L’Unione Europea e il cioccolato
Attenti alle idi di marzo…
L’Unione Europea il 15/marzo/2000 ha concesso alle multinazionali che decidono come dobbiamo nutrirci, di inserire nel cioccolato, al posto del burro di cacao, altri grassi vegetali nella misura del 5% del peso complessivo.
Analizziamo meglio come si è giunti a ciò e quali sono le conseguenze.
– Parma, non sarà una delle sedi dell’agenzia europea per la sicurezza alimentare, è stata bocciata la sua candidatura… meglio luoghi con meno tradizione e vocazione alimentare e magari con più tradizione burocratica.
LA DIRETTIVA DEL ’73
La direttiva CEE 241 del 1973 proibì ai paesi aderenti l’impiego di grassi vegetali diversi dal burro di cacao per la produzione del cioccolato.
Il provvedimento concesse a Danimarca, Irlanda e Gran Bretagna una proroga di tre anni per l’armonizzazione della loro legislazione interna in materia alla direttiva comunitaria, in virtù di una consolidata consuetudine di impiego di grassi vegetali sostitutivi del cacao fino al 5%.
I tre stati non si sono mai adeguati al divieto di cui alla direttiva 241/73.
Nel 1985 si tentò di porre fine alla discriminazione tra gli stati in questione e il resto degli stati membri cercando già allora di consentire la sostituzione del burro di cacao con altri grassi vegetali, ma il Parlamento Europeo si oppose argomentando che una tale soluzione avrebbe cagionato danni economici e commerciali ai paesi Africani produttori di cacao.
UN PROBLEMA DI CONCORRENZA
Ma a partire dal 1992, la Commissione Europea ha avviato un progetto di modifica della direttiva, revisione indispensabile dopo il trattato di Maastricht ed il summit di Edimburgo, in virtù del principio della libera circolazione delle merci e del mutuo riconoscimento per cui un paese membro della CEE ( oggi Unione Europea ) non può vietare l’esportazione di un prodotto fabbricato nel rispetto delle norme in vigore nel Paese membro esportatore: (Austria, Finlandia e Svezia i cui ordinamenti consentivano l’impiego di grassi vegetali). Pertanto, dei 15 Paesi membri dell’Unione Europea, otto non consentivano l’uso di grassi vegetali ( Belgio, Lussemburgo, Francia, Italia, Grecia, Germania, Olanda, Spagna), sette sì (Austria, Finlandia, Svezia, Danimarca, Irlanda e Gran Bretagna per i motivi sopra ricordati, ed il Portogallo, che nel 1993 aveva modificato la propria legislatura per consentire l’impiego di grassi vegetali). Da queste discriminazione è scaturito un problema di concorrenza: L’AIDI ( Associazione industrie Dolciarie Italiane ) sostiene che con il mercato unico, i prodotti dei paesi che consentono la sostituzione parziale di burro di cacao possono circolare liberamente, mentre le imprese dei paesi che non ammettono l’impiego di grassi vegetali di sostituzione risulterebbero penalizzate sul piano concorrenziale e fortemente penalizzate sul proprio mercato.
I COSTI
Ma in realtà tutto gioca intorno ad un problema di costi: Il burro di cacao verrebbe infatti sostituito per il 50% da olio di Karitè, per il 30 % da olio di palma e per il 20% da olio di semi di illipe i cui paesi produttori sono principalmente Mali e Burkina Faso. Ma in realtà non sarebbero questi i paesi avvantaggiati dalla revisione della direttiva Europea, ma le grandi multinazionali del caco le quali beneficerebbero non tanto del fatto che le materie grasse vegetali sostitutive costano circa il 20% in meno rispetto al burro di cacao, quanto al fatto che le stesse compagnie produttrici hanno ormai perfezionato il modo di riprodurre sinteticamente i sostituti del burro di cacao partendo dall’olio di palma e dai semi di girasole e di colza (guarda caso prodotto quest’ultimo anche in Germania, Danimarca e Austria).
E’ superfluo sottolineare poi che solamente le grandi compagnie cioccolatiere ne ricaverebbero dei vantaggi: sicuramente non ne ricaverebbero i piccoli produttori , che non sono attrezzati tecnologicamente per sostituire a prezzi contenuti il burro di cacao con le materie grasse vegetali di basso costo; non è detto poi che un minore prezzo della produzione si traduca in una diminuzione dei prezzi al dettaglio e quindi neanche i consumatori, probabilmente saranno avvantaggiati: é poi falso che i paesi produttori di karité si avvantaggerebbero della sostituzione (come invece sostengono le multinazionali del cioccolato): Da un lieve incremento della domanda di karité nel brevissimo periodo si passerebbe, nel medio-lungo periodo ad una progressiva diminuzione della domanda.
I PAESI PRODUTTORI
E’ chiaro che risulterebbero penalizzati soprattutto i paesi produttori di cacao: si stima che, se gli otto stati che attualmente non usano materie grasse vegetali sostitutive, cominciassero a farlo, le esportazioni calerebbero di 65.000/130.000 tonnellate all’anno in tempi brevi e di 140.000/ 300.000 tonnellate all’anno in tempi lunghi.
A parte conseguenze a livello macro-economico che certi paesi sopporterebbero( si pensi che l’esportazione del burro di cacao rappresenta quasi il 40% del PIL Ghanese, il 38,7% del PIL della Costa d’Avorio e il 18% di quello del Camerun) sarebbero disastrosi gli effetti immediati per il milione e duecentomila produttori e gli undici milioni di persone che dipendono direttamente dal raccolto.
Maurizio Taglioni