Lino Maga: Barbacarlo, un vino oltre la paura
Quando per molti anni combatti una battaglia a difesa di ciò che ha rappresentato la tua vita; una terra, una collina, un luogo unico e originario, come sperduto nello spazio e sospeso nel tempo dove è nato quel vino così “diverso”; la paura non esiste, la allontani sconfitta.
La storia di Lino Maga è un reportage d’autore, un vero contadino con lo sguardo fermo oltre il fumo costante dell’amata sigaretta, lunghi silenzi legati a un mondo di memorie di tempi passati, che risvegliano in lui quell’inconscio che ha disimparato a stupirsi; svestito di un’intensa storia scritta per lunghi anni dedicata al suo Barbacarlo. Siamo a Broni, Oltrepò Pavese, su una collina non facile da raggiungere data l’importante pendenza su terreni tufacei-sassosi, molto vocati per i vini rossi, il Barbacarlo si esprime con un frutto che controlla la forza, ma con una sua eleganza, un vino d’artista in divenire, e…se i poeti scrivono poesie che non sempre si capiscono, il Sig. Lino “poeta del vino” ci offre poesie diverse per ogni annata…come se smettesse di essere un vino e si trasformasse in un “pensiero” che offre speranza e positività. Certo è, che ogni millesimo del Barbacarlo ha un suo particolare fascino.
Ci racconta la vigna Barbacarlo?
La vigna sita a 300 m. s.l.m. con una pendenza media del 70% è composta da viti sparse di Croatina, Uva rara e Ughetta di circa 40/60 anni, con un’esposizione sud-ovest, il mio disciplinare di produzione è di 30/35 quintali per ettaro. L’altro giorno mio figlio è rimasto bloccato con il trattore non andava più né giù né su, si è insabbiato, abbiamo tribolato per due giorni prima di trovare un mezzo potente che potesse liberarlo. Il contadino che ci ha dato una mano ci ha pure rimproverato per la pazzia di coltivare le viti con quelle pendenze, diceva: “intanto metterle in pianura si fa il vino buono lo stesso”.
La collina del Barbacarlo è sempre stata nostra, prima era “luogo di casa” alias Porrei, poi nel 1884 il mio bisnonno Carlo la donò ai nipoti, che due anni dopo chiamarono la collina col nome dello zio, in dialetto “Barba” vuol dire zio, così divenne Barbacarlo, poi del nome se ne è abusato, mi sono trovato con un decreto dove attribuivano al Barbacarlo una doc su 45 comuni. Ho dovuto impugnarlo e la causa è durata 22 anni. Non ho mai avuto un ripensamento per le battaglie che ho fatto, ne è valsa la pena. Non ho mai pensato di aumentare la produzione, di fare pubblicità, la mia sola promozione è stata di aprire le bottiglie e fare assaggiare il vino, poi con il passaparola.
Ho servito quattro Presidenti della Repubblica, quattro governatori della Banca d’Italia, una figlia di Benedetto Croce, il cardinale Casaroli, Papa Montini, è passato anche Giorgio Napolitano, oltre al Presidente Pertini che telefonò per ordinare il vino…
La composizione del terreno?
Vedete quella radice di Ughetta? (ci indica un angolo del negozio) la zolla è tufo e ghiaia, ideale per il vino rosso.
Ideale anche per il Pinot nero?
No, il Pinot ha bisogno di terre fresche, invece qui ci sono terre calde.
Quanti ettari sono in produzione?
Io ho 18 ettari ma lavoro su 8, 10 ha mi sono diventati bosco ma sono ancora accatastati come vigneto si potrebbero declassare a bosco ma poi non potrei più mettere le viti. Nel 2014 mio figlio Giuseppe ha reimpiantato 2 ettari, un anno piovoso, dopo una lunga trafila burocratica, tra progetto e autorizzazioni, per non perdere il diritto, abbiamo messo giù le viti a metà giugno, sfortuna che poi ha continuato a piovere e si sono ammalate, metà le abbiamo perse. Nel 2015 ho dovuto rifare tutto l’impianto con quei pendii lì, zapparli a mano tre volte all’anno, ti ridono dietro. Adattarsi a tutte le regole che ti impongono dettate dall’incompetenza non ne vale la pena, troppi costi con minimi ritorni come può fare un giovane a pensare di lavorare in queste condizioni. Prolificano i vigneti in pianura e pensano che con la meccanizzazione si possa fare qualità… impossibile.
Produco 8 mila bottiglie di Barbacarlo e 5 mila di Montebuono, il vero Sangue di Giuda. Purtroppo le viti come noi invecchiano e producono sempre meno, per progettare nuovi impianti avevamo bisogno dei portainnesti, Du lot, Riparia, Berlandieri; non ci sono più, ti devi adattare all’SO4, il Kober 5BB, portainnesti importati con radici in superficie che non vanno in profondità, e con la siccità di queste colline esposte al sole dall’alba al tramonto…
Io sono fortunato, ho un bravo figlio…beh mi ha tolto le chiavi del trattore; è che a volte perde la pazienza, un po’ di paura e tensione da parte sua, io ho pazienza e affronto tutto, “Che cosa è la paura? È fatta di niente basta non avere paura”, non disperare mai. I disperati sono figli del diavolo. Io amo tutti anche i miei nemici.
La burocrazia ha fatto sì che il contadino per incapacità e per i troppi adempimenti ha preferito conferire a dei soggetti che non hanno fatto altro che tenere bassi i prezzi delle uve e del vino con il risultato che la terra non vale più niente.
In Oltrepò sono successi tanti casini e la colpa è di un sistema che permetteva certe cose, ditemi se è dignità pagare un quintale d’uva, cosiddetta Doc, 50 euro, potresti essere tentato da certe proposte.
Sono contento che adesso si sta cercando di rimediare, ci vorrà tempo.
Mi fa piacere che ci sono bravi produttori, come Andrea Picchioni, Paolo Verdi e i fratelli Agnes, si danno da fare, però non capisco perché portano il nome del vitigno, Veronelli si è battuto per le De.Co. ma i Sindaci sono sordi hanno altri interessi. Il vino è diventato una cosa politica.
Come vinifica?
Cogliamo in modo accurato le uve, in vigna non usiamo diserbanti, solo rame e zolfo contro l’oidio, dalla cantina le poniamo in tini, poi la pigiatura e la diraspatura, di nuovo in vecchi tini di rovere dove sosta per la macerazione 7/8 giorni, la svinatura e torchiatura.
Un quintale e due di uve non da più di 50 litri di vino, poi i primi travasi si fanno veloci per toglierlo dalle fecce, ed a ogni quarto di luna vecchia travasi di nuovo; il vino si fa per decantazione, non uso filtri, dopo 8 mesi di tino, imbottiglio a fine aprile/maggio dell’anno successivo alla vendemmia, mettiamo le bottiglie orizzontali per 50 giorni, fanno amicizia con il turacciolo, dopo le mettiamo verticali, e il consumatore poi per 30 anni va tranquillo.
Come è stato il rapporto con i suoi genitori?
Non ero tanto d’accordo con il papà, purtroppo è una regola di vita, però quando è mancato ho capito che avevo perso tutto. Ho servito mio padre per 40 anni poi mi sono ribellato al sistema di vendere l’uva e quel poco vino che si vendeva sfuso. Quando a Broni gli osti vinificavano per conto loro si accaparravano le uve, c’era il detto “Broni per i vini rossi”, venivano i mediatori con le scodelle ad assaggiare il vino, per vedere la struttura e trovavano tutti i difetti per spendere poco. Io poi quando sono tornato dal militare mi sono ribellato. È successo che ho affittato una cantina e mio padre se n’è risentito però sono andato avanti e quindi ho avuto un periodo un po’ difficile, era in un’annata, il 1965 che è stata pessima, il primo vino fatto da solo, mio padre l’ho sempre servito come ho sempre servito i miei figli.
Stimo molto le donne, mia mamma, Giulia Bellinzona, era il perno della casa, figlia di contadini di Pietra de’ Giorgi, ho preso tanto da lei, un carattere forte e quanto me le suonava, dovevo dare più retta ai miei genitori, ero un ribelle ma un po’ mi adattavo. Devo ringraziarli perché mi hanno insegnato a lavorare duro.
Sappiamo che ha avuto degli amici importanti Brera, Veronelli…
Nella vita ho avuto la fortuna di avere al mio fianco persone come Gino Veronelli, Brera che mi hanno voluto bene, Gianni Brera poi era come un fratello, mi diceva “”Molà nò al màs”, molà nò al màs! “. Loro mi hanno sempre difeso.
Per me la miglior soddisfazione è quando un nemico ti diventa amico, vorrei fare del bene anche a loro. Gioânn Brera mi diceva “Fare del bene non è necessario, non fare mai del bene se non sei consapevole di doverne sopportare l’ingratitudine… e pagava sempre lui”.
Ha qualche aneddoto da raccontare?
Una sera alle dieci mi telefonò Brera, “prendi su 6 bottiglie, vieni a Milano al ristorante A’Riccione”, gli ho detto che era matto, c’era la nebbia e mi sarei perso, però sono andato poi ci siamo diretti a “La Pergola” di Bergamo, dove c’erano Missoni, Cascella, Fontana il re dei bulloni e Veronelli che stava degustando il Barbaresco di Giacosa, Gioânn con le mie 6 bottiglie pareva il Gabibbo. Cascella accompagnato da una bellissima donna tutto impellicciato e sotto a dorso nudo, mi disse, “Lei è il Maga? Il suo vino è meraviglioso, la sua etichetta fa schifo!”, gli dissi: “Cosa vuol sapere lei delle battaglie fatte riguardo la mia etichetta”, mi rispose “Non mi interessa niente, se vuole si riservi qualche bottiglia per gli amici, io a lei faccio l’etichetta”, insistetti “lei non fa un bel niente” e Gioânn, “Sei proprio un balordo, Vietti gli ha dato milioni per una cliché d’etichetta, a te la fa gratis, l’hai rifiutata”. Io fedele alla legge che avevo proposto, non volevo cambiarla, ma Cascella aveva ragione.
Tutti la cercano e le vogliono bene.
Qualche settimane fa ho fatto una degustazione con i senza tetto è stata una cosa fortemente voluta da me e mio figlio Giuseppe, in collaborazione con l’A.I.S. Lombardia e Valerio Bergamini; ci ha molto toccato. Mi ha fatto piacere vedere tutte quelle persone, alla fine qualcuno è venuto a congratularsi, a ringraziarmi con umiltà.
Perché gli umili non cercano mai niente, sopportano, tacciono e vivono di stenti, queste persone sono umili più che poveri, perché tante volte i poveri covano odio verso la società. Per la prima volta i senza tetto hanno bevuto il bicchiere metà pieno, di solito lo riempiono con quei vini da un euro, non possono permettersi di più. C’era una signora che portava il Barbacarlo in prigione al marito in bottiglie di plastica.
Una volta vengo a casa a pigiare l’uva, mi trovo questo senza tetto che mi disse: “Ti ho aspettato, voglio la bottiglia più vecchia che hai in cantina, ti do quello che vuoi” gli dissi di non farmi perdere tempo perché dovevo tornare in campagna, ho capito che avrebbe insistito e sono andato in cantina a prendere una bottiglia di Barbacarlo 1961 senza etichetta, gliela porto, lui tira fuori il borsellino e mette sul tavolo una decina di centesimi, gliela offrì dicendogli di non farmi più perdere tempo e di andare via, lui mi disse: “Tu sei Gesù Cristo”.
Si accende un’altra sigaretta e dice: “Poi diventi vecchio come un gioco di gioventù. L’età non conta, conta la salute ma mai smettere di fumare“. I miei amici Professori, mi dicono: “Guai a te se smetti di fumare, è pericoloso. Per disintossicarsi dal fumo ci vogliono almeno 10 anni“, (fa una risata) ne riparliamo tra dieci anni.