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Enologica

Nuovi metodi di vinificazione

PigiadiraspatriceIn questa occasione voglio trattare le tecniche di vinificazione più comunemente in uso oggi e i nuovi prodotti utilizzati durante la vinificazione per ottenere vini il più “naturali” possibile.
Oggi la nuova frontiera per un Vino Naturale, si identifica con le seguenti caratteristiche: uve prodotte con coltivazioni naturali, biologiche e senza fertilizzanti chimici; vinificazioni naturali, con lieviti alloctoni e senza l’utilizzo di solfiti, né per la fermentazione né per la conservazione e l’invecchiamento. E se le uve provengono da piante franco di piede, meglio ancora!

La vinificazione
L’uva, una volta pigiata, è seguita dalla diraspatura che consiste nell’eliminazione dei raspi. L’utilizzo delle pigiadiraspatrici consente di eseguire simultaneamente i processi di pigiatura e diraspatura. L’operazione di diraspatura presenta sia vantaggi che svantaggi.
I vantaggi sono: riduzione del volume occupato dal pigiato (circa del 30%), minore componente erbaceo ed astringente, minore annacquamento del vino per l’acqua contenuta in essi, minore assorbimento di alcool ed antociani.
Di contro i raspi fungono da termoregolatori in quanto l’acqua in essi contenuta, limita l’innalzamento della temperatura di fermentazione e favoriscono l’areazione del mosto, trattenendo l’ossigeno, che è un elemento essenziale per una corretta condotta della fase di macerazione e fermentazione.

Pigiatura old styleUtilizzo di lieviti alloctoni
Quando l’uva è in fase di maturazione, alcuni microrganismi micotici (funghi) sono attratti dallo zucchero contenuto nella polpa e aspettano proprio la rottura delle bucce per iniziare la loro opera di trasformazione. Quando i grappoli vengono schiacciati, i lieviti che si trovano sulla superficie delle bucce possono essere di vario tipo ed alcuni ceppi di razza differente (pensiamo, ad esempio, alle api che producono miele ed alle vespe che, pur raccogliendo il nettare dei fiori, non producono miele) potrebbero innescare fermentazioni indesiderate (specialmente se non abbiamo ottime condizioni sanitarie delle uve), portando difetti e/o malattie.
I lieviti possono essere indigeni, quelli che si trovano sulla buccia dell’uva, o selezionati, quando vengono isolati in ceppi, in possesso di ottime caratteristiche di attività e moltiplicati a livello industriale: l’aroma dell’alcol dipende quindi non solo dalla materia prima di partenza ma anche dall’attività dei microbi. Per millenni la trasformazione dell’uva in bevanda alcolica è stato un fenomeno misterioso e solo nell”800 furono individuati i saccaromiceti (letteralmente: funghi dello zucchero), come agenti della fermentazione alcolica.
E’ oramai ampiamente dimostrato che l’aggiunta di lieviti selezionati nel mosto d’uva permette non solo un corretto avvio e prosieguo della fermentazione, ma anche la minore produzione di aromi indesiderati, quali idrogeno solforato e acido acetico.

Maurizio De Simone ChefI lieviti selezionati vengono utilizzati soprattutto quando, per effettuare una vinificazione in bianco, il contatto del liquido con le bucce che lo contenevano ha un tempo molto limitato e la quantità di lieviti è troppo scarsa per avere una fermentazione sufficiente. I prodotti di tale metabolismo sono soprattutto alcol etilico e anidride carbonica. I lieviti selezionati commercializzati sono, naturalmente, di origine alloctona (per lo più australiani o tedeschi) il che significa che non imprimono caratteri di tipicità agli aromi di fermentazione secondaria e quindi non rispettano il “terroir” del vino stesso.
Nei primi anni 2000 presso l’Azienda Lonardo, fu avviata la sperimentazione della produzione di lieviti autoctoni: furono isolati da diversi habitat di vigneti (grappoli interi, botritizzati, beccati da uccelli, mangiati da vespe, foglie, terreno, erba, mosto, insetti, corteccia), circa 70 ceppi di lieviti indigeni. Di questi, un ceppo di Saccharomyces Cerevisiae risultò essere interessante per il suo potere alcoligeno sia in assenza che in presenza di SO2. I risultati hanno evidenziato che il mosto fermentato con il ceppo autoctono presenta una quantità di polifenoli totali, catechine e antociani totali (antiossidanti) maggiore rispetto al mosto fermentato con il ceppo commerciale. Questa capacità antiossidante del ceppo autoctono si tramuta all’esame organolettico in note di frutta meno matura quale banana, ananas a favore di profumi floreali e meno ossidati. Di contro, alcuni aromi negativi sono presenti in quantità molto più bassa che in vini fermentati con lieviti alloctoni. Il Prof. Giancarlo Moschetti, dell’Università di Palermo e l’Enologo Maurizio De Simone facevano parte del team di ricerca.

Vino Biologico
Fino a qualche mese fa la dicitura autorizzata da riportare in etichetta recitava “Vino da Uve Biologiche”. Il nuovo regolamento della UE, frutto del solito compromesso che salva capre e cavoli, stabilisce un sottoinsieme di pratiche enologiche e di sostanze autorizzate per i vini biologici. Non sono consentiti l’uso di acido sorbico e la pratica della desolforazione; inoltre il dosaggio dei solfiti nel vino biologico deve essere inferiore a quello del vino convenzionale: il livello massimo di solfito per il vino rosso sarà di 100 mg/l (150 mg/l per il vino convenzionale) e per il vino bianco/rosé di 150mg/l (200 mg/l per il vino convenzionale), con una tolleranza di +30mg/l quando il tenore di zucchero residuo è superiore a 2 g/l. Si può, quindi, riportare in etichetta “Vino Biologico“.
Il sogno corrente, inseguito da molti produttori di “Vini Naturali” è quello di produrre vino senza solfiti. Con i vini rossi non si notano grosse differenze rispetto ai vini solfitati, ma i vini bianchi sono caratterizzati da forti ossidazioni che coprono profumi floreali e fruttati, quando non sono accompagnati da sgradevoli odori. Sono venuto a conoscenza che alcuni produttori hanno iniziato a produrre vini utilizzando sostanze naturali al posto dei solfiti. Risalire a chi ha condotto le sperimentazioni e sta ora calando nella realtà tale pratica non mi è stato difficile ed ho ritrovato una vecchia conoscenza: Maurizio De Simone.
Chi è costui? Un giovane enologo di quasi 50 anni e che da vari decenni opera nella continua attività di recupero di vecchi vitigni e di vecchie viti, nella ricerca di vecchie usanze di coltivazioni della vite e relativa vinificazione, nella sperimentazione e ricerca sia in campo viticolo che enologico, nella introduzione delle novità modulate sulle varie realtà.
Un uomo eclettico, che non disdegna coltivare ed esercitare la sua passione di sempre: cucinare. La sua filosofia si basa su un ferreo principio: “l’intervento deve essere poco invasivo”, e solo dopo aver studiato a fondo il territorio ed il vino. Della parola “terroir” ne dà una traduzione originale: “origine”. Gli esempi di questo percorso sono molteplici; li menziono in ordine sparso.
Terra delle Ginestre (Spigno Saturnia, vicino Formia) è un progetto che ha contribuito a far nascere e, dopo aver studiato testi antichi e caratteristiche pedoclimatiche, viene deciso di utilizzare i vitigni di una volta: Abbuoto, Uva vipera e Primitivo (e fra qualche anno sarà in piena produzione anche il Metolano nero) per far rivivere il glorioso “Caecubum“; il Bellone con macerazione di 48 ore e fermentazione in botti di castagno fino a 8 mesi; quasi tutte le viti sono franco di piede.

Diversi tipi di innesto presso l'azienda Ale.Pa.Per la Compagnia di Ermes ha voluto e coordinato il recupero di vecchie piante di Cesanese franco di piede coltivate con il vecchio sistema a “Conocchia”.
A Ponza per Antiche Cantine Migliaccio recupera e riporta in produzione vecchie vigne, terrazzate a “parracine”, a Punta Fieno, raggiungibili solo percorrendo una mulattiera, dove si vinifica ancora in palmenti e si torchia con la pietra Torcia. A Montalcino, per l’Azienda Agricola Piombaia, ha recuperato vecchie piante e chiedeva ad altri poderi sarmenti da ardere per ricavarne, invece, marze di Sangiovese vecchio da vecchie piante.
Una delle ultime sperimentazioni, e della quale siamo ancora in attesa di “assaggiarne” i risultati, è stata effettuata con l’Azienda Joaquin: hanno cercato, in un’area di oltre 50 Km, piante ultracentenarie di Fiano ed a piede franco, sopravvissute in orti e pergolati irpini. La fermentazione è avvenuta in piccole botti di legno di castagno e circa 48 ore di macerazione.
L’azienda Ale.Pa. ha recuperato vecchi ceppi che, con opportuni innesti, ritornano ad essere immediatamente produttivi ed introducendo tecniche e prodotti naturali, produce dei Pallagrello eccezionali.
Presso l’Azienda Torre del Pagus sono stati ripresi dalla tradizione i vecchi metodi di coltivazione e vinificazione che, in combinazione con moderne tecnologie, si ottengono vini schietti e tipici.

Tonneaux in castagno presso l'azienda JoaquinMa perché tanta ostinazione nel recupero di vecchie piante, possibilmente franco di piede, o di vecchie usanze di coltivazione e/o di vinificazione?
La risposta di Maurizio è la seguente: “L’obiettivo è di conservare vecchi sistemi di allevamento e di vinificazione, patrimonio del tutto italiano, perché danno identità specifiche, che non esistono in altre parti del mondo e producono vini originali e di grande personalità.
Negli ultimi 50 anni la ricerca sulla riproduzione dei vitigni è stata svolta soprattutto dai vivaisti e molto poco da istituti di ricerca. La selezione dei biotipi da mettere in commercio avevano come obiettivi primari la capacità di produrre un numero alto di gemme, che fossero facilmente riproducibili e con ridottissime carenze di attecchimento. Solo così erano economicamente remunerativi. Precedentemente, invece, la selezione la effettuava il vignaiolo che doveva vendere e consumare il vino e, quindi, selezionava le varietà migliori e dalle piante migliori per ottenere il miglior vino. Spesso capita di vedere che, su vitigni come il Fiano, i nuovi cloni sono molto diversi dagli originali, così come i vini che se ne ricavano.
Ricercando queste piante, inoltre, capita di imbattersi continuamente con vitigni spesso non classificati e con enormi potenzialità, come Grecomusc’, Agostinella, Grecaina, Cacazzara e Abbuoto
“.
Altro argomento è la predilezione nell’uso delle botti di castagno. Questo legno, più poroso del rovere, ha una maggiore capacità di traspirazione, quindi, permette una maggiore ossigenazione senza bisogno di somministrare l’ossigeno con pompe esterne; tutto ciò crea le condizioni adatte affinché i vini possano beneficiare di lunghe permanenze sulle fecce fini senza incorrere a processi di riduzione. La maturazione e l’invecchiamento in queste modalità è sicuramente più lento e più lungo, ma non necessita di stabilizzazioni e filtrazioni.

Vini bianchi senza solfitiL’utilizzo dei solfiti

L’uva, una volta pigiata, viene trattata con solfiti (anidride solforosa) con dosi di 10-20 grammi/Hl, in funzione del loro grado di sanità; ciò ha come scopo:
  • un aumento della velocità di macerazione delle parti solide del pigiato;
  • ha valore di antisettico, antimicrobico e, a piccole dosi, anche stimolante del processo;
  • seleziona i lieviti;
  • blocca l’ossidazione (soprattutto nei vini bianchi);
  • accelera la dissoluzione delle bucce nella fase di macerazione;
  • fa precipitare le fecce (chiarificazione);
  • in dosi importanti può bloccare la fermentazione per produrre il “mosto muto” (infermentescibile) ed i vini dolci.

In fase di maturazione ed invecchiamento preserva il vino dall’assumere degenerazioni ed odori difficili da descrivere (forte odore di affumicato, farmacia, cuoio, speziato-resinoso), ma che vengono identificati facilmente. In generale questi odori si producono quando l’anidride solforosa è stata insufficiente e la frazione libera è presente al di sotto dei 15 mg/L.
L’odore di “cotto”, di bruciato, di marsalato o maderizzato è dovuto alla eccessiva ossigenazione e a un tenore eccessivo dell’acetaldeide generalmente superiore a 90 mg/L in assenza di anidride solforosa libera.
La Fermentazione Malolattica avviene se si ha una limitata concentrazione di anidride solforosa totale (fino a 60 mg/l) ed una limitata concentrazione di anidride solforosa libera (fino a 10 mg/l). Quindi, in quei vini bianchi che, avendo una scarsa acidità, si vuole evitare la fermentazione malolattica per non indebolire ulteriormente la componente acida, si regola il dosaggio dell’anidride solforosa al di sopra di quel livello.

Logo IntegrapesMetodi alternativi
Quante volte abbiamo sentito il salumiere chiederci: “Con o senza conservanti (solfiti)?”
Un’azienda svizzera di biotecnologie ha studiato l’estrazione di molecole naturali dai vegetali per sostituire i conservanti dei salumi, per allargarne poi l’utilizzo ad altri alimenti.
Nel 2007 è iniziata la sperimentazione di tali prodotti al vino per sostituire i solfiti, utilizzando delle soluzioni a base di tannino da vinacciolo e proteine vegetali. Da sempre è conosciuta l’attività secondaria antisettica di tannini e polifenoli vegetali, ma il punto è, che per ottenere questo effetto, sufficiente a bloccare processi degenerativi, la quantità da utilizzare era tale per cui i vini presentavano altre problematiche gustative invalidanti.
Al tempo dei romani non esisteva certo la solforosa; il vino senza conservanti deteriorava molto presto; l’unico che si salvava era il Falernum, perché aveva un alto tasso tannico; si consigliava di consumarlo dopo almeno 15 anni ed era ottimo anche quando era vecchio di cent’anni.
Per avere un effetto antisettico dei polifenoli senza utilizzarne grandi quantità, la ricerca ha puntato su un fattore moltiplicatore e questo è stato possibile estraendo le molecole da vinaccioli, bucce di pisello ecc. e diluirle con acqua “dinamizzata” (ottenuta sfruttando un processo fisico di campi magnetici) e creando così le condizioni per cui l’effetto antisettico è moltiplicato per migliaia di volte; ed allora bastano pochissimi grammi di principio attivo per ottenere l’effetto desiderato.
Questi prodotti (dell’azienda “Integrapes“) sono registrati presso la Comunità Europea come coadiuvanti naturali per la vinificazione ed i vini prodotti con questa tecnologia potranno fregiarsi di un bollino che ne certifica l’assenza di solfiti aggiunti.
L’argomento di forza non è soltanto l’aspetto salutistico, quanto il fatto che i vini, prodotti seguendo tutti gli accorgimenti fin qui illustrati, sono più buoni ed integri, con espressioni di frutti naturali dell’uva mai sentiti prima.
Sono già tante le aziende che hanno intrapreso questa strada ed è stato già prodotto uno spumante Franciacorta senza solfiti, annata 2010, che sarà posto in commercio entro novembre 2012.

Antonio Di Spirito

Il vino ha sempre fatto parte della sua vita; dal 1974 vinifica le uve acquistate e nel 1981 ha impiantato una piccola vigna che coltiva tutt'oggi, sempre per il consumo familiare. Dal 2006 si è dedicato interamente al mondo del vino; dopo aver seguito tanti corsi, ha ricoperto il ruolo di docente alla Rome Wine Academy School, organizzando e guidando degustazioni, partecipando alla stesura di una Guida annuale ai Migliori Vini e curando la pubblicazione del New Wine Journal online. Dal 2011 è Free Lance Wine Journalist. Dal 2013 collabora con "Lavinium" e dal 2014 anche con "LucianoPignataro WineBlog". Dal 2014 è Giudice Internazionale al "Concours Mondiale de Bruxelles" e dal 2016 è Membro delle Commissioni di Valutazione del Concorso Enologico Internazionale "La Selezione del Sindaco". Nel 2015 ha partecipato alle selezioni ed alla scelta dei vini della guida Slow Wine 2016 per la Sardegna e nel 2016 ha fatto parte del panel di degustazione per le selezioni e la scelta dei vini della guida Guida "I vini d'Italia" de L'Espresso.

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