispone di circa 70 ettari vitati di proprietà situati nella Conca d’Oro a sud di Panzano in Chianti, ad un altitudine media di 400 metri slm. Anche qui Franco Bernabei offre la sua esperienza enologica da molti anni. Il Vigna del Sorbo si chiama così per la presenza storica nel vigneto di questo longevo albero da frutto originario dell’Europa meridionale. La sua composizione prevede da sempre, al fianco del sangiovese, una percentuale più o meno costante del 10% di cabernet sauvignon, mentre il vitigno in purezza trova la sua massima espressione nell’Igt Flaccianello della Pieve. In questo Chianti Classico tornano quelle sensazioni agrumate che avevo percepito in modo netto nel Rancia di Fèlsina, si “acchiappano” ancora percezioni floreali di viola passita e rosa, toni carnosi, frutto maturo ma non evoluto, richiami alla noce moscata, allo zenzero, leggerissimo vegetale. In bocca è ancora fresco, quasi pepato, con la percezione dell’agrume che torna netta, tannino setoso e una pulizia d’insieme molto gratificante.

Etichetta Morellino di Scansano Poggio Valente - Le PupilleMorellino di Scansano Poggio Valente 1997Fattoria Le Pupille: il vigneto per il Poggio Valente dispone di viti di sangiovese con un’età media di 25 anni più alcuni filari di alicante che va regolarmente a contribuire nella produzione di uno dei Morellino di Scansano di maggior riferimento di tutta lì’area maremmana. Colossi del calibro del Cerretalto, del Siepi, dell’Ornellaia, del Rancia, avrebbero potuto adombrarlo, farlo passare inosservato; in realtà le cose sono andate diversamente, anzi, questo vino si è rivelato un dei più convincenti e complessi, la sua evoluzione è quantomeno esemplare, le note terziarie eleganti non mancano di un buon supporto di freschezza, certamente maturo e godibilissimo ma tutt’altro che giunto al capolinea, rivela una trama intrigante con note di ciliegia e lampone maturi, ma anche mora, mandorla, mallo di noce, richiami al miele di castagno, al tabacco biondo, al cuoio. La bocca conferma un perfetto stato di salute, non manca di slancio e vivacità, tannino setosissimo e “innocuo”, finale lungo e profondo.

Etichetta Chianti Classico Riserva Ducale Oro - RuffinoChianti Classico Riserva Ducale Oro 1997Ruffino: confesso che quando ho letto il nome di questa azienda e della Tenuta dell’Ornellaia, mi è sorta qualche perplessità sul significato del nome dato alla rassegna, “Vignaioli & Vignerons”; poi ho capito che oggi certi termini vengono utilizzati con un intento a più ampio respiro… scherzi a parte la Riserva Ducale Oro nella versione 1997 era caratterizzata da uno stile ben definito e senza troppi fronzoli, quasi a rappresentare la tradizione sin nella sua composizione, sangiovese 100%. Negli anni successivi il vitigno si è visto progressivamente smussare la percentuale a favore di altre varietà fino all’attuale versione che vede un buon 20% suddiviso fra cabernet sauvignon e merlot. Peccato perché questa ’97 è davvero buona e rappresenta bene le caratteristiche del vitigno, grazie anche alla maturazione per i primi mesi in barrique non nuove e per ben 3 anni in botti da 60-70 ettolitri. Ancora una volta ritroviamo in questo sangiovese quella nota agrumata, pur con differenti sfumature, che aveva caratterizzato sia il Rancia che il Vigna del Sorbo, qui più candita, quasi secca, con ricordi di ciliegia sotto spirito, sottobosco e quel goudron che, come avevo accennato all’inizio, lo fa accostare al nebbiolo. La bocca è bella fresca, con un tannino integrato a dovere, buona stoffa e una complessità forse moderata ma di indubbia piacevolezza.

Etichetta Chianti Classico Riserva - SelvapianaChianti Rùfina Riserva 1997Fattoria Selvapiana: è l’ultima annata prima della selezione “Bucerchiale” che nasce con la versione 1998. Federico Giuntini non è potuto essere presente a questa serata fiorentina a causa di un’influenza che lo ha tenuto inchiodato a casa. Peccato, poteva essere un’occasione pre rivederlo. La sua Riserva, per me al secondo assaggio, è sempre emozionante, sicuramente il numero uno a Rùfina, un punto di riferimento che si è trovato pure a dover lottare quasi in solitudine per impedire che l’attuale, già ingombrante e inquinante inceneritore, visibile perfettamente lungo la strada che attraversa il paese, venga sostituito da un “termovalorizzatore” di nuova generazione dalle dimensioni mastodontiche (alto più o meno come un palazzo di 12 piani…) che andrebbe a deturpare in modo irrecuperabile il paesaggio della zona di Rùfina con le sue dolci colline, oltre a porre numerosi quesiti sull’effettiva utilità e sicurezza di un simile pachiderma. Ma veniamo al vino, una grande pulizia olfattiva sin dai primi minuti nel calice, non c’è nulla fuori posto, tavolozza di profumi affascinante, si passa dalle note di erbe aromatiche (rosmarino, timo, santoreggia), a pepe bianco, fieno essiccato, mirto, poi tabacco, balsamico, minerale. La bocca è di straordinaria setosità, armonica, senza sbavature, fresca, elegante nel tannino tradizionalmente vellutato, difficile immaginare quanto ancora lungo sarà il suo percorso.

Etichetta Bolgheri Superiore Ornellaia - Tenuta dell'OrnellaiaBolgheri Superiore Ornellaia 1997Tenuta dell’Ornellaia: fondata nel 1981 e ora proprietà del gruppo Frescobaldi con 97 ettari vitati la Tenuta si trova nel circondario di Bolgheri, su suoli di varia natura, in parte alluvionali, in parte marini e in parte di origine vulcanica. Il Masseto, l’altro grande vino aziendale, è sicuramente il più ricercato merlot italiano, in grado di raggiungere quote molto elevate nelle più note aste internazionali. L’Ornellaia è frutto di un uvaggio di cabernet sauvignon, merlot, cabernet franc e petit verdot, con l’annata 2006 ha raggiunto quota 140.000 bottiglie e un prezzo superiore ai 100 euro. La versione 1997, ad essere sincero, non mi sembra riuscita del tutto, già al naso è evidente la nota vegetale, che lascia presupporre una non perfetta maturazione del cabernet, si percepiscono poi note di prugna secca e mora in confettura, una buona balsamicità e speziatura di ginepro e cardamomo, con finale mentolato. In bocca ritorna la percezione vegetale, anche se in misura meno marcata, il tannino è indubbiamente fine e c’è ancora una bella energia, non mi sembra però all’altezza della sua fama.

Etichetta Ghiaie della Furba - Tenuta di CapezzanaGhiaie della Furba 1997 (IGT) – Tenuta di Capezzana: La zona di Carmignano è, fra quelle toscane, una delle mie preferite sia per lo straordinario paesaggio che per la particolarità dei vini, forse il Carmignano è quello che più di ogni altro ha mantenuto dei connotati propri senza lasciarsi travolgere dalle mode imperanti, pur mantenendo in molti casi nel proprio uvaggio la presenza del cabernet. La Tenuta di Capezzana, con i suoi 106 ettari di proprietà è un punto di riferimento e il Ghiaie della Furba, frutto di un uvaggio di cabernet sauvignon, merlot e syrah rappresenta un ottimo biglietto di presentazione in campo internazionale per la famiglia Contini Bonacossi, soprattutto in virtù di un prezzo che non è mai stato spropositato (attualmente siamo sotto i 30 euro). La versione 1997 ha una trama olfattiva molto dinamica, con note di mora e ciliegia in confettura, cassis, cuoio, tabacco, pepe e una sottile vena agrumata. Al palato si offre ancora fresco, sapido, con un tannino che non sembra voler cedere più di tanto e forse rappresenta il limite di piacevolezza di questo pur validissimo vino.

Roberto Giuliani

Figlio di un musicista e una scrittrice, è rimasto da sempre legato a questi due mestieri pur avendoli traditi per trent’anni come programmatore informatico. Ma la sua vera natura non si è mai spenta del tutto, tanto che sin da ragazzo si è appassionato alla fotografia e venticinque anni fa è rimasto folgorato dal mondo del vino, si è diplomato sommelier e con Maurizio Taglioni ha fondato Lavinium, una delle prime riviste enogastronomiche del web, alla quale si dedica tutt’ora anima e corpo in qualità di direttore editoriale. Collabora anche con altre riviste web e ha contribuito in più occasioni alla stesura di libri e allo svolgimento di eventi enoici. Dal 2011 fa parte del gruppo Garantito Igp.

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