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Latte e uova nel vino ?!?! ora si scriverà anche in etichetta!

 

AllergeniDal 1° luglio entra in vigore il Regolamento europeo CE579/2012 relativo all’etichettatura dei vini trattati con prodotti potenzialmente allergenici: sarà obbligatorio etichettare i vini prodotti dalla vendemmia 2012 con la dicitura prevista per gli allergeni, ossia attraverso “pittogrammi” che indichino la presenza di latte e suoi derivati e dell’uovo e suoi derivati; sarà obbligatorio a meno che i residui di tali prodotti non si attestino al di sotto di una specifica soglia, come stabilito dal Regolamento stesso.
La presenza delle sostanze allergeniche deve essere rilevata con il metodo analitico ELISA autorizzato dall’OIV, che fissa per l’uovo e derivati e per il latte e derivati, il limite di rilevabilità a un valore inferiore a 0,25 mg/l.
Partendo da questa notizia cerchiamo ora di capirci qualcosa di più riguardo l’impiego di questi possibili allergeni in fase di vinificazione, precisamente durante il processo di chiarifica; ma, cos’è la chiarifica? A cosa serve? Parliamone!

Macchina per la stabilizzazione e la chiarifica dei viniLa chiarifica serve sostanzialmente per illimpidire e stabilizzare il vino, eliminando proteine e composti polifenolici che potrebbero rendere il prodotto torbido e suscettibile a modifiche nel tempo oltre che “non invitante” agli occhi di noi consumatori. Quest’operazione può esser fatta sia attraverso metodi fisici sia con aggiunta di particolari sostanze che reagendo con le particelle responsabili della torbidità del prodotto flocculano e rendono il vino limpido. Il processo, in questo caso, è chiamato collaggio.
Facendo una comparazione con i vecchi sistemi utilizzati si può dire che ” quando il vino si faceva in casa” il metodo sicuramente più adottato era quello della decantazione statica che consiste semplicemente nel lasciar depositare spontaneamente le particelle colloidali sul fondo della vasca; questa tecnica, seppur economica e semplice, risulta lenta e richiede una notevole disponibilità delle attrezzature di cantina, per non parlar poi dei rischi di ossidazioni ai quali il vino è sottoposto.
Per quanto riguarda i metodi fisici, oltre a quello appena menzionato, si ricordano la centrifugazione, la filtrazione e la flocculazione (in questo caso si ricorre comunque all’uso, seppur limitato, di chiarificanti). Ci soffermeremo ora sui due prodotti presi in esame dalla nuova normativa e che dovranno, se utilizzati nel processo di vinificazione, esser indicati in etichetta: CASEINATO e ALBUMINA.

Caseinato. Utilizzata soprattutto per il collaggio dei vini bianchi intervenendo sul colore e sul sapore del prodotto; esso, infatti, essendo una proteina di carica positiva reagisce con i polifenoli soprattutto catechine e leucoantociani, più facilmente ossidabili.
Albumina. Particolarmente indicata per vini rossi di pregio poiché questa proteina tende a legarsi con i tannini (polifenoli presenti nelle bucce e nei vinaccioli e quindi nei mosti rossi) e a ridurre così l’astringenza dei vini conferendogli una maggior morbidezza.
Sia l’albumina sia la caseina rientrano tra la sezione dei chiarificanti organici, vale a dire che essi hanno una carica superficiale positiva e quindi introdotti nel vino reagiranno con determinati polifenoli e andranno a precipitare sottoforma di flocculo eliminando così possibili cause di instabilità. L’eliminazione di questo precipitato può esser fatta con travasi, filtrazione o con l’aiuto di altri additivi.
Nel caso della caseina il tutto avviene in modo naturale mentre se si utilizza albumina è necessario eliminare i residui con l’ausilio di altri prodotti, ad esempio la bentonite, per evitare che complessi solubili proteina-tannino precipitino poi in bottiglia.

Collaggio vini - Fonte LAFFORT INFO num.86 (Gennaio - Febbraio 2013)Tornando al soggetto principale di questo articolo mi chiedo ora se i produttori continueranno a utilizzare albumina e caseinato (indicando ovviamente in etichetta) oppure proveranno ad adottare altri sistemi cercando comunque di ottenere lo stesso risultato dal punto di vista qualitativo e, non da sottovalutare, ponendo un occhio di riguardo anche al “portafogli” poiché non tutti i chiarificanti o le attrezzature per procedimenti fisici hanno il medesimo costo.
A mio avviso il dover indicare in etichetta la possibilità di allergeni porterà i produttori a seguire questa seconda via poiché il consumatore tenderà ad acquistare prodotti esenti da possibili allergeni credendo di acquistare un prodotto più salutare (non è poi detto visto e considerato che utilizzare ad esempio gelatine o colla di pesce è consentito). Inoltre, essendo davvero irrisoria la soglia minima per cui si deve indicare la possibile presenza di questi allergeni nel vino, esso sarà portato a credere che all’interno del prodotto che va ad acquistare vi siano dosi rilevanti di albumina o caseina.
Sono in corso varie ricerche per verificare l’assenza di attività allergizzanti residue dopo il trattamento di chiarifica ma per ora non è ancora possibile dimostrare con certezza la loro totale assenza nel vino finito perciò è stata posta come soglia limite oltre la quale si deve indicare in etichetta la presenza di possibili residui 0.25mg/L.
Oltre a questi prodotti ovviamente ve ne sono altri sempre di origine animale e con simili proprietà come ad esempio la gelatina e la colla di pesce e altri di tipo minerali quali bentonite, carbone e sol di silice (non tutti indicati per i medesimi scopi).
Al momento, per rispondere alle esigenze del mercato enologico, si sta anche seguendo uno studio sulle proprietà delle proteine vegetali nella prospettiva di un loro impiego per il collaggio dei vini; quelle prese in esame sono estratti di glutine (il problema allergeni si ripresenterebbe??) o derivanti da leguminose ma per ora i risultati non sono ancora del tutto comparabili con quelli derivanti dall’utilizzo delle proteine animali.
Pare però che le proteine estratte dal pisello e dal glutine siano particolarmente indicate per mosti e vini bianchi per la loro affinità con i polifenoli ossidabili e quindi potenziali sostituti del caseinato mentre per i rossi sia più indicata la proteina di frumento data la sua spiccata reattività con i tannini (Fonte: “Proteine vegetali, esperienze d’impiego” di Maria Manara e Giusy Salvo).
Altra faccenda è il lisozima, un estratto del bianco d’uovo poi purificato. Esso ha svariate proprietà tra le quali: azione antimicrobica verso i batteri lattici, evitare produzione di acidità volatile e soprattutto ridurre o ritardare l’utilizzo dell’SO2 soprattutto in fase di preimbottigliamento. Questo estratto, però, non può sostituire completamente l’anidride solforosa avendo si proprietà antimicrobiche ma non antiossidanti.
Anche in questo caso l’enzima viene quasi completamente allontanato dal prodotto ma la sua totale assenza non è dimostrata e quindi come nei due casi precedenti esso deve essere indicato in etichetta come prodotto potenzialmente presente.
Ora mi sorge spontanea una domanda: si preferisce utilizzare lisozima limitando le dosi di SO2 (dannosa per la salute oltre una certa quantità) riportando in etichetta il tutto oppure evitare l’utilizzo del derivato dal bianco d’uovo aumentando quindi le dosi di solfiti ma non dovendo aggiungere note in etichetta?
Il dibattito è aperto.

 

Sara Morozzi

Nata a Lugo di Ravenna, sommelier AIS, laureata in Viticoltura ed Enologia presso l'Università di Bologna; ad oggi Tecnico Commerciale e docente presso l'Università per Adulti di Lugo (RA), collabora con Lavinium per la sezione "Enologica", fornendo un notevole contributo tecnico/scientifico. Lo scopo della sezione è affrontare il mondo dell'Enologia dal punto di vista tecnico cercando di raccontare in modo semplice e comprensivo anche ai non addetti ai lavori quel che c'è dietro ad una bottiglia di vino.

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