La viticoltura eroica delle Colline Saluzzesi
Fotografie di Enzo Trento
Un’autentica viticoltura eroica mi si è parata dinanzi nel corso del tour tra vigneti e culture del territorio del Marchesato di Saluzzo organizzato dal Consorzio di tutela nell’ambito dei festeggiamenti per il ventennale della DOC attribuita alle Colline Saluzzesi.
L’associazione nacque appunto un ventennio fa, grazie alla passione ed all’ambizione di un terzetto di viticoltori, Remigio Maero, Ernesto Casetta e Ambrogio Chiotti, supportati tecnicamente da Fabrizio Rappalino della Coldiretti, per ridare lustro a una viticoltura tra le più antiche del Piemonte. Oggi conta 13 soci, tra produttori e conferitori, con un’età media che si avvicina ai cinquant’anni a causa dei pochissimi giovani che si appassionano al duro mestiere del vignaiolo (nota dolente presente in varie parti del Piemonte, cui fa eccezione ovviamente la florida e prospera Langa…), preferendo dedicarsi alla coltivazione della frutta, nel breve periodo meno impegnativa e più redditizia. In questo territorio infatti è ancora presente un’agricoltura a 360 gradi, non incentrata cioè su un’unica varietà, dal momento che un ruolo di primaria importanza lo gioca la coltura delle mele, in particolare della varietà “Rossa di Cuneo”, a fianco dei kiwi, albicocche e mirtilli.
Gli appezzamenti adibiti oggi a vigneto raramente superano le dimensioni di 1-2 ettari, nella maggioranza dei casi risalgono almeno a un ventennio fa e spesso sorgono in zone impervie, ad altitudini, dislivelli e pendenze rilevanti, lungo il territorio pedemontano ai piedi del Monviso in una fascia da Envie a Busca. La produzione complessiva di bottiglie non supera le 100.000 bottiglie di vino rosso.
In realtà però l’uva e il vino da sempre sono protagonisti in questo territorio. Sul fronte storico, dal 2003 il Dipartimento di Studi Storici dell’Università degli Studi di Torino sta progressivamente portando alla luce a Costigliole di Saluzzo, quasi all’imbocco con la Valle Varaita, un esteso insediamento di età romana che ha permesso di datare tra il I e il III secolo dopo Cristo il primo impianto vinicolo noto in Piemonte. Questa primordiale azienda agricola si sviluppa per circa 5.000 metri quadrati. Oltre alla parte residenziale, gli scavi hanno fatto emergere cortili e grandi ambienti destinati alla lavorazione e alo stoccaggio di prodotti agricoli, compreso un impianto per la produzione del vino, con tanto di grandi vasche in pietra e un sistema idrico per le acque bianche e nere che serviva sia per l’abitazione che per la cantina.
Testimonianze scritte del 1200 parlano già di vigne impiantate a “nebiolium”. I primi commerci risalgono invece attorno alla metà del XV secolo, quando Ludovico II, Marchese di Saluzzo con la mente già aperta oltrefrontiera, esporta per la prima volta il vino del Saluzzese grazie ai mulattieri che approfittano del Buco di Viso, primo tunnel sotto le Alpi della storia, aperto alle pendici del Monviso per trasportare con l’ausilio dei muli piccoli barili da 42 litri nelle confinanti vallate del Queyras. Gli stessi contenitori al ritorno venivano riempiti di sale, merce preziosa per gli acciugai di Dronero e della Valle Maira.
Nel 1511 il Marchesato di Saluzzo raggiunge il suo apice di splendore ed importanza, con tanto di zecca propria a Carmagnola, palazzi, manieri e opere d’arte giunte in parte fino a noi, come La Castiglia, Casa Cavassa e Villa Radicati a Saluzzo e il castello della Manta. La Marchesa Margherita di Fox infatti invia a Papa Giulio II “trenta bottalli di Pelaverga, perché tanto il bon vino gli piasia e tanto bene faceva alla città di Saluzzo”. Il Pontefice tanto gradì l’omaggio che concesse al Marchesato di Saluzzo la sede vescovile insieme a diversi altri privilegi.
Oltre al Pelaverga, nelle colline di Costigliole e Busca a metà del 1700 inizia a farsi conoscere ed apprezzare il Quagliano, tanto da essere annoverato nel 1879 nel bollettino ampelografico del Ministero per l’Agricoltura, grazie anche all’opera del Marchese Giuseppe di Rovasenda, insigne studioso e valorizzatore della viticoltura nel nostro paese. Nel corso della sua vita, sulla collina della Bicocca, alle spalle di Villanovetta, diede vita ad una meravigliosa raccolta di vitigni, che venne conosciuta dagli esperti di tutto il mondo, arrivando a coltivare e catalogare circa tremilatrecentocinquanta varietà di viti, studi in parte riepilogati nel “Saggio di ampelografia universale” del 1877, un prezioso catalogo ragionato che venne tradotto anche in francese.
L’avvento della filossera alla fine del XIX° secolo segnò l’inizio della decadenza vitivinicola del territorio, con la distruzione di gran parte dei vigneti e l’estinzione di varietà storiche come il Tandon, Avareng e Perpeuri tanto per citarne alcuni.
Assume quindi un’importanza particolare l’opera che in questo ventennio ha portato avanti il Consorzio di tutela dei Vini Doc Colline Saluzzesi non solo per difendere ma per diffondere la conoscenza dei vitigni autoctoni che trovano espressione unicamente in questo territorio: Pelaverga secco e Quagliano amabile, ai quali si unisce lo Chatus, nome del vitigno coltivato in Francia nelle vallate Ardèche e Isère, mentre in Piemonte è noto come Nebbiolo di Dronero, si narra portato in dote dalla Marchesa Margherita di Foix, moglie di Ludovico II. Quest’anno inoltre si potrà cogliere i primi frutti del Bianchetto di Saluzzo, vitigno recuperato grazie al campo catalogo di Grinzane Cavour e impiantato nel vigneto sperimentale di Villanovetta di Verzuolo.
Un lavoro che deve necessariamente essere svolto in collaborazione con il settore turistico, per attirare i consumatori alla ricerca di vini insoliti, prodotti in zone vitivinicole meno conosciute da piccoli produttori, ricchi di significato storico ed umano, a visitare le peculiarità di questo territorio e scoprire volti nuovi dell’affascinante patrimonio in possesso della nostra Penisola.
Le degustazioni
Il panorama dei vini degustati al termine del tour non poteva non iniziare da un poker di freschi ed invitanti Colline Saluzzesi Pelaverga Doc, ottenuti vinificando in purezza uva di Pelaverga Grosso, chiamato Cari nel Torinese, tra i vitigni storici piemontesi in quanto le origini in questa zona viene fatta risalire alla fine dell’VIII secolo, impiantato dai frati seguaci di San Colombano nei pressi del monastero a Pagno. Caratteri genetici diversi, evidenti anche osservando il grappolo con chicchi di grandi dimensioni scarichi di colore e il gusto dell’uva, lo differenziano notevolmente con l’omonimo vitigno di Verduno.
Senza dubbio il 2015 della Casa Vinicola Fratelli Casetta di Vezza d’Alba interpreta in maniera ottimale le potenzialità di questo vigneto. Ernesto Casetta, uno dei “padri” della Doc Colline Saluzzesi è stato lungimirante nell’impiantare questo vitigno in un appezzamento di circa un ettaro in Val Bronda a oltre 500 metri di altitudine circondato da boschi, con pendenze importanti che obbligano la coltivazione interamente manuale. Vinificato con rotomaceratori in acciaio al massimo per 5 giorni, questo vino esprime profumi delicati di frutti rossi selvatici, un fresco fruttato con lieve nota speziata di pepe bianco che ritroviamo in bocca, buona sapidità, caratteristiche che lo rendono abbinabile in estate anche con piatti di pesce leggero se servito a temperatura fresca, carni bianche o salumi durante l’anno a temperature ambientali.
Discorso pressochè analogo per il “Divicaroli” 2015 della Cascina Melognis di Revello da uve raccolte nella storica Vigna San Carlo, fortemente voluta e realizzata dallo scomparso Conte Alessandro Reyneri, grande appassionato e conoscitore dei vitigni autoctoni di questo territorio, un autentico gioiello enologico da meritarsi nel 2011 il premio come miglior vigneto del Saluzzese. Ora la figlia Marialuce Reyneri di Lagnasco porta avanti con la stessa dedizione del padre il lavoro iniziato dal papà, aiutata da Michele Antonio Fino, appassionato cantiniere tuttofare dell’azienda agricola della moglie Vanina Maria Carta. Il Vigneto di San Carlo nel 2015 fu colpito dalla grandine che ne compromise parecchio il raccolto. Il vino, prodotto in appena 1.000 bottiglie che verranno consumate al 99% sul territorio d’origine, non denuncia minimamente questa carestia, grazie a un’attenta fermentazione e macerazione di 18 giorni in acciaio all’aperto, sfruttando le basse temperature autunnali per estrarre profumi e gusto più marcati rispetto al precedente, bassa acidità anche in seguito alla fermentazione malolattica che però non si percepisce in bocca, anzi pare il contrario considerata l’invitante freschezza nella beva.
Si discosta dai precedenti il 2015 dei Produttori di Castellar, una minuscola società con appena 3 soci presieduta dal trentenne Marco Occelli, uno dei pochi giovani che credono nel futuro della viticoltura nel Saluzzese. La massa è stata privata mediante salasso di una parte per produrre un vino rosato, operazione che giustifica il colore rubino marcato, sentori speziati, tannino deciso e buona persistenza.
Su questa falsariga l’annata 2013 presentata dalla cantina di Emidio Maero di Castellar che, oltre al salasso, beneficia di maggior affinamento dapprima in vasca e poi in bottiglia per più di un anno, sosta che si traduce in maggiore complessità sia olfattiva che al palato, dove emergono nette sensazioni speziate, affumicate, quasi di liquirizia dolce.
Spazio quindi al Colline Saluzzesi Rosso, dove si celebra il matrimonio tra i vitigni Barbera e Chatus. L’”Ardy” 2014 della Cascina Melognis è figlio al 70% di Barbera proveniente da due distinti appezzamenti, così come il 30% di Chatus. Fermentazione spontanea in acciaio e affinamento per 18 mesi in barrique non nuove per un vino ricco di colore e di polifenoli, ben 34 grammi/litro di estratto secco, acidità giusta per garantirgli longevità e netti aromi di ciliegia e frutti rossi.
Il Provana del Sabbione 2012 di Emidio Maero deriva dalla vinificazione contemporanea di un intero vigneto a Manta di circa mezzo ettaro con rese sotto i 50 q/ha, dove predomina la Barbera in coabitazione con vitigni autoctoni, come il Neiretta e il Bibieras ed altri pressoché sconosciuti, rivista nel 2006 dopo che in origine era coltivata a guyot con capi a frutto molto lunghi. In questo vino di punta dell’azienda, dedicato alla contessa Elisabetta Provana del Sabbione, degustando anche le annate 2009 e 2008, si percepisce come l’iniziale bouquet ricco di frutta rossa fresca lasci spazio via via alle spezie, alla ricerca di un equilibrio che si ritrova dopo 5-6 anni dalla vendemmia.
In anteprima abbiamo degustato il “Pensiero” 2013 dei produttori di Castellar, in commercio per Natale. Due vendemmie distinte: la Barbera del vigneto di Pagno a inizio ottobre, mentre lo Chatus di Castellar nella terza decade di ottobre. Colore fitto, sentori di mora e di viola, un vino originale, dal gusto unico che si acquista in cantina sui 10 euro che esprime appieno la tipicità del territorio, a mio giudizio uno dei migliori del lotto.
Nel “Bricco Romanico” 2014 dell’azienda agricola di Giampiero Fornero di Busca fa la sua comparsa il Nebbiolo, in parti uguali insieme a Barbera e lo Chatus proveniente da un vigneto risalente al 1954. Un vino che esprime appieno la sua giovinezza, dal colore fino al tannino netto e deciso in bocca. Di tutt’altra levatura il 2011, quando Giampiero vendemmiò l’uva in ritardo poichè prima impegnato nella raccolta delle mele, proprio come si narra nacquero in passato molte grandi annate di vini piemontesi quando le aziende non si dedicavano unicamente alla viticoltura. Questa uva surmatura ha permesso la nascita di un vino molto generoso, ricco e abbondante, in grado però di mantenere una buona freschezza senza essere intaccato da nessun cenno di evoluzione. Senza dubbio un campione della sua tipologia che sarà difficile ripetere.
Un unico vino a base di Chatus in purezza, il “Neirantich” 2013 dell’azienda agricola di Dario Tomatis e figli di Busca. Il disciplinare del Colline Saluzzesi Rosso ammette l’utilizzo al 100% di quest’uva dalla buccia spessa e utilizzata quasi esclusivamente da taglio soltanto dal 2010. Vendemmia oltre la metà di ottobre, vinificazione e affinamento solo in acciaio per preservarne l’unicità al naso e in bocca, dove a prevalere sono ancora una volta i frutti neri e le spezie di contorno a un corpo e una struttura da non sottovalutare.
Conclusione di giornata degustando il Quagliano, vino da dessert per eccellenza, di bassa gradazione come i suoi “fratelli” Brachetto e Malvasia, ideale per l’abbinamento con i dolci delle feste, dalle paste di meliga fino al panettone tradizionale grazie agli invitanti sentori di fragola e lampone. Altra unicità del territorio dei comuni di Pagno e Piasco e parte di quelli di Costigliole di Saluzzo, Manta, Verzuolo, Busca, Brondello, Castellar e Saluzzo da preservare e valorizzare, seguendo l’esempio delle aziende Bonatesta Paolo, di Giordanino Aurelio e Serena e di Giampiero Fornero.