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Le DOC dell’Emilia Romagna: Colli d’Imola

Le Doc dell'Emilia Romagna: Colli di Imola


❂ Colli d’Imola D.O.C.
(Approvato con D.M 1/7/1997 – G.U. n.156 del 7/7/1997; ultima modifica P.M. 12/7/2019 – G.U. n.178 del 31/7/2019)


zona di produzione
● in provincia di Bologna: comprende i territori a vocazione viticola ricadenti nei Comuni di Borgo Tossignano, Casalfiumanese, Castel San Pietro Terme, Dozza, Fontanelice, Imola e Ozzano dell’Emilia; per i Comuni di Imola, Dozza, Castel San Pietro Terme ed Ozzano dell’Emilia, il limite a valle è delimitato dalla Strada Statale n. 9 “Emilia”;

base ampelografica
● bianco (anche frizzante, superiore): uve provenienti da vigneti composti, nell’ambito aziendale, da uno o più vitigni a bacca di colore analogo, non aromatici, idonei alla coltivazione in Emilia-Romagna, iscritti nel Registro Nazionale delle Varietà di vite per uve da vino approvato con D.M. 7/5/2004, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n.242 del 14/10/2004, e
successivi aggiornamenti;

● con menzione del vitigno bianchi (anche frizzante): Trebbiano (da trebbiano romagnolo), Chardonnay, min. 85%, possono concorrere alla produzione di detti vini, da sole o congiuntamente, anche le uve a bacca di colore analogo, provenienti dai vitigni idonei alla coltivazione in Emilia-Romagna, max. 15%;
● rosso (anche riserva, Novello): uve provenienti da vigneti composti, nell’ambito aziendale, da uno o più vitigni a bacca di colore analogo, non aromatici, idonei alla coltivazione in Emilia-Romagna, iscritti nel Registro Nazionale delle Varietà di vite per uve da vino approvato con D.M. 7/5/2004, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n.242 del 14/10/2004, e
successivi aggiornamenti;

● con menzione del vitigno rossi: Sangiovese (anche riserva), Barbera (anche frizzante), Cabernet Sauvignon (anche riserva), min. 85%, possono concorrere alla produzione di detti vini, da sole o congiuntamente, anche le uve a bacca di colore analogo, provenienti dai vitigni idonei alla coltivazione in Emilia-Romagna, max. 15%;

norme per la viticoltura
per i nuovi impianti e reimpianti, la densità dei ceppi per ettaro non può essere inferiore a 3.330;
è consentita l’irrigazione di soccorso, per un massimo di due volte, prima dell’invaiatura;
la resa massima di uva in coltura specializzata e il titolo alcolometrico volumico naturale minimo devono essere le seguenti:

  • “Colli d’Imola” Bianco, Trebbiano (da trebbiano romagnolo): 12 t/Ha e 10,50% vol.
  • “Colli d’Imola” Bianco Superiore: 11 t/Ha e 11% vol.
  • “Colli d’Imola” Rosso, Chardonnay: 10 t/Ha e 10,50% vol.
  • “Colli d’Imola” Barbera, Sangiovese: 10 t/Ha, 11% vol.
  • “Colli d’Imola” Cabernet Sauvignon: 9 t/Ha e 11% vol.

le uve destinate alla produzione dei vini “Colli d’Imola” nelle tipologie frizzanti e novello, possono avere un titolo alcolometrico volumico minimo naturale inferiore dello 0,5% rispetto ai valori sopraindicati;

norme per la vinificazione
le operazioni di vinificazione devono essere effettuate all’interno della zona di produzione, tuttavia, tenuto conto delle situazioni tradizionali di produzione, è consentito che tali operazioni siano effettuate anche nell’ambito dell’intero territorio della provincia di Bologna;
le operazioni di elaborazione del vino “Colli d’Imola” nella tipologia “Frizzante“, ossia le pratiche enologiche per la presa di spuma e la stabilizzazione, nonché le operazioni di imbottigliamento e di confezionamento, devono essere effettuate entro i territori delle province di Bologna, Forlì, Ravenna e Modena;
per i vini “Colli d’Imola” Riserva, la presenza di zuccheri riduttori massima consentita all’imbottigliamento è di 4 grammi/litro. La menzione “Riserva” è attribuita al vino sottoposto a un periodo di invecchiamento obbligatorio non inferiore a 18 mesi, anche in recipienti di legno. In quest’ultimo caso la sosta non può essere inferiore ai 2 mesi. Il periodo di invecchiamento decorre dal 1° novembre dell’anno di produzione delle uve;
il vino “Colli d’Imola” senza alcuna specificazione, prodotto da vitigni a bacca rossa e qualificato “Novello“, deve essere ottenuto con almeno il 50% di vino proveniente dalla macerazione carbonica delle uve;

norme per l’etichettatura e l’imbottigliamento
nella designazione dei vini a denominazione di origine controllata “Colli d’Imola”, può essere utilizzata la menzione “vigna” a condizione che sia seguita dal relativo toponimo o nome tradizionale, che la vinificazione e la conservazione del vino avvengano in recipienti separati e che tale menzione, seguita dal relativo toponimo o nome tradizionale, venga riportata sia nella denuncia delle uve, sia nei registri e nei documenti di accompagnamento e che figuri nell’apposito elenco regionale ai sensi dell’art. 6 comma 8 del decreto legislativo n. 61/2010;
nella presentazione e designazione dei vini a denominazione di origine controllata “Colli d’Imola” è obbligatoria l’indicazione dell’annata di produzione delle uve sui contenitori di capacità nominale pari o inferiore a 5 litri;
nel confezionamento dei vini a denominazione di origine controllata “Colli d’Imola”, è vietato l’utilizzo del tappo a corona e a vite nei contenitori di capacità nominale superiore a 0,375 litri;
per le versioni frizzanti, è consentito l’utilizzo del tappo a fungo di sughero, ancorato con gabbietta, tradizionalmente utilizzato nella zona di produzione;
è consentito l’uso di contenitori in ceramica, tradizionalmente utilizzati nella zona;

legame con l’ambiente
A) Informazioni sulla zona geografica
Fattori naturali rilevanti per il legame
Studi di zonazione viticola hanno permesso di definire in modo piuttosto preciso che terre su cui si sviluppa la viticoltura dei Colli d’Imola. A partire dalla via Emilia si incontrano dapprima le “terre decarbonatate della pianura pedemontana”, suoli pianeggianti che si sono formati in sedimenti fluviali a tessitura media. Sono molto profondi, a tessitura media, con buona disponibilità di ossigeno, elevata capacità di acqua disponibile e buona fertilità naturale; da scarsamente a moderatamente calcarei nell’orizzonte lavorato e con contenuti in calcare decisamente più elevati negli orizzonti profondi. A seguire le “terre scarsamente calcaree del margine appenninico”, costituite da suoli dolcemente ondulati (pendenza 3-12%) o ondulati (pendenza 10-20% nelle parti basse, fino a 20-35% nelle parti più incise), che si sono formati in sedimenti argilloso-limosi deposti dai fiumi centinaia di migliaia di anni fa. Sono molto profondi, a tessitura moderatamente fine o fine, moderatamente calcarei in superficie e molto calcarei negli orizzonti profondi. Possono essere soggetti a ristagno idrico.
Le “terre limose dei terrazzi antichi” sono estese paleosuperfici, pianeggianti o dolcemente inclinate, formate da sedimenti fluviali a varia tessitura, con una componente superficiale talvolta di origine eolica.
Sono terreni molto profondi, a tessitura fine o media su fine, non calcarei, strutturalmente poco stabili e soggetti a ristagno idrico. Per conservare o migliorare la fertilità fisico-idrologica richiedono buoni apporti di sostanza organica.
Proseguendo verso i calanchi, tipicamente a quote comprese tra 130 e 380 m. s.l.m., si trovano le “terre calcaree del basso Appennino, localmente associate a calanchi”, che si caratterizzano per l’alternarsi di versanti brevi e rettilinei e di versanti lunghi moderatamente ripidi (pendenza dal 7 al 35%). Questi suoli si sono formati in rocce prevalentemente argillose o pelitiche, con intercalazioni sabbiose di età pliocenica, e si presentano con profondità variabile da moderata a molto profonda, a tessitura media, da scarsamente a fortemente calcarei. Talora sono presenti orizzonti con accumulo di carbonati di calcio e possono presentare il substrato di roccia tenera (peliti) entro i 100 cm di profondità.
Infine si arriva in prossimità della formazione Marnoso-arenacea, che ha dato origine alle “terre calcaree del basso Appennino con versanti a franapoggio e reggipoggio”. Le quote sono tipicamente tra 110 e 430 m. s.l.m. Sono suoli moderatamente ripidi, da moderatamente a molto profondi, a tessitura media, calcarei e che possono presentare il substrato roccioso entro i 100 cm di profondità. Qui la viticoltura arriva al suo limite più elevato, ma può dare ottimi risultati su aree sottoposte ad adeguata regimazione delle acque superficiali e su versanti ben sistemati, poiché uno dei problemi più sentiti in queste terre è l’erosione.
Per quanto riguarda il clima, partendo dalla via Emilia con sommatorie termiche intorno ai 2000-2200 gradi giorno (indice di Winkler), si arriva intorno al 1500-1600 gradi giorno delle aree più alte della viticoltura.
Fattori umani rilevanti per il legame
La viticoltura sui colli imolesi è attestata sin da epoca medioevale, e nel 1300 si parla espressamente di Albana quale varietà di pregio per il territorio, nonché di altre uve bianche arrivate fino ai giorni nostri, come Trebbiano, Maligia, Garganega e Verdea. Tra le uve nere, invece, sono ricordati nomi (Grilla, Ziziga o Rubiola, Maiolo) di cui ad oggi si è persa memoria, ad eccezione della Lambrusca. Nel Settecento, con le bonifiche idrauliche della pianura e l’avvento della mezzadria, si diffonde e si afferma la piantata, sebbene in collina permanga anche la coltura specializzata in vigna, con netta preferenza per i vitigni bianchi (Albana, Malvasia, Moscatelli, ecc.), che dava adito ad una certa esportazione. In questo periodo i vini di Imola si creano una buona reputazione, tanto che un documento del 1824 riferisce che sono fatti a dovere e molto apprezzati. Nell’Ottocento i nobili locali iniziano ad introdurre in coltivazione anche alcuni vitigni stranieri, per lo più francesi (Pinot bianco, Pinot nero, Sauvignon e Cabernet Sauvignon e Cabernet franc), che si affiancano sia in campo che nelle miscele di vino ai consolidati vitigni locali (Albana, Trebbiano, Sangiovese, Negretto). Nel 1885 viene fondata anche una cantina sperimentale, allo scopo di studiare le varietà coltivate sul territorio (per consigliare nella scelta dei vitigni per i nuovi impianti) e sviluppare le industrie inerenti l’enologia. Si può collocare, quindi, in questo periodo la nascita di una viticoltura dei colli di Imola finalizzata a produzioni qualitative, sempre più aderenti alle richieste del mercato. Le alterne vicende della fillossera e dei due conflitti mondiali determinano pesanti ripercussioni sulla viticoltura e sull’agricoltura di collina in generale, ma i produttori rimasti proseguono la loro attività, sempre con un occhio di riguardo alla qualità. A partire dalla seconda metà degli anni ’90 del Novecento la viticoltura di collina viene ristrutturata e iniziano a farsi strada nuove tecniche e tecnologie enologiche in grado di valorizzare ulteriormente una materia prima già particolarmente curata in vigna.
B) Informazioni sulla qualità o sulle caratteristiche del prodotto essenzialmente o esclusivamente attribuibili all’ambiente geografico
Grazie alla scelta varietale e alla collocazione dei vitigni negli ambienti più congeniali, nell’areale della DOC “Colli d’Imola” è possibile ottenere una gamma di prodotti ampia e qualitativamente rispondente alle diverse esigenze dei consumatori.
Nei fondo valle e nei terreni più freschi, infatti, si possono ottenere vini bianchi leggeri, magari frizzanti, che puntano sostanzialmente sulla freschezza dei sentori floreali e di frutta gialla poco matura (mela verde, ad esempio). Nei terreni più ricchi d’argilla e calcare, esposti a Nord/Nord-Est, ci si può spingere verso vini bianchi più strutturati che si prestano anche per l’affinamento in legno, ottenendo bouquet complessi e accattivanti. Certi ambienti e la paziente opera dell’uomo si prestano anche per la vendemmia tardiva di uve come l’Albana in grado di trasformarsi in vini del tutto particolari.
Tra i vini rossi si possono trovare prodotti piuttosto strutturati, ricchi di sentori fruttati ben maturi e persino con note speziate, specie nel Cabernet Sauvignon. Non mancano però anche prodotti meno strutturati che puntano soprattutto sulla freschezza degli aromi fruttati.
C) Descrizione dell’interazione causale fra gli elementi di cui alla lettera A) e quelli di cui alla lettera B)
Le migliori espressioni enologiche del territorio imolese nascono proprio dalla interazione tra ambiente e azione dell’uomo. Lo spirito di innovazione ha introdotto da tempo varietà differenti da quelle tradizionalmente in uso, ampliando la base ampelografica locale e di conseguenza la gamma dei vini proposti sul mercato. Inoltre si è cercato di indirizzare la ristrutturazione dei vigneti favorendo la messa a dimora dei vitigni negli ambienti più congeniali alla loro migliore espressione colturale.
Le “terre decarbonatate della pianura pedemontana”, in generale, tendono ad assecondare la naturale vigoria delle piante, pertanto sono quelle aree in cui vengono collocati i vitigni meno vigorosi (Riesling italico, Trebbiano romagnolo) o comunque innestati su portinnesti che non ne favoriscono la vigoria. Con adeguati interventi agronomici, comunque, si riesce a controllare la produzione e si raggiungono buoni livelli qualitativi. Si tratta comunque dei suoli meno vocati per vitigni a bacca nera.
Sulle “terre scarsamente calcaree del margine appenninico” la maggior parte dei vitigni può esprimere una buona potenzialità produttiva, con soddisfacenti livelli qualitativi, specie nelle situazioni di maggiore pendenza, che assicurano uno sgrondo migliore delle acque.
Sulle “terre limose dei terrazzi antichi” alcuni vitigni (ad es. Barbera, Malvasia di Candia aromatica) si esprimono piuttosto bene dal punto di vista qualitativo, anche se occorre intervenire con adeguate pratiche agronomiche (cimatura, sfogliature, diradamenti) per mantenere un adeguato e costante equilibrio vegetoproduttivo ogni anno.
Le “terre calcaree del basso Appennino, localmente associate a calanchi”, sono aree con elevata variabilità pedologica, in cui anche il clima inizia ad esercitare una certa influenza, pertanto l’esposizione e le più adeguate soluzioni impiantistiche hanno un peso importante che si affianca all’influenza del suolo nel determinare la qualità delle uve. I vini rossi che derivano dalle uve coltivate in queste aree si presentano piuttosto strutturati, molto colorati e particolarmente ricchi di indicatori qualitativi (sentori fruttati e speziati).
Le elevate altitudini delle “terre calcaree del basso Appennino con versanti a franapoggio e reggipoggio” possono comportare ritardi nelle fasi fenologiche principali, quindi alle quote più alte e sui versanti migliori (senza eccesso di irraggiamento luminoso, che causa scottature), le varietà precoci possono essere di soddisfazione: Chardonnay ma anche Merlot se non ci sono problemi di siccità, danno ottimi risultati qualitativi.

Roberto Giuliani

Figlio di un musicista e una scrittrice, è rimasto da sempre legato a questi due mestieri pur avendoli traditi per trent’anni come programmatore informatico. Ma la sua vera natura non si è mai spenta del tutto, tanto che sin da ragazzo si è appassionato alla fotografia e venticinque anni fa è rimasto folgorato dal mondo del vino, si è diplomato sommelier e con Maurizio Taglioni ha fondato Lavinium, una delle prime riviste enogastronomiche del web, alla quale si dedica tutt’ora anima e corpo in qualità di direttore editoriale. Collabora anche con altre riviste web e ha contribuito in più occasioni alla stesura di libri e allo svolgimento di eventi enoici. Dal 2011 fa parte del gruppo Garantito Igp.

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