Mafalde al pomodoro e ricotta con Nobile di Montepulciano
Recupero i sapori di casa. Dopo un viaggio all’estero, benché magnifico, per me è come disfare le valigie: cerco subito i miei sapori stabili. Nello specifico, sono rientrata dalla Danimarca, un contesto che aiuta ad aprire altre mappe mentali, ove ce ne sia l’intenzione, ed è tutto così diverso lassù. L’antico, il nuovo ed il nuovissimo che da noi deve ancora arrivare, insieme al vento, alla pioggia, al sole. Insieme si alternano senza sosta e con finalità armonica, per gli spazi e per le persone. I danesi lo chiamano hygge, il benessere costruito sul godere delle piccole cose, di prenderselo con fermezza questo tempo da deducare solo a sé stessi. Dunque è un ritorno, il mio, colmo di riflessioni entusiaste, ma avevo bisogno di meditarci su con davanti uno dei piatti campani più confortanti che conosco. Semplicissimo da realizzare, qui d’impegnativo può esserci solo la spesa. Pochissimi ingredienti, si sentono tutti e per il mio hygge quotidiano amo ricercarli con cura.
Ho preparato un sugo semplice con pomodori San Marzano pelati e tritati a mano, grossolanamente. In una padella, ho versato un filo d’olio extravergine d’oliva e ho aggiunto subito della cipolla affettata finemente: va lasciata ‘sudare’ per pochi minuti, a fiamma bassissima. Ho unito, quindi, il pomodoro e cotto, a fiamma vivace, giusto il tempo di far evaporare l’acqua di vegetazione, circa venti minuti. A fiamma spenta, sono arrivati anche basilico, pepe nero e ricotta vaccina: ne ho trovata una che arriva dai Monti Lattari, vaccina, dolce al punto giusto e saporita. Con il sugo ho condito le mafalde, dopo averle tirate su dall’acqua di cottura ancora al dente, e tutti a tavola.
Per accompagnarle, il Vino Nobile di Montepulciano Riserva DOCG Le Bèrne 2018 e lui, caspita, è ampio, intrigante già al naso. Il colore è un elegante rubino intenso mentre, per la temperatura di servizio, ho optato per quella che preferisco d’estate: sicuramente più bassa dei 16 gradi richiesti dalla didattica. Piacevolissimo, Le Bèrne è riuscito a mettere nel bicchiere un equilibrio brioso tra spezie, come il chiodo di garofano, e frutta rossa vicina a lampone e ciliegia. Intenso, rivela un corpo ben strutturato e di ottima persistenza.
Uve Sangiovese in purezza, si tratta del vino di punta dell’azienda, con vigneti che si estendono nella zona di Cervognano (Siena) su terreni di origine pliocenica, con presenza di conchiglie e sassi, ad un’altitudine di 350 metri s.l.m., l’ideale per la produzione di vini rossi strutturati. Fatto curioso: il nome Le Bèrne deriva da una parola etrusca, ovvero ‘verna’, poggio dove trascorrere l’inverno (svernare). La storia dell’azienda inizia negli anni ‘60, con Egisto Natalini e suo figlio Giuliano che avviano una sorta di produzione familiare. Nel 1995 subentra Andrea, il figlio di Giuliano, con l’enologo Paolo Vagaggini: prendono per mano quel che c’era, affiancandogli un sempre più consapevole miglioramento di tutta l’attività di sperimentazione agricola e di perfezionamento delle tecniche di vinificazione.
Nadia Taglialatela