La Sassella rivelata in una bellissima verticale per i 40 anni del Rocce Rosse di Arpepe
Per celebrare il ricordo di Arturo Pelizzatti Perego e di Paolo Camozzi
Sono 18 anni che frequento la famiglia Pelizzatti, sin dall’inizio ho percepito che in casa Arpepe si stavano facendo grandi cose. Me ne accorsi mentre assaggiavo i vini proposti da Isabella, figlia di Arturo e Giovanna, durante l’evento Nebbiolo Grapes, che si svolse ad Alba dal 10 al 12 marzo 2006. Ma la successiva, fondamentale, occasione per rinsaldare questa mia convinzione fu una bellissima verticale organizzata il 13 agosto 2006 in una sala della cantina di Via Buon Consiglio a Sondrio, appositamente allestita da mamma Giovanna, Isabella e il fratello Emanuele per un ristretto numero di giornalisti, tra i quali ricordo anche l’amico Franco Ziliani, da tutti conosciuto come “Il Franco tiratore”, poi artefice del blog “Vino al vino”, scomparso dalle scene per ragioni di salute, ma che forse sta per tornare… Fu un evento davvero speciale perché potemmo degustare 6 annate tutte prodotte dal compianto Arturo, fondatore dell’azienda, morto solo due anni prima: Riserva della Casa ’61, ’64, ’69, Valtellina Superiore Sassella Rocce Rosse 1984, Valtellina Superiore Sassella Vigna Regina Riserva ’88 e ’91. I più curiosi possono leggere l’articolo qui.
Ho voluto fare questa premessa, perché quel Rocce Rosse 1984 è stato riproposto lo scorso 10 dicembre, insieme ad altri 13 millesimi, presso l’Agenzia di Pollenzo (CN), per i 40 anni dalla sua creazione e per commemorare i 20 anni dalla scomparsa di Arturo e la prematura perdita di Paolo Camozzi, vice curatore della Guida Slow Wine, avvenuta il 3 aprile di quest’anno a soli 40 anni.
Ma prima di entrare nel merito di questa giornata, che ha visto la partecipazione di tantissimi giornalisti italiani ed esteri, tra cui Kerin O’Keefe, Massimo Zanichelli, Gianni Fabrizio, Alessandro Franceschini, del Master of Wine Gabriele Gorelli e condotta da Isabella, Emanuele, Guido Pelizzatti e dal curatore della guida Slow Wine Giancarlo Gariglio, voglio dire qualcosa su questa nota realtà valtellinese.
Arpepe è indubbiamente un’azienda per certi aspetti unica, ha sempre perseguito una propria strada, tra tradizione e visione prospettica del cambiamento, lontana da mode e correnti, libera dal condizionamento dei mercati, tanto da avere dovuto faticosamente conquistare un proprio spazio mantenendo le proprie caratteristiche (ad esempio i loro vini escono più tardi). Lunghi affinamenti, botti grandi riprendendo antiche abitudini valtellinesi di avere le doghe in rovere, castagno e acacia; vini tutt’altro che muscolari, ma giocati sull’eleganza, in un’epoca in cui molte cantine erano indirizzate a farli opulenti, coloratissimi, concentrati. Lo Sforzato o Sfurzat, spesso considerato l’Amarone della Valtellina, non è mai stato fatto in casa Arpepe, in un periodo in cui sembrava indispensabile produrlo, tanta era la notorietà che aveva raggiunto tra la fine degli anni ’90 e l’inizio del terzo millennio. Secondo Emanuele, che ha raccolto il testimone paterno, non è indispensabile produrre lo Sforzato al giorno d’oggi, per valorizzare un territorio ricco di sfumature come la Valtellina. In azienda si fa l’Ultimi Raggi, una vendemmia tardiva, ma è completamente diverso, mantiene quell’eleganza che caratterizza da sempre i vini di Arpepe.
Insomma, quando Isabella mi ha chiamato per invitarmi a questa storica verticale ho accettato con entusiasmo, consapevole che sarebbe stata un’esperienza indimenticabile.
Oggi l’azienda dispone di 15 ettari vitati, di cui 9,5 nella Sassella, 4,5 in zona Grumello e 1 ettaro in Inferno. Il Rocce Rosse rappresenta il cuore della produzione, con 8 ettari di vigna dedicati, è il primo vino con cui Arturo è ripartito, proprio con l’annata 1984, dopo un lungo periodo di pausa: fino agli anni ’70 l’azienda era molto più grande, aveva più cantine e si chiamava “Arturo Pelizzatti” che era il nome del nonno di Arturo, purtroppo nel 1973 si ammalò e decise con il nipote di vendere tutto compreso il marchio, tranne le vigne. Per dieci anni non è più esistita una cantina che facesse vino, fino a quando Arturo decise che era il momento di riprovarci rilevando quella più importante scavata nella roccia, in Via del Buon Consiglio, dando all’azienda il nome attuale e ripartendo con 6 ettari a disposizione. Se escludiamo quei dieci anni di pausa, l’azienda ha sulle spalle la bellezza di 154 anni, poiché fu fondata da Giovanni Pelizzatti nel 1860… e ora siamo alla quinta generazione!
A dirla tutta Arturo, quando ripartì con la produzione della Riserva Rocce Rosse 1984, ne iniziò la vendita solo nel 1990, perché per lui la riserva doveva essere prodotta solo nelle migliori annate, dopo un lungo affinamento. Inoltre, purtroppo, non aveva l’abitudine di mettere da parte un po’ di bottiglie, se non fosse stato per Giovanna che ne accantonò qualche cartone, martedì 10 dicembre non avremmo potuto degustarla.
La mattinata è iniziata con gli interventi di Guido, Isabella ed Emanuele, che hanno raccontato la storia di Arpepe, in particolare Emanuele ci ha spiegato i tanti cambiamenti che lui ha apportato da quel 2004 in cui ha preso il ruolo del papà, facendo scelte anche all’avanguardia per il territorio valtellinese, non senza critiche e perplessità da parte di altri vignaioli, introducendo i tini in legno tronco-conici per le vinificazioni, dal 2007 la raccolta dell’uva in cassette, ancora poco diffusa in zona, fino ad arrivare alla dibattuta scelta, dopo quasi 14 anni di prove, di non usare più il tappo di sughero monopezzo ma il Nomacorc Reserva, che oltre a evitare qualsiasi rischio di TCA e deviazioni di altra natura, rende sufficiente aggiungere una quantità ridotta di solforosa nella fase di imbottigliamento.
Con Giancarlo Gariglio, curatore della Guida Slow Wine e primo segretario nazionale della FIVI alla sua fondazione nel 2008, si è entrati nel merito dei vini, 14 annate dal 1984 al 2018, un percorso emozionante nel quale è apparso evidente il processo evolutivo in azienda, la sempre maggiore consapevolezza sulla materia e la capacità di trovare le migliori soluzioni per arginare le difficoltà portate dai cambiamenti climatici. Un cambio di passo che non ha stravolto il vino, ma ne ha espresso sempre meglio le potenzialità.
LA DEGUSTAZIONE
Una precisazione: tutti i vini sono Valtellina Superiore Rocce Rosse Riserva firmati Arpepe, tranne il 1984 che riporta “Pelizzatti Perego”. Le annate dalla 1984 alla 1997 sono DOC, mentre dalla 1998 in poi sono DOCG.
1984: dopo quarant’anni ti aspetteresti un vino quasi deceduto, o almeno spento e irrimediabilmente ossidato, così non è, ovviamente è figlio di quel tempo, dei cedimenti ci sono ed è inesorabilmente in discesa, ma avercene un’altra a disposizione non mi girerei di certo dall’altra parte! Intanto quel sorso nel calice è l’unico che non è andato perduto nella sputacchiera, sarebbe stato oltraggioso! A me è piaciuto, racconta molto di quel periodo, ma anche della meticolosità di Arturo, perché con i mezzi di allora a mio avviso ha fatto un piccolo capolavoro. Mi è piaciuto cogliere profumi di miele di castagno, cannella, frutta sotto spirito, ferro, tabacco; mi ha sorpreso sentire ancora un’acidità generosa in un corpo ovviamente affusolato, gentile ma non sommesso, con ancora qualche pennellata balsamica, un nebbiolo che ha molto della Sassella, ha offerto quello che gli è rimasto con grande dignità, facendo tutt’altro che una brutta figura.
1990: annata considerata tra le migliori in quel periodo, sebbene in alcuni casi l’89 l’abbia superata alla distanza. Qui devo dire che ne ho trovato una splendida interpretazione, un vino ancora in grado di circuirti, cremoso, intenso, ematico, con una bella prugna in confettura, sottobosco, radici. Non sembra avere ulteriori possibilità per il futuro, ma al momento porta lo smoking con notevole eleganza.
1995: si distingue subito per i suoi toni più scuri, quasi austeri, inizialmente più chiuso e compatto, si schiude progressivamente rivelando una bella energia, il frutto (ciliegia e prugna) è tutt’altro che stanco, affiorano erbe officinali, tartufo; bocca ancora integra e profonda, che rimanda note chinate, frutto composito, tannino fine e delicato, finale che non ti abbandona più.
1996: uno dei millesimi più enigmatici, almeno per quanto riguarda i vini rossi, con un comportamento altalenante, anche in tempi brevi poteva passare da una chiusura a doppia mandata a un improvviso slancio espressivo. Quando capitava la bottiglia giusta poteva raggiungere vertici elevati, quando capitava…
Qui abbiamo un’esaltazione delle note ematiche e ferrose, tipiche della Sassella, colgo anche la melata; sebbene non tutti fossero d’accordo in sala, a me questo vino ha convinto molto, soprattutto una volta assaggiato, perché l’ho trovato ancora fresco, dinamico e balsamico, direi elegante.
1997: fu giudicata una grande annata, anche calda, va detto che era il periodo dei vini che venivano acquistati en primeur, dal punto di vista commerciale i prezzi salirono vertiginosamente, la comunicazione funzionò alla perfezione. Al netto di tutto questo non è andata così bene come si raccontava, il tempo ha messo in evidenza dei limiti evidenti, non sempre ma abbastanza spesso. La Valtellina però viaggia su un binario tutto suo, forte di una collocazione unica, forte del supporto delle Alpi Retiche a nord e delle Orobie a sud, e “A River Runs Through It” (vi ricordate il film del 1992 con un giovanissimo Brad Pitt e la regia di Robert Redford?), in mezzo scorre l’Adda.
Insomma, anche in questo caso posso dire che il Rocce Rosse fa la sua figura, non gli manca nulla, tutte le componenti sono in perfetta sintonia, emergono note ferrose, di china e liquirizia, forse solo il tannino sembra un po’ meno fine del solito, non del tutto rifinito, ma è comunque un bel bere.
1999: che dire, uno dei migliori in assoluto, il frutto è vivissimo, per nulla toccato da componenti terziarie, addirittura si mette in bella mostra una trama floreale ricca e ammaliante; corpo armonioso, arriva fino al cuore e cedi ai suoi richiami, sul finale emerge ancora la china, leggero fungo, ha ancora strada da percorrere, beato chi potrà riassaggiarlo tra cinque anni.
2001: frutto dolce e cremoso, bel segnale di un vino affascinante, completo, senza sbavature; terra e ferro sono la base di un sorso ricco di nerbo, generoso, pieno. Certamente tra quelli con ancora una lunga prospettiva futura.
2002: gli addetti ai lavori ricordano bene come quell’annata fu davvero complicata per i rossi di quasi tutta Italia, piovosa e mai calda nei momenti giusti. Ancora una volta in Valtellina è stato tutto diverso, anzi, è stata una vendemmia da ricordare, non accaso questa riserva è stata fatta senza alcun timore. E hanno fatto bene, perché è uno dei Rocce Rosse più eleganti di tutta la degustazione, ancora una volta floreale, con un frutto perfetto, finissimo, che bello!
2005: un’altra annata particolare, le cui migliori qualità sono emerse con il tempo, dandone ampia dimostrazione in Langa; devo dire che il Rocce Rosse non sfigura neanche in questo caso, sebbene abbia un timbro un po’ diverso, c’è una certa tensione espressiva, che però mi piace, molto nebbioleggiante, ha una bella freschezza e un frutto compatto e nitido, tannino di una certa stazza, ma di grana fine. Mi piacerebbe risentirlo ben più in là.
2007: ancora una volta l’annata calda non sembra lasciare grandi effetti su questo rosso che richiama la prugna, a tratti anche la ciliegia, in bocca il frutto è croccante, tannino ancora vivo e stimolante, ha volume ma senza per questo appesantirsi, niente male davvero.
2009: altro millesimo che mi ha colpito molto, in bene, interessante l’iniziale nota di cipria, c’ una dolcezza di frutto più evidente rispetto agli altri, il tannino è quello delle grandi annate, vigoroso ma elegante. Qui torna la nota floreale, rosa, viola, iris, poi passa alla ciliegia matura, ha una griglia espressiva da vino giovane e promettente, il bello è che ha fatto 5 anni di botte grande invece di quattro, il che la dice lunga sulle sue grandi potenzialità.
2013: qui passiamo a una macerazione di quasi 70 giorni, Emanuele continua a lavorare alla ricerca della massima qualità possibile, sempre con l’idea di fare vini da lungo invecchiamento. Si sente una sempre maggiore nitidezza e precisione, una florealità netta e finissima. Se pensiamo che ha già 11 anni, e invece è giovanissimo, con una base eccellente per evolvere in maniera fantastica, e io lo aspetto speranzoso di poterlo riassaggiare!
2016: la prima cosa che ho pensato appena l’ho degustato è stato “caspita!”, è un’annata a cui non manca nulla, del resto si sapeva, qui emergono le erbe montane, gli effluvi ematici e una sottile vena balsamica; bocca sontuosa, ricca, coinvolgente, tannino perfetto. Qui sfioriamo i 100 giorni di macerazione, per altre annate forse rischiosi, ma in questo caso è emerso un rosso esaltante.
2018: siamo alla fine, con un ragazzino tutto in divenire ma già con dei tratti che lasciano ben sperare; ha colore ancora rubino, ciliegia e lampone in quantità, profumi belli che invitano all’assaggio, stimolano i sensi, c’è la rosa, l’arancia sanguinella, le melagrana.
Al palato promette molto, nasconde bene l’alcol, che per la prima volta tocca i 14 gradi, ma questo non gli sottrae nulla in finezza; le stagioni più calde come questa consentono da una parte di apprezzare già questo 2018, ma al contempo, grazie alla lunga macerazione, ha una materia ricca e una freschezza più che convincente, da garantire almeno un decennio in crescita.
La chiosa
Ringrazio di cuore la famiglia Pelizzatti e, in particolare, Giovanna che ha fatto sì che la storia di Arpepe potesse continuare, questa è una delle verticali più coinvolgenti che io ricordi, e di questo sarò a loro sempre grato per avermi invitato. La Valtellina è sempre più nel mio cuore.
Roberto Giuliani