► zona di produzione
● in provincia di Benevento: comprende l’intero territorio amministrativo dei comuni di Apollosa, Bonea, Campoli del Monte Taburno, Castelpoto, Foglianise, Montesarchio, Paupisi, Ponte e Torrecuso ed in parte il territorio dei comuni di Benevento, Cautano, Tocco Caudio e Vitulano;
► base ampelografica
● rosato, rosso, rosso riserva o riserva: aglianico min. 85%, possono concorrere altre uve a bacca nera, idonee alla coltivazione per la provincia di Benevento, max. 15%;
► norme per la viticoltura
● per i nuovi impianti e reimpianti la forma di allevamento deve essere la controspalliera e la densità in coltura specializzata non può essere inferiore a 3.000 ceppi/Ha;
● è consentita l’irrigazione di soccorso;
● la resa massima di uva per ettaro di vigneto in coltura specializzata non deve essere superiore a 9 t/Ha e il titolo alcolometrico volumico naturale minimo deve essere di 11,50% vol. (12,00% vol. per Rosso Riserva o Riserva);
► norme per la vinificazione
● le operazioni di vinificazione, di invecchiamento e affinamento obbligatorie e di imbottigliamento devono essere effettuate all’interno del territorio amministrativo dei comuni della zona delimitata, anche se solo in parte compresi nella zona di produzione delle uve;
● è consentito l’arricchimento nei limiti stabiliti dalle norme comunitarie e nazionali;
● il vino “Aglianico del Taburno” Rosato non può essere immesso al consumo prima del 1 marzo dell’anno successivo a quello della vendemmia;
● il vino “Aglianico del Taburno” Rosso, prima dell’immissione al consumo, deve essere sottoposto ad un periodo di invecchiamento obbligatorio di 2 anni a far data dal 1° novembre dell’anno di raccolta delle uve, mentre per la tipologia “Riserva” l’invecchiamento minimo deve essere di 3 anni, di cui almeno 12 mesi in botti di legno e 6 mesi in bottiglia, a decorrere dal 1° novembre dell’annata di produzione delle uve;
► norme per l’etichettatura e il confezionamento
● nella designazione e presentazione dei vini a denominazione di origine controllata e garantita “Aglianico del Taburno” deve sempre figurare, veritiera e documentabile, l’annata di produzione delle uve;
● la menzione in etichetta del termine «vigna» seguita dal corrispondente toponimo è consentita in conformità alle norme vigenti;
● il vino a Docg “Aglianico del Taburno” deve essere immesso al consumo in bottiglie o altri recipienti di vetro di capacità non superiore a 6 litri. Inoltre, a scopo promozionale, è consentito l’utilizzo delle capacità da litri 9, 12, 15;
● i recipienti di cui al comma precedente devono essere di tipo bordolese o borgognotta, chiusi con tappo di sughero naturale e, per quanto riguarda l’abbigliamento, confacenti ai tradizionali caratteri di un vino di particolare pregio;
► legame con l’ambiente
● A) Legame con la zona geografica
1) Fattori naturali rilevanti per il legame con la zona geografica
La zona geografica delimitata comprende l’intero territorio amministrativo dei comuni di Apollosa, Bonea, Campoli del Monte Taburno, Castelpoto, Foglianise, Montesarchio, Paupisi, Torrecuso e Ponte ed in parte il territorio dei Comuni di Benevento, Cautano, Vitulano e Tocco Caudio, tutti in provincia di Benevento.
Il territorio interessato, dal punto di vista litologico e della geomorfologia, appare come una unità ben individuata.
La morfologia superficiale è caratterizzata da rilievi sempre intervallati da depressioni carsiche a fondo pianeggiante, e da incisioni che testimoniano la violenza di antiche fasi erosive quaternarie in conseguenza di eventi localizzati ed intensi.
Dal punto di vista litologico le formazioni sulle quali si sviluppano i suoli sono sedimenti cartonatici mesozoico-terziari, o sedimenti terrigeni terziari, sedimenti clastici e piroclastici quaternari.
I sedimenti cartonatici sono dolomie, calari dolomitici e calcari. I sedimenti terrigeni sono costituiti da arenarie e da argille varicolori scagliose e si rinvengono affioranti su entrambi i versanti orientale e occidentale del Massico. Le coltri argillose sono costituite da argille rosso mattone, verdi e grigie. Costituiscono i materiali di maggior interesse per il loro contributo alla pedogenesi, in concorso con i sedimenti clastici e piroclastici quaternari che ammantano quasi tutti i rilievi, colmano le depressioni e sono intimamente misti al substrato pedogenetico.
I suoli dell’area sono i tipici “regosuoli”. Il substrato predominate è costituito da rocce tenere arenarie, argilli, calcareniti.
L’orizzonte superficiale lavorato presenta struttura generalmente grumosa e, meno comunemente, poliedrica, da moderata a friabile e, in profondità, tende a divenire poliedrica, più resistente, con facce di pressione. È generalmente poco profondo, talvolta esile. Immediatamente sottostante è spesso presente un orizzonte a drenaggio lento, che costituisce la principale limitazione d’uso riscontrabile nel comprensorio; limitazione che può essere agevolmente superata mediante l’impiego di adeguata meccanizzazione e con appropriate pratiche agronomiche, considerato che i materiali di substrato sono generalmente teneri.
Per quanto riguarda la granulometria prevalgono i costituenti di dimensioni sottili (inferire a 0,02 mm) e di conseguenza risultano generalmente elevati i valori dei contenuti d’acqua a diversi punti a potenziale caratteristico. La capacità per l’acqua è generalmente elevata e, come per le altre caratteristiche fisiche, può essere favorevolmente esaltata con la razionalizzazione delle pratiche agronomiche e della forma di utilizzazione del suolo.
I suoli sono prevalentemente saturi. Il carbonato di calcio è un costituente normalmente presente, anche in forma finemente diffusa o in forma di noduli di precipitazione. I terreni non risultano particolarmente ricchi di composti azotati ed organici, che possono esser agevolmente integrati con le normali pratiche di fertilizzazione. Nel caso dei materiali argillosi si tratta di un substrato dotato di capacità di scambio favorevole ad assicurare la adeguata disponibilità di nutritivi all’esplorazione radicale delle coltura arboree.
Dall’esame complessivo dei caratteri generali del territorio, dei caratteri costituzionali dei suoli dominanti e dall’esame dei dati analitici, emerge che l’area risulta fortemente vocata alla coltivazione della vite, specie se supportata da idonee pratiche colturali relative alle lavorazioni del terreno.
La zona, infine, è nel suo insieme collinare, con altimetria compresa tra i 200 e i 650 m. slm.
Il clima rappresenta uno dei più importanti fattori di formazione del suolo e di regolazione di tutti gli eventi chimici e biochimici che in esso hanno sede, la sua evoluzione e degradazione, lo sviluppo e moltiplicazione dei microrganismi, la abitabilità per le colture, lo sviluppo e accrescimento delle essenze erbacee ed arboree.
La zona si caratterizza per fondovalle riparati e ben esposti, a temperatura mite e piovosità intorno ai 1000 mm. annui; alle quote più elevate, invece, gli inverni sono più freddi, le estati moderatamente calde, con una piovosità che può raggiungere i 1400 mm. annui.
Si rilevano periodi di aridità da un massimo di 2 mesi (metà giugno, metà agosto) nelle zone ad altitudine più limitata, fino a divenire minimi nelle aree a quota più elevata.
La distribuzione delle piogge segue l’andamento tipico delle aree interne, con massimi di piovosità in autunno e talvolta un secondo massimo in primavera.
Con questi andamenti le zone a quote inferiori non sono soggette a lisciviazione delle basi e il regime idro-meteorico non comporta asportazione di nutritivi. Nelle aree a quota maggiore la lisciviazione è limitata e risulta moderata dalla natura del substrato nel quale è generalmente presente il calcio che è fattore di stabilizzazione.
Nel complesso l’intera zona presenta caratteristiche climatiche particolarmente favorevoli alla coltivazione della vite e ben armonizzate con le esigenze della coltura in corrispondenza delle diverse fasi fenologiche.
La zona nel suo insieme è caratterizzata, infine, da una buona mobilità degli strati inferiori dell’atmosfera. Ciò comporta un sufficiente arieggiamento delle colture che costituisce un fattore favorevole all’attività vegetativa e alla sanità delle produzioni.
La viticoltura sannita, che si era caratterizzata nel passato come una viticoltura orientata essenzialmente, sia nella scelta dei vitigni che nella impostazione dei vigneti, verso la quantità, oggi appare profondamente modificata, tanto che l’area può essere considerata in Campania come quella dove il processo di ammodernamento dei vigneti è stato più intenso e radicale. La scelta dei sesti, delle forme di allevamento e dei sistemi di potatura, delle tecniche di coltivazione da adottare nei nuovi impianti è stata rigorosamente orientata verso criteri qualitativi.
È così avvenuto che la raggiera, forma di allevamento adottata nella quasi totalità dei vigneti, con sesti ampi ed elevate cariche di gemme per ceppo e per ettaro (100 – 150mila ad ettaro e 28 gemme a ceppo distribuite in 4 “archetti”), capace di indurre produzioni unitarie molto abbondanti, è stata in gran parte sostituita da forme d’allevamento a ridotto sviluppo per un maggior controllo della produttività.
I nuovi impianti e i reimpianti sono stati realizzati in gran parte a spalliera, con prevalenza del guyot, del cordone speronato e della cortina pendente; la distanza tra le viti è stata fortemente ridotta, scendendo sulla fila al di sotto del metro, con conseguente aumento della densità di impianto, fino a 6000 ceppi per ettaro, e una forte riduzione del numero di gemme per ceppo.
Il rinnovo degli impianti è stato accompagnato da un ammodernamento e adeguamento delle tecniche di coltivazione, finalizzate al costante controllo della vigoria delle viti mediante una scelta ragionata, non solo del sesto e del portinnesto, ma anche della gestione del suolo e delle concimazioni, che tendono a mantenere le piante in equilibrio e in situazione di nutrizione ottimale, basandosi sulle indicazioni fornite dalla diagnostica fogliare e dalle analisi fisico-chimiche del terreno e sul comportamento vegeto-produttivo delle piante.
La difesa fitosanitaria si ispira ai principi fissati dalla lotta guidata, sulla base delle indicazioni formulate dall’Amministrazione Regionale nell’ambito dei Piani di difesa.
Nel complesso la razionalizzazione del processo produttivo e le specializzazione colturale consente da una parte il contenimento dei costi di produzione dall’altra un miglioramento qualitativo delle produzioni.
Negli anni ’70 la provincia di Benevento è quella che ha visto, più radicalmente delle altre province campane, modificare l’originaria base ampelografica. Il Trebbiano toscano, le varie Malvasie, in particolare quella di Candia, il Sangiovese sono stati i vitigni prescelti nella realizzazione degli impianti, ma consistente è stata anche l’introduzione del Montepulciano, del Merlot, del Lambrusco. Successivamente si è assistito ad una rapida e convinta inversione di tendenza, voluta dai produttori, dalle categorie e favorita dall’Amministrazione regionale sia mediante una profonda revisione della piattaforma enografica provinciale, sia mediante l’attivazione di opportuni interventi di sostegno.
Il filo conduttore è rappresentato dalla valorizzazione dei vitigni autoctoni di pregio, in particolare la Falanghina, la Coda di volpe, il Greco, l’Aglianico e il Piedirosso, che sono stati largamente utilizzati nel rinnovo degli impianti viticoli, divenendo oggi largamente prevalenti nella zona a denominazione. In considerazione dei successi commerciali dei vini prodotti l’interesse dei viticoltori si è in particolare concentrato sull’Aglianico che oggi rappresenta oltre il 50% della superficie vitata iscritta all’Albo. Nel caso dell’Aglianico viene data preferenza a cloni di Aglianico selezionati in zona e certificati dal Ministero, che offrono maggiori garanzie sulle caratteristiche genetiche e sanitarie e sull’omogeneità del materiale impiegato.
Particolare attenzione viene posta anche alla scelta del portinnesto che viene fatta in primo luogo adottando genotipi che oltre a dimostrare una ottima resistenza alla fillossera e un buon adattamento alle condizioni pedologiche della zona sono idonei ad esercitare il controllo della vigoria e dello sviluppo della pianta, in armonia con il sistema di allevamento adottato.
Il profondo ammodernamento della viticoltura della zona, con la realizzazione di vigneti specializzati, a sesti fitti e forme di allevamento a spalliera, trova riscontro nelle produzioni conseguite dai vigneti iscritti alla DOC.
Molti vigneti sono stati reimpiantati seguendo le indicazioni delle istituzioni regionali, in prevalenza adottando forme di allevamento che rispettano criteri minimi imposti dall’OCM.
Nello specifico le aziende del territorio hanno adottato ulteriori criteri restrittivi, rifacendosi ad una viticoltura moderna. Sesti di impianto che vanno da condizioni massimo di circa mt 2,50 tra i filari e minimo 2 mt, con distanze sul filare tra le viti da circa mt 0,80 a mt 1,60.
La densità di viti per ettaro si attesta nei nuovi impianti da minimo 2500 piante a casi particolari fino a 7000/8000 piante per Ha.
Il carico delle gemme per ogni vite va da un minimo di circa 8/10 gemme a non più di 15/20 gemme a frutto. La produzione mediamente va da un massimo di circa 5 kg per ceppo a produzioni altamente qualitative che prevedono una produzione per ceppo di kg 1,5. Tali limiti sono assicurati dal diradamento, che ormai è divenuto una pratica largamente utilizzata dai viticoltori della zona, a testimonianza della conversione, ormai compiuta, dai produttori alla viticoltura di qualità e, quindi, ai vini di pregio.
L’irrigazione solitamente non è una pratica usata nella provincia di Benevento. Può essere adottata solo in casi di soccorso in annate sfavorevoli.
Non a caso dalla consultazione dell’Albo e delle rese per ettaro si evince che la resa in vigneto, pur raggiungendo livelli importanti, è sensibilmente inferiore ai limiti fissati dal Disciplinare.
I vigneti coltivati nella provincia di Benevento, in funzione delle varietà ed epoche di maturazione, hanno una altitudine media che va dai 50 metri s.l.m. fino ad altezze massime di circa 500 metri s.l.m.
2) Fattori umani rilevanti per il legame con la zona geografica
Di fondamentale importanza nella produzione del vino Aglianico del Taburno DOP sono i fattori umani legati al territorio di produzione.
In base ai ritrovamenti effettuati ed a studi realizzati si può affermare che la coltivazione della vite nella provincia di Benevento ha origini antiche risalenti al II secolo a.C.
Nel paese di Dugenta fu ritrovato un imponente deposito, con relativo forno di produzione, di anfore utilizzate per la conservazione ed il commercio del vino. Gli studiosi hanno convenuto che sicuramente questa era una fabbrica di anfore costruita in una area particolarmente idonea alla produzione e allo smercio del vino, situata lungo la riva sinistra del fiume Volturno del quale è affluente il fiume Calore che attraversa l’intera provincia di Benevento.
Le anfore ritrovate in provincia di Benevento, venivano prodotte solo in due luoghi, a Dugenta e ad Anzio e venivano utilizzate in un area compresa tra l’Etruria meridionale, Lazio, Campania e Sannio.
Sicuramente il paese di Dugenta rivestiva un ruolo importante nella commercializzazione dei vini in epoca romana, in quanto la produzione di vino soddisfaceva abbondantemente la richiesta locale e quindi il vino veniva venduto anche al di fuori dei confini regionali, questo è testimoniato dal fatto che anfore realizzate a Dugenta sono state ritrovate in Inghilterra del sud e Africa del nord.
Gran parte del vino prodotto nella provincia di Benevento e quello proveniente anche da altre parti d’Italia veniva venduto al mercato vinicolo di Pompei secondo solo a quello di Roma.
In base agli studi effettuati da Attilio Scienza, una forte classe di produttori di vino di origine sannita sarebbe stata presente nella composizione etnica di Pompei, a conferma che la cultura del vino nel Sannio è stata contemporanea se non precedente, all’epoca romana.
Il Sannio per molti secoli ha rappresentato il collegamento naturale tra la Puglia e la Campania. Attraverso i sentieri della transumanza i Sanniti hanno conosciuto il mondo del vino Abruzzese e Pugliese attraverso i quali hanno portato nel Sannio i vitigni greci dell’Epiro.
Attilio Scienza afferma che del vino sannita troviamo citazioni di Platone comico, commediografo ateniese della seconda metà del V secolo a.C., che parlava dell’eccellente vino di Benevento dal lieve aroma fumé; inoltre, secondo Scienza, del vino sannita ne parla anche Plinio nella Naturalis Historia, il quale sosteneva che il vino Kapnios avesse nel Sannio una delle sue patrie d’elezione. Il sapore fumé del vino Kapnios potrebbe non solo essere derivato da una tecnica di appassimento delle uve o dall’affumicamento di queste, ma addirittura dalle caratteristiche stesse dell’uva.
Un’altra importante testimonianza che i Sanniti si dedicassero alla coltivazione della vite e alla produzione del vino, è che quando sul finire del V secolo a.C. famiglie di stirpe sannita si stabilirono nella Valle del Volturno, si è avuto uno sviluppo economico di queste area grazie alla produzione del Trebula balliensis, così come riferito da Plinio il Vecchio nella sua Naturalis Historia.
Nel beneventano come nel resto della Campania la viticultura conobbe una crisi dovuta al cambiamento del gusto del mercato romano che scoprì i vini più leggeri e profumati dell’Italia settentrionale e della Gallia. Il primo vino Gallico arrivò a Roma nel 79 d.C.
Un’inversione di tendenza si ebbe solo intorno al 500 d.C. grazie ai Longobardi, che non solo importarono vitigni di origine pannonica, ma protessero le vigne dall’espianto addirittura con la pena di morte.
Anche Carlo Magno si occupò attraverso il Capitulare de Villis della cura della vite, ma fu grazie alla chiesa che intorno all’anno 1000 si ebbe il definitivo rilancio della coltivazione della vite che coinvolse anche il territorio sannita. Fu proprio un sacerdote, il vescovo di Benevento Landulfo, a pretendere che vicino ad ogni monastero fossero impiantati dei vigneti, favorendo il rilancio della viticoltura soprattutto nella zona di Solopaca come dimostra la presenza di venditori di vino in documenti del 1100.
In questo periodo, e fino al 1400, molti vini beneventani grazie alla possibilità di sfruttare i fiumi navigabili che attraversavano la provincia, arrivavano ai porti di Gaeta e di Napoli, i più grandi porti di smistamento dei vini per l’intero Mediterraneo e per i mari del Nord.
A Napoli in quegli anni venivano trasportate ingenti quantità di vino dall’entroterra beneventano e avellinese, e assieme ai vini fermi venivano trasportati anche vini dolci molto richiesti dal mercato europeo in quel periodo.
La classe mercantile beneventana in quegli anni diventò la più forte della regione Campania, in quanto poteva godere degli enormi benefici derivanti dal fatto che i territori della provincia di Benevento erano sotto il governo dello Stato della Chiesa.
Per una prima descrizione su base scientifica della viticoltura beneventana dobbiamo attendere la Statistica murattiana del 1811, il primo e vero studio del territorio sannita che ha permesso di conoscere le produzioni della provincia di Benevento e di ricostruire le condizioni economiche-sociali e gli stili di vita della popolazione sannita.
Da questo studio si evince che la provincia di Benevento produceva vini che soddisfacevano le diverse richieste del mercato, infatti il vino di Cerreto Sannita veniva considerato molto pregiato assieme a quello di Solopaca, Frasso Telesino, Melizzano e venivano venduti sul mercato regionale ed extra-regionale; quelli di Sant’Agata dei Goti venivano venduti solo sul mercato provinciale, mentre a Guardia Sanframondi si produceva un vino dolce e liquoroso simile a quello di Malaga.
Da Cerreto Sannita e Guardia Sanframondi partiva nel 1811 il più alto numero di barili di vino per la capitale, 79.229, contro i 31.281 di Airola, i 12.557 di Solopaca e i 10.470 di Sant’Agata dei Goti.
Per quanto riguarda il numero di vigne Cerreto Sannita e Guardia Sanframondi non superavano di molto Solopaca infatti nei due comuni se ne trovavano circa 3.480 ed invece nel solo comune di Solopaca se ne potevamo trovare circa 2.880.
Sempre agli inizi dell’Ottocento c’è testimonianza di un ottimo vino prodotto anche nei comuni di Pontelandolfo, Baselice e Foiano in Val Fortore.
Nel 1872 un grosso studioso, Giuseppe Frojo, incominciò a parlare di vitigno in senso scientifico e sostenne che le migliori uve della regione Campania erano il Pallagrello, oggi diffuso solo nella provincia di Caserta, ma lodava anche le uve Aglianico, Sciascinoso, il Piede di Colombo (Piedirosso), Greco e Fiano, tutti vitigni coltivati nella provincia di Benevento.
Circa venti anni dopo Frojo, fu il Ministero dell’Agricoltura a fare un’accurata analisi delle uve presenti sul territorio sannita.
L’Aglianico restava il vitigno predominante, seguito da Piedirosso, Aglianicone, Gigante, Mangiaguerra, Tintiglia di Spagnala, Vernacciola e Sommarello.
Tra i vini a bacca bianca si notano il Bombino, l’Amoroso bianco, la Passolara, il Greco, la Malvasia, il Moscatello e la Coda di Volpe.
In questo periodo il vino prodotto è destinato al consumo interno, in quanto in provincia di Benevento stava nascendo una classe borghese più attenta e sensibile alla buona tavola, ma anche trasportato nel nord Italia in quanto molto apprezzato e richiesto.
Negli anni in cui Frojo compiva i suoi studi, la superficie vitata della provincia di Benevento era rappresentata da poco più di 15.000 ettari, estensione che pur ponendo la provincia ultima nella classifica regionale, la rendeva seconda solo a Napoli per rapporto fra territorio e superficie, mentre a partire dal 1904 e almeno fino al 1924 i terreni a vigna erano più che raddoppiati. Negli anni che andavano dal 1896 al 1910 il vigneto sannita si arricchì di 8.046 ettari, pari ad un incremento del 46%.
Dopo l’unità d’Italia nel vigneto sannita vengono coltivati anche altri tipi di vitigni nazionali e internazionali come Sangiovese, Barbera, Cabernet Sauvignon, Malbec, Sirah, Erbaluce, Semillon, Pinot e Riesling renano.
Dopo le due grandi guerre mondiali vi fu un risveglio in tutti i settori produttivi che influenzò anche quello agricolo, e nella provincia di Benevento si verificò che i contadini, fino ad allora solo conduttori dei terreni, ne acquisirono anche le proprietà. In questo periodo la produzione delle uve aumentò sensibilmente nella provincia di Benevento, favorendo da una parte la nascita del primo Enopolio nella provincia di Solopaca che vantava una capacità di 13 mila ettolitri contro i soli cinquemila dell’Enopolio napoletano, ma dall’altra lo sfruttamento dei grossi mediatori nei confronti dei piccoli produttori.
In realtà neanche la creazione dell’Enopolio di Solopaca contribuì a migliorare la condizione dei piccoli produttori e quindi nacquero con il passare degli anni le quattro Cantine sociali ancora oggi operanti sul territorio sannita, La Guardiense, la Cantina sociale di Solopaca, la Cantina del Taburno e il CECAS (Centro Cooperativo Agricolo Sannita).
Il compito fondamentale delle cantine sociali fu quello di raccogliere, trasformare e vendere, le uve provenienti dalle diverse zone della provincia di Benevento, in modo da sostenere i piccoli produttori e favorire lo sviluppo della viticoltura nel Sannio.
● B) Informazioni sulla qualità o sulle caratteristiche del prodotto essenzialmente o esclusivamente attribuibili alla zona geografica
I vini presentano, dal punto di vista analitico ed organolettico, caratteristiche molto evidenti e peculiari che ne permettono una chiara individuazione e tipizzazione legata all’ambiente geografico.
In particolare tutti i vini rossi e rosati presentano caratteristiche chimico-fisiche equilibrate in tutte le tipologie, mentre al sapore e all’odore si riscontrano aromi prevalenti tipici dei vitigni.
● C) Descrizione dell’interazione causale fra gli elementi di cui alla lettera A) e quelli di cui alla lettera B)
L’orografia collinare e montuosa del territorio di produzione e l’esposizione prevalente dei vigneti. orientati a sud, sud-est, localizzati in zone particolarmente vocate alla coltivazione della vite, concorrono a determinare un ambiente adeguatamente ventilato, luminoso, favorevole all’espletamento di tutte le funzioni vegeto-produttive della pianta.
Nella scelta delle aree di produzione vengono privilegiati i terreni con buona esposizione adatti ad una viticoltura di qualità.
La millenaria storia vitivinicola della provincia di Benevento, che parte dal II secolo a.C., passa per il Medioevo e giunge ai nostri giorni, attestata da numerosi documenti, è la fondamentale prova della stretta connessione ed interazione esistente tra i fattori umani e le qualità peculiari del territorio e dei vitigni dai quali si ottiene il vino “Aglianico del Taburno”.
|