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Il prosciutto di San Daniele DOP: impariamo a riconoscerlo

Stagionatura Prosciutto di San Daniele

Il Prosciutto di San Daniele è un prosciutto crudo stagionato riconosciuto come prodotto a Denominazione di Origine dal 1970 dallo Stato italiano con la legge n. 507 e come prodotto a Denominazione di Origine Protetta – DOP – dall’Unione Europea dal 1996.
Un alimento che sicuramente è conosciuto ai più a livello di nome, ma quanto ne sappiamo davvero?

Il Portone di Tramontana, detto Portonàt, all'ingresso del centro di San Daniele
Il Portone di Tramontana, detto Portonàt, all’ingresso del centro di San Daniele

Come riconoscerlo, come apprezzarlo?
Questo delizioso prosciutto prende vita a San Daniele del Friuli, un comune della provincia di Udine che misura circa trentacinque chilometri quadrati e conta poco più di 8.000 abitanti. Questo delizioso comune sorge al centro dell’anfiteatro morenico, sulle prime alture delle Prealpi a 252 metri sopra il livello del mare; qui i venti freddi provenienti dalle Alpi Carniche si incontrano con le brezze dell’Adriatico, in un ambiente dove l’umidità e la temperatura sono regolate dalle acque del fiume Tagliamento. Questi sono gli elementi che concorrono a creare le condizioni ideali e uniche e irripetibili per la stagionatura dei prosciutti. A questo prezioso microclima si uniscono gli altri due ingredienti necessari per la produzione di questi prosciutti: ossia il sale marino e le cosce di suino italiano selezionate, che come previsto dal disciplinare, provengono, come dagli oltre 3.000 allevamenti ubicati nelle regioni del Centro-Nord Italia (Friuli-Venezia Giulia, Piemonte, Lombardia, Emilia-Romagna, Veneto, Marche, Umbria, Toscana, Lazio, Abruzzo).

Prosciutto di San Daniele

Per la produzione le fasi di lavorazione sono diverse, è importante ricordare che non viene utilizzato nessun tipo di additivo o conservante e che il processo produttivo è rimasto inalterato nei secoli; infatti, l’introduzione della tecnologia si è limitata soltanto al miglioramento nell’organizzazione e nella movimentazione del prodotto all’interno dei prosciuttifici.
I suini sono alimentati con cereali nobili e siero di latte e allevati con metodi che rispettano il loro benessere; al momento della macellazione devono pesare mediamente 160 chilogrammi e avere almeno nove mesi di vita.
Sono 31 le aziende aderenti al Consorzio del Prosciutto di San Daniele, che lavorano quotidianamente per garantire un prodotto sano e naturale, che rispetti la tradizione del territorio e le rigide regole del Disciplinare di produzione.
Ogni anno alla fine di agosto a San Daniele del Friuli, si svolge Aria di festa, la storica manifestazione che – da oltre 35 anni – celebra il Prosciutto di San Daniele DOP nel suo luogo d’origine. Ma Aria di Friuli Venezia Giulia (così chiamata quest’anno per la partecipazione della Regione FVG, ndr) non si ferma solo a San Daniele e diventa un format itinerante pensato per portare in viaggio lungo lo Stivale i sapori e le tradizioni legate a questo prodotto, proprio per far scoprire le caratteristiche distintive di questo prosciutto friulano e svelare alcuni dei segreti che si nascondono dietro alla sua produzione. Ed è così che aria di Friuli approda anche nel cuore del capoluogo partenopeo con tre tappe diverse, in diversi luoghi della città, per far scoprire al pubblico le peculiarità di questo prodotto.

Prosciutto di San Daniele

Ma quali sono i suoi segni distintivi?
Il Prosciutto di San Daniele presenta dei segni distintivi che lo contraddistinguono, a partire dalla presenza dello zampino che, oltre a mantenere inalterata l’integrità biologica della coscia, agevola il drenaggio dell’umidità. Il marchio a fuoco del Consorzio impresso sulla cotenna è costituito dalla denominazione in forma circolare, dalla stilizzazione del prosciutto con le lettere SD al centro e dal codice numerico di identificazione del produttore. Il tatuaggio dell’allevamento, ovvero un codice alfanumerico costituito dalla sigla della provincia in cui si trova, il numero identificativo dell’allevamento e una lettera che indica il mese di nascita del suino. Il segno del macello, un timbro a fuoco che riporta la sigla PP e il codice identificativo del macello, composto da una lettera e da due cifre. Il sigillo di inizio lavorazione, composto dalla sigla D.O.T. (Denominazione di Origine Tutelata), infine la data che indica l’inizio della lavorazione.

Prosciuttificio
 

Le cosce arrivano a San Daniele del Friuli entro quarantotto ore dalla macellazione e devono avere un peso non inferiore a 12 chilogrammi. In seguito all’arrivo vengono sottoposte a un controllo preliminare di conformità. Le prime fasi di lavorazione si svolgono tutte all’interno dei prosciuttifici aderenti al Consorzio e comprendono: il raffreddamento (per favorire la perdita di umidità) e la rifilatura; la salatura, in cui le cosce rimangono coperte di sale per un numero di giorni pari al loro peso; la pressatura, che permette di far penetrare al meglio il sale e di conferire alle cosce la tradizionale forma a chitarra; il riposo, periodo che dura fino al quarto mese dall’inizio della lavorazione in cui le cosce rimangono a riposo in apposite sale.

Prosciuttificio Coradazzi

Una volta concluso il periodo di riposo, le fasi che seguono sono: il lavaggio e l’asciugamento; la stuccatura, che prevede l’applicazione di un impasto fatto con sugna e farina di riso sulla porzione non coperta dalla cotenna per mantenerla morbida; la stagionatura, che si prolunga fino al compimento del tredicesimo mese dall’inizio della lavorazione, ma che alcune realtà – come nel caso del piccolo prosciuttificio Coradazzi nato nel 1976 e attualmente gestito dai fratelli Angelo e Teresa Coradazzi – prolungano questo periodo sino a un minimo di 16 – 20 mesi.

Prosciutto di San Daniele

Come ultima fase segue la marchiatura, per la quale l’organo di controllo IFCQ Certificazioni verifica la rispondenza dei prosciutti ai requisiti prescritti dal disciplinare. Solo i prosciutti che rispettano tutti i parametri sono certificati e su di essi viene impresso a fuoco il marchio del Consorzio.
Ora che ne conoscete le peculiarità, concludiamo con una piccola curiosità che riguarda la differenza del taglio, se affettato a macchina o a mano. La macchina affettatrice taglia la fibra della carne, per quello è preferibile tagliarlo a mano in modo parallelo alla fibra, così da non spezzarla. Ovviamente in base al taglio cambierà la percezione gustativa, infatti, nella fetta tagliata a mano, la masticazione sarà più lunga e si avvertirà la complessità aromatica della carne. A macchina sarà senza dubbio più sottile e più scioglievole, ma più dolce e meno sfaccettata.

Fosca Tortorelli

Fosca Tortorelli

È Sommelier e Degustatrice ufficiale A.I.S. rispettivamente dal 2003 e dal 2004; ha sviluppato nel suo lavoro di dottorato in Industrial Design, Ambiente e Storia, la tesi sperimentale dal titolo “Reinterpretare le Cellae Vinariae. Ambiente, Processo, Produzione” e una successiva pubblicazione in collaborazione con la Prof. Muzzillo F. dal titolo “Vitigni del Sud: tra storia e architettura” (Roma Natan Edizioni, 2012). Ha conseguito il Master Sommelier ALMA-AIS (luglio 2016) presso ALMA a Colorno (Parma). Fa parte dei Narratori del Gusto e insieme al Centro Studi Assaggiatori di Brescia partecipa a panel di degustazione di rilievo nel settore enogastronomico. Fa parte anche dell’associazione Donne del Vino, ha scritto sulla rivista l’Assaggio, oltre che su diverse testate registrate e ha preso parte alle degustazioni per la Guida Vitae, per la guida Slow wine 2017 e per la guida Altroconsumo. Dal 2018 è giornalista pubblicista.

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