Il Prosecco frizzante DOC Treviso di Carolina Gatti
Chi capita sul Piave e magari va anche a fare le ferie tra la laguna di Venezia e quella di Marano sarà certamente rimasto imbambolato dalle vigne di quei posti, che non sono proprio come tutte quelle che si vedono altrove. I ceppi sono allevati alti e in una maniera particolare, tanto che d’inverno, quando sono spogli, sembrano schiere di fucilieri ben schierati con l’arma puntata contro il nemico, al punto che nelle frequenti nebbie della zona durante la Grande guerra a volte si spaventavano pure i soldati di Cecco Beppe…
È la bellussera, una forma di allevamento della vite inventata dai fratelli Bellussi di Tezze di Piave sul finire del 1800, dunque pochi anni prima della guerra sul grande fiume, caratterizzata da 4 o 6 viti sostenute in origine da un tutore vivo come l’albero del gelso che è stato sostituito in seguito prima con un palo di legno e poi con un palo di cemento. Ognuna delle viti sviluppa a raggiera un cordone permanente lungo 3 o 4 metri che viene potato a sylvoz, inclinato un po’ verso l’alto come un fucile pronto a sparare.
Allora il gelso era abbondantemente presente in quelle campagne, perché se ne usavano le foglie per allevare i bachi da seta. Inoltre, con quel sistema la forma della vite diventava ampia, espansa e alta da terra almeno 1 metro e 80 (nella parte più bassa) per arrivare fino a 4 metri, allo scopo di limitare alle gemme i danni delle gelate primaverili, ai grappoli quelli delle nebbie autunnali e alle piante lo stress idrico per via di una chioma più folta, dando un raccolto più sano e molto più ricco. C’è chi si ricorda di rese di 500 quintali per ettaro durante il periodo di massima rigogliosità nella vita dei ceppi, anche per qualche anno.
La bellussera è stata la caratteristica tipica del paesaggio viticolo della zona del Piave fino a pochi anni fa, quando ha cominciato a essere progressivamente sostituita da nuovi sistemi di allevamento, ma fa piacere vederla ancora in funzione là dove amano la terra più del proprio conto in banca. Come Carolina Gatti che, a casa dei suoi, continua a usare soltanto la coltivazione a bellussera per tutte le varietà di uve, dalle più vecchie di oltre 80 anni, piantate dal nonno prima e dal padre poi, fino alle più giovani di una decina d’anni, piantate da lei stessa. Meglio parlarne subito, prima che la solita UE che fa leggi proibizioniste seduta ben comoda sulla tazza del water e riverita da governi servili possa tentare di bandirle, visto che fin qui di porcherie ne ha approvate millanta pur di mantenere l’Italia fra i paesi sottosviluppati, massacrandone l’agricoltura e la pesca a vantaggio di quelle oltre le Alpi.
Carolina Gatti è affezionata alle sue bellussere in modo passionale fin da bambina, ne conosce ogni segreto e loro fanno l’uva come vuole lei, ai gradi babo che vuole lei e alle rese che vuole lei, con una sapienza contadina che andrebbe difesa a spada tratta dal mondo del vino. Per esempio, regola la carica di gemme in potatura per tenerne al massimo 5 e tutte su archi corti, non concima per mandare sempre più in profondità le radici e ridurre l’esuberanza delle chiome, irriga per soccorso solo dove c’è troppa argilla che secca il terreno, lavora quasi tutto a mano senza diserbanti né altri prodotti di sintesi, vendemmia a mano e quando vuole appassire l’uva lo fa solo all’aria e senza forzare. Inoltre utilizza soltanto i lieviti indigeni presenti sulla buccia dell’uva e in cantina per innescare la fermentazione e proseguirla senza controllo di temperatura né manipolazioni tese ad accelerarla o rallentarla, non chiarifica e filtra solo attraverso… una calza.
Carolina è l’enotecnico e l’enologo di un’azienda di 5 ettari, il fratello Lino è agronomo, il padre Lorenzo è viticoltore, mentre la madre si occupa della casa, dell’orto, degli animali da cortile e di quelli da stalla, ormai ridotti all’osso per recuperare mezzo ettaro di terra fin qui destinato a foraggio e piantarci la nuova vigna, la prima disposta a filari perché è troppo piccola.
Il suo Prosecco è di colore paglierino, lievemente torbido se non lo si decanta in una caraffa per eliminarne il lievito del fondo che si solleva maneggiando la bottiglia. Le bollicine non scaturiscono in velocità e in quantità come negli spumanti, ma si sviluppano poco per volta e danno una sensazione carezzevole di cremosità. Ha un bouquet piacevole di fiori bianchi di campo, cedro, pompelmo, pere Williams, quindi emergono note di crosta di pane fresco. In bocca stupisce per l’insospettabile armonia tra la fresca acidità, la struttura e la mineralità della salgemma. Il finale è tipico del prosecco “colfòndo”, ammandorlato e amarognolo. Tappo a corona (crown cap). Ideale vino da aperitivo, si abbina a meraviglia con il pescato dell’Adriatico e del Piave, va a nozze con i salumi e i formaggi a pasta cruda, ma va servito fresco e non freddo, a una temperatura non inferiore a 10-11 °C sennò prevarrebbe l’acidità.
Questo Prosecco viene da uve del clone Balbi, vinifica in vasche di cemento fino a dicembre e poi viene travasato diverse volte secondo le procedure dei nonni per riposare dentro le damigiane fino a Marzo o Aprile o quando la temperatura sale abbastanza da permettere ai lieviti di avviare la seconda fermentazione con l’aggiunta di mosto congelato. E quante volte non si dorme la notte o si rinuncia alle festività perché alle prime bollicine dev’essere subito imbottigliato e tenuto al buio e al freddo in cantina, in modo che si conservi fresco, fragrante, ricco delle tipiche delicate note aromatiche di fiori e di frutti.
Vino vero, vino critico, vino bandito, vino sovversivo, fate un po’ voi. È sicuramente un vino anticonvenzionale, ma qui non c’è solo Prosecco, siamo sul Piave e non può mancare il Raboso né il Cabernet Sauvignon, poche migliaia di bottiglie e comunque con un tenore alcolico anch’esso mantenuto volutamente leggero, proprio come vuole lei, “Luna”, razza Piave, stoffa buona e caratterino mica male…
Come vuole lei, ho scritto, infatti dei suoi vini non parlano quelli che fanno i guru sotto le luci della ribalta, roteando i calici e sputando il nettare di Bacco anche solo dopo un veloce passaggio in bocca per dare punteggi a seconda del numero di stelle dei ristoranti e degli alberghi a carico dei produttori o del numero di cartoni gratis nei bagagliai delle automobili con cui partono per la capitale e le altre metropoli da cui, bontà loro, si degnano di calare in campagna. Di questi vini sono veri intenditori gli anziani nei circoli e nelle osterie, che di ombre ne hanno bevute assai fin da piccoli con i padri, i nonni, i bisnonni e gli amici, perciò sanno vita, morte, miracoli di ogni parcella vitata, di ogni vignaiolo che si rispetti e che sono affezionati alle bellussere, roba da gentiluomini e gentildonne di campagna, non certo da vip. Provate anche quel Raboso, per esempio…
Mario Crosta
Azienda Agricola Gatti di Carolina Gatti
Via Campagne 29, 31047 Ponte di Piave (TV)
Cell. 347-0820094
sito www.rabosando.blogspot.com
e-mail cantinagatti@libero.it