Ci sono alcune etichette in grado di restituirci l’immagine più leale ed autentica di una denominazione e di un territorio. Molto spesso si tratta di etichette trascurate dalla critica di settore per un’apparente mancanza di interesse e sollecitazioni da parte del pubblico. Dico apparente perché ci convinciamo di tutto questo salvo poi scoprire che giapponesi ed inglesi rincorrono le stesse etichette considerandole interpretazioni ineguagliabili di tipicità e tradizione. Piccole produzioni, ovvio, qualcuno direbbe di nicchia, poche migliaia di bottiglie necessarie ed indispensabili per salvaguardare l’identità dei nostri grandi vitigni autoctoni e denominazioni d’origine. Il Cirò Classico Superiore Riserva Ripe del Falco è sicuramente ed a pieno titolo, tra queste: esempio unico ed irripetibile, archetipo e memoria storica, del Cirò calabrese e dell’uva gaglioppo. Gli Ippolito, viticoltori da generazioni, furono i primi, già nella prima metà del ‘900, a imbottigliare il Cirò suscitando la reazione scettica, quasi incredula, dei loro stessi compaesani. Una Riserva rimasta, di fatto, senza un nome preciso fino a non molti anni fa. Era, semplicemente, conosciuta come la Riserva “storta” per via della particolare bottiglia che ancora viene utilizzata. Un tempo, infatti, i rossi di Cirò arrivavano in Piemonte così come in altre regioni del Nord-Italia per essere impiegati come vini da taglio. I vini di pregio di quelle regioni utilizzavano, appunto, la bottiglia “storta”, la stessa che Ippolito decise di adottare per la sua Riserva. Più di recente la nascita di una seconda riserva, il Colli di Mancuso, ottenuta da un minimo periodo di invecchiamento rispetto alla Riserva storica, ha spinto l’azienda ad etichettare quest’ultima col nome di Ripe del Falco. In realtà le uve provengono dallo stesso vigneto (Mancuso) e la differenza principale rimane il più che prolungato invecchiamento cui continua ad essere destinato il Ripe. Il nome deriva e nasce dalla presenza fissa di due falchi che sorvolano costantemente i filari della vigna. Le uve vengono vendemmiate, come una volta, senza forzare il raggiungimento di maturazioni ottimali ancorché eccessive. Il vino viene lungamente affinato in acciaio e in cemento, per una piccola parte in barriques di vario passaggio, arrivando in commercio dopo una quindicina d’anni circa. Il tempo giusto per il gaglioppo di smussare ed addolcire i suoi tannini robusti e gagliardi, di cercare e trovare l’agognato equilibrio ed una apprezzabile armonia. Tempo che non ne scalfisce la struttura, ricca di acidità ed una contenuta gradazione alcolica, pur senza contare su un estratto secco particolarmente elevato (più simile ad un bianco d’oggi che ad un rosso). Se il vino è materia viva, lasciamolo vivere, maturare, evolvere. Rispettare i suoi tempi significa il rifiuto di facili scorciatoie enologiche. Se la reperibilità, infine, non sarà probabilmente il suo punto di forza, lo è il prezzo assolutamente favorevole (tra i 15 e i 20 euro in enoteca).
Ripe del Falco 1987 Colore che ondeggia tra luminosa e rubina trasparenza ed accenni granata. Naso pimpante, fresco, da rosso nordico più che mediterraneo. Sottile complessità ed elegante progressione ne sono i tratti distintivi di maggiore entusiasmo e coinvolgimento. Piccoli frutti rossi, fiori e spezie delicate. Vibrante d’acidità e teso al palato, tannino perfettamente fuso e sapida persistenza finale. Emozionante. @@@@@
Ripe del Falco 1988 Colore leggermente meno vivo e brillante del precedente con una più evidente tendenza al granato. Anche il naso risulta meno fascinoso ed intrigante. Il tannino appare meno levigato ed appena amarognolo. Comunque una prova d’orgoglio assolutamente dignitosa. Sfiora le 4 chiocciole. @@@
Ripe del Falco 1989 Colore in linea con i due campioni che l’hanno preceduto. Sostenuto da intermittenti folate balsamiche di china, rabarbaro, menta. Profuma di spezie orientali. Al palato è fresco, tannico e lungo nel finale. @@@@
Ripe del Falco 1991 Colore decisamente più carico e concentrato più legnoso e con qualche nota di riduzione iniziale. Si apre e si concede con grande reticenza, bisogna aspettarlo nel bicchiere. Frutto carnoso e dolce che invade le narici, ciliegia nera e succosa, sotto spirito, quindi una intensa speziatura, note animali su fondo finemente agrumato. Palato sostanzioso e finale pieno, caldo ed avvolgente. Un vino ancora in divenire che ho assaggiato in più occasioni sempre con grande soddisfazione. Sfiora solo, in questo caso, le 5 chiocciole. @@@@
*Nota a margine della degustazione: le annate 1988 e 1987 sono state realizzate ancora senza controllo delle temperature.
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