La primavera tarda ad arrivare cantava Battiato in Povera Patria. Parole, le sue, per tutte le stagioni (più che mai questa e non credo qualcuno abbia da obiettare) in senso lato e in senso meteo. Le rondini sono a casa ad indignarsi, la pioggia invece, in militanza ad oltranza, persiste e resiste, rendendo anche l’ultimo week end, l’ennesimo, bagnato. E tra pioggia a catinelle mai sono stata così felice di avere l’alibi per poter dire: e se bagnato deve essere, che bagnato sia: che scorrano fiumi di birra! E che birra soprattutto. Evento prenotato da tempo, nello stesso giorno del Natale di Roma – fortunata coincidenza che ha richiesto un brindisi aggiuntivo (toh!) – domenica 21 aprile mi trovo al King Arthur, storico pub di Ciampino, a pochi km da Roma, per un serata in cui protagoniste sono le eleganti dame LoverBeer accompagnate da un cavaliere speciale, il loro creatore, Valter Loverier (qualcuno mi ha suggerito: per definirlo scrivi mito e basta…ecco, direi che rende l’immagine che gli appassionati del luppolo hanno di lui). Atmosfera a dir poco perfetta, equilibrata e rilassata, ambiente accogliente, merito anche della gentilezza del personale, prima di sedersi ai tavoli c’è chi scherza, chi intanto assaggia un paio di spine del locale, che al di là del tema della serata, offre sempre ottimi nomi e in continuo ricambio. C’è anche chi si ferma ad ascoltare Valter chiacchierare con alcuni noti publican romani presenti, si va dalla distribuzione europea di alcuni stili (io arrivo mentre si parla delle acide del Belgio), alla scelta di alcuni birrai, spesso di fama mondiale di non delegare la partecipazione della propria birra a terzi in occasione dei vari Saloni e manifestazioni, per essere certi che il prodotto presentato sia in splendida forma. Al momento di sederci massima libertà di scelta nel menu, tra le specialità preparate per la serata anche il Birramisù alla Papessa Loverbeer, quello che…lo fa sempre meglio mia mamma, ma in questo caso la mamma dovrebbe passare prima a far spesa in un buon beershop! Non vi dico che era ottimo, solo perché ormai non ce n’è più. Ci sediamo. Dopo aver bevuto Tipopils del Birrificio Italiano, che sta sempre bene su tutto, Nartra di Stavio e Due di Picche di Menaresta (trio che consiglio appassionatamente) inizia la vera serata.
In realtà la storia inizia qualche secolo prima, proprio come ci racconta Loverier stesso: Narra la leggenda che in un luogo lontano, in un tempo di cui ormai nessuno ha memoria, un giovane monaco trappista riuscì a sfuggire all’assedio del monastero in cui aveva vissuto da sempre. Egli vagò per terre e paesi fino ad allora a lui sconosciuti, e lungo la via s’imbatté in un’avvenente fanciulla che si unì a lui nel cammino. Una notte il monaco vide in sogno un suo avo – “prendi con te la fanciulla” gli disse “e rendila tua sposa. Te la affido per la vita.” Al risveglio, interpretando quel sogno come un messaggio divino, il giovane decise senza alcuna esitazione di abbandonare la tonaca e di sposare la ragazza. Dopo un lungo peregrinare i due decisero di stabilirsi in un piccolo villaggio della regione del Calvados e lì la gente, incuriosita, chiedeva loro chi fossero e da dove venissero. Il giovane diceva di essere stato un operaio e così prese il nome di L’ouvrier che nella sua lingua natia significava appunto l’operaio. Ma decise di dedicare il resto della sua vita a fare qualcosa che gli dava un’immensa soddisfazione: la birra. Molti anni dopo, un suo discendente dovette nuovamente fuggire dall’ennesima guerra e si trasferì in Italia, tra le splendide colline del Roero, dove il cognome venne italianizzato in Loverier. Qualche generazione più avanti, eccomi qui a raccogliere quella lunga eredità brassicola…
Forte è l’attaccamento al territorio. Le ricette cui si ispira provengono dalle Fiandre, le stesse di cui sopravvivono ormai pochissimi esempi, che arrivano qui ad incontrarsi con la cultura vitivinicola del Piemonte. Il suo processo di birrificazione è infatti fortemente caratterizzato dall’utilizzo del mosto d’uva, dalla Freisa della Collina Torinese alla Barbera d’Alba, fino all’impiego di altri ingredienti del tutto speciali, come la susina damaschina “Ramassin” della Valle Bronda, presidio Slow Food. Da qui le sue splendide birre che durante la serata (e non solo) ho modo di assaggiare:
Madamin 5,6% Madamin in piemontese significa signora giovane e questa birra è appunto la versione giovane della Oak Amber Ale. La particolarità di questa splendida amber ale è la fermentazione in grandi tini di rovere e la maturazione dopo un travaso ‘sur lie’. Ne risulta una complessità superiore alla semplice fermentazione in acciaio: un profumo vinoso e un tannino ‘verde’ (rovere/luppolo) le conferiscono un’inconfondibile personalità, oltre ai sentori tipici dati dai lieviti selvaggi (brettanomiceti) e da quelli derivanti dall’utilizzo del legno. Estremamente piacevole e di fin troppo facile beva (motivo per cui nei giorni a seguire ho continuato ad assaggiarla!)
Dama Brun-a 6,7% Ad alta fermentazione, nasce a partire dalla Madamin. Birra fermentata esclusivamente in tini di rovere, matura successivamente 12 mesi in barrique grandi in cui compie una rifermentazione lattica. Con i primi caldi viene addizionata di zucchero caramellato, da cui il colore piuttosto scuro e di lactobacillus che la rende maggiormente acida. Qui il sapore vinoso anticipa note fruttate (ciliegia e uva sultanina), nel finale, lievemente astringente. Chiaro l’omaggio alle Oud Bruin fiamminghe, birre acetose, dalla fermentazione mista, antico stile sopravvissuto nella regione delle Fiandre Orientali (soprattutto nei pressi di Oudenaarde) che conferisce un carattere particolare a queste birre: dolci e acidule allo stesso tempo, da cui il loro equilibrio; facile l’accostamento alle Lambic. Il nome, piemontese, viene pronunciato con la u come la u in francese e una breve pausa prima della a.
Beerbera 8% Birra a fermentazione spontanea in legno grazie all’aggiunta di uva Barbera, nessun lievito aggiunto. Proprio la volontà di sperimentare l’utilizzo dell’uva porta Valter ad un bivio: una strada suggeriva di non usare lieviti aggiunti ed affidarsi alla fermentazione spontanea pilotata dai lieviti presenti sulle bucce degli acini. Come lui stesso ci racconta: Una semplice spremuta di uva Barbera d’Alba, pigiata e diraspata, tanta .. tanta quanto basta, non come semplice aromatizzante ma con il preciso intento di accendere la fermentazione in legno di questa birra, senza aggiungere alcun lievito. Ed ecco la Beerbera, una fruit ale vinosa e fruttata, di grande freschezza e frizzantezza, nonostante l’alto tenore alcolico.
D’uvaBeer 8% Ad Alta Fermentazione. Birra prodotta con l’aggiunta di mosto d’uva Freisa in fermentazione. La D’uvaBeer è la strada alternativa che Valter decide di percorrere nel momento in cui la sua produzione incontra l’utilizzo di uva. Se la Beerbera nasce da una fermentazione spontanea, in questo caso è lui stesso ad inoculare un saccaromiceto in grado di aggredire, oltre che il mosto di birra, anche quello di uva. Ne risulta una birra complessa, di cui ci regala una bella definizione Lorenzo Dabove: di grande finezza ed eleganza, in cui sorprendentemente convivono tre anime, quella fruttata con sentori che ricordano la fragola, il lampone ed il ribes rosso, quella acidula-citrica con lievi aspre note di limone e quella, più ostica, caratterizzata da off flavors tutti da scoprire. Nonostante la presenza di nette punte di astringenza, una piacevole sensazione di calore ci accompagna dopo ogni sorsata.
Papessa 7% Ad Alta Fermentazione. Ispirata alle autentiche russian imperial stout create in Inghilterra e dirette nel 700 alla corte dello Zar, e della zarina Caterina. Prodotta con un’alta percentuale di cereali tostati, tra cui Malto Chocolate e Black Roasted, non raggiunge le alte gradazioni che caratterizzano altre imperial stout, proprio per la volontà di Valter di mantenere un equilibrio, per percepirne al meglio il gusto e il sapore. Le note vinose lasciano presto spazio a sentori di caffè, cacao e un lieve accenno di affumicato. Nel palato aumenta la complessità con note di caffè d’orzo, frutta secca, oltre ad un rafforzamento del sapore tostato e affumicato. Non estrema, non di moda, bensì birra dall’ equilibrio intramontabile.
Queste le gemme degustate, appartenenti ad una produzione che annovera anche la BeerBrugna e la Marchè’Le, di cui si è parlato nel corso della serata: la prima creata attraverso un inoculo di lieviti (tra cui brettanomyces) che in fase di maturazione vede l’aggiunta, unica nel genere, di susine damaschine a riaccendere la fermentazione, la seconda, parte invece dalla stessa produzione della Papessa. La parte che non viene imbottigliata passa in barrique per 12 mesi dove riceve l’aggiunta di caffè e spezie (china, rabarbaro, genziana, zafferano). Le stesse spezie ricordano un sapore ben noto, come ci svela il suo creatore: Marchè’l Re è un gioco di carte piemontese e il suo significato è “segnare (marcare) il re”. Nei locali (piole) dove ancora oggi si gioca non è raro vedere che la consumazione è il caffè con fernet. Questa birra si ispira a quel sapore. E’ chiaro quanto ognuna di queste scelte, in alcuni casi anche coraggiose e controcorrente ma sempre sapientemente gestite, nasca da semplice quanto pura passione, oltre alla voglia di sperimentare. L’amore per il territorio e il legame con esso caratterizzano tutta la produzione di Loverier, rendendola un’eccellenza italiana tutta da preservare: se ne sono accorti già da un po’ anche oltreoceano, dove le più importanti guide del settore segnalano questo nome, tra le perle della produzione brassicola italiana. Sapori particolari e rimandi ad antiche ricette svelano la volontà di non seguire le mode ma di creare un prodotto che piaccia prima di tutto a chi lo produce. Le sue birre parlano di lui, e lui è in parte come le sue birre, dotate di personalità ma equilibrate, mai estreme, mai con un “ma”. E poi, la disponibilità come persona, non solo nell’illustrare ma nel cercare di far capire le sue scelte, oltre ad una gran dose di umiltà, immagino possano solo porsi a garanzia di una costante attenzione al prodotto, e, mi auguro tanto, una sempre forte curiosità nel continuare a sperimentare.
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